Federidroelettrica: “basta freni al rinnovo delle piccole concessioni idroelettriche”

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L’Agcm chiede le gare ma secondo Federidroelettrica non ci sono ragioni legittime per la mancata conclusione degli affidamenti agli attuali concessionari.

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Il tema dei rinnovi delle concessioni di piccola derivazione a uso idroelettrico è di particolare attualità, anche se molto meno dibattuto rispetto all’assegnazione delle concessioni di grande derivazione.

Queste ultime, di potenza nominale media annua superiore a 3.000 kW, sono state oggetto di plurimi interventi normativi a cavallo tra Stato e Regioni.

Per quanto concerne, invece, le concessioni di piccola derivazione, la legislazione vigente stabilisce che, alla scadenza, possano venire rinnovate qualora persistano le condizioni di compatibilità ambientale e non vi siano interessi pubblici valutati come contrari e superiori.

Da alcuni anni, tuttavia, la Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), seguita da alcune (seppure isolate) decisioni del Tribunale superiore delle Acque pubbliche, è intervenuta, in sede consultiva, indicando la necessità di indire procedure di gara per il rinnovo di tali concessioni.

Il risultato è una situazione di stallo che accomuna diversi enti concedenti, Regioni e Province, sull’intero territorio nazionale, con i procedimenti di rinnovo, avviati nel frattempo, confinati in una sorta di quiescenza contraria al diritto.

La posizione dell’Agcm pare però trascurare una serie di argomenti.

In primo luogo, è quantomeno dubbio che alla materia dei rinnovi delle concessioni di piccola derivazione si applichino i principi della Direttiva 2006/123/CE (nota come Bolkenstein), posto che parliamo di un’attività produttiva di energia e non di un servizio.

In secondo luogo, il rinnovo disposto in questa materia, come regolato dalla legge, non costituisce affatto una proroga automatica del titolo concessorio e, in ogni caso, una procedura competitiva in materia di rinnovi è comunque prevista in caso di variante sostanziale alla concessione già rilasciata (e oggetto di istanza di rinnovo).

Ancora, bisogna considerare che: non vi è reciprocità con gli altri Stati membri dell’Unione europea che (seppure in un quadro di grande diversità regolatoria, caso per caso) non prevedono certo procedure di gara per i rinnovi dei titoli autorizzativi e/o concessori di derivazione a uso idroelettrico e ciò, senz’altro, per le concessioni di taglia minore.

Non a caso, verrebbe da dire, un impegno a introdurre elementi di concorrenzialità per le procedure di assegnazione e rinnovi, nell’ambito del Pnrr, non è stato assunto con riferimento alle concessioni di piccola derivazione; infine, non va dimenticato l’ammonimento del Copasir che ha insistito sull’opportunità di tutelare il settore idroelettrico in chiave strumentale alla sicurezza energetica del Paese.

L’orientamento della Corte costituzionale

La posizione dell’Agcm, ribadita anche di recente, non tiene poi conto di una pronuncia della Corte costituzionale (la n. 265/2022) intervenuta a proposito di una legge regionale in questa materia.

La Corte costituzionale ha evidenziato come difetti un quadro normativo statale ispirato a principi concorrenziali in materia di rinnovi di concessioni di piccola derivazione, a differenza di quanto accade, invece, per le grandi derivazioni. Quadro normativo però necessario, qualora si vogliano introdurre principi concorrenziali in sede di rinnovo, per disciplinare almeno due profili specifici: quello della destinazione delle opere realizzate dal concessionario uscente e quello degli indennizzi spettanti a quest’ultimo, in caso di subentro di un nuovo concessionario.

In difetto, diciamo noi, le Regioni e le Province non possono certo colmare in via amministrativa ciò che manca a livello legislativo statale.

Siamo dunque di fronte a una situazione paradossale, come si accennava: con procedimenti di rinnovo bloccati in larga parte del territorio nazionale e una sostanziale incertezza che si estende all’intero comparto idroelettrico.

Oltre 4.000 concessioni spesso in mano a Pmi

Quando parliamo di impianti idroelettrici di piccola derivazione è opportuno ricordare che siamo di fronte a oltre quattromila concessioni, di cui sovente sono titolari Pmi che operano in territorio montano, attive anche in altri settori produttivi, che rappresentano una risorsa economica importante per aree marginali del nostro Paese e un concreto presidio per territori in via di abbandono.

Tale situazione di stallo e di incertezza pregiudica l’interesse del singolo produttore e, di riflesso, un intero comparto economico; ricordando che la filiera dell’idroelettrico, con riferimento alle diverse componenti dell’impianto, a differenza di altri settori legati alle Fer (il fotovoltaico, ad esempio) è interamente nazionale.

Inoltre, disincentivando gli investimenti privati nel comparto, si pregiudica parimenti l’interesse pubblico alla maggiore produzione di energia “pulita” che: è un obiettivo perseguito dallo Stato italiano, in linea con gli obblighi assunti sul piano internazionale e alla luce del diritto dell’Ue; concorre alla tutela ambientale (riduzione dei gas serra, contenimento del riscaldamento globale); è uno dei pilastri del piano di rilancio europeo post pandemia (Next Generation EU e strumenti attuativi) e quindi, in ambito statale del Pnrr.

D’altro canto, assicurare condizioni di fiducia e di certezza in capo agli investitori nel settore delle rinnovabili sarebbe ed è un obbligo per lo Stato italiano, in linea con la normativa comunitaria. Normativa europea che riconosce e valorizza espressamente il ruolo delle Pmi nella produzione di energia da Fer, in una prospettiva di crescita economica sostenibile, sviluppo delle imprese locali, coesione sociale e creazione di posti di lavoro.

In definitiva, alla luce degli argomenti esposti e considerati nel loro complesso, non paiono sussistere ragioni legittime per giustificare la mancata conclusione dei procedimenti di rinnovo delle concessioni di piccola derivazione attualmente in corso.

La P.A. concedente farà ovviamente tutte le verifiche opportune, innanzitutto di natura ambientale, superate le quali è tenuta all’applicazione della legge vigente, difettando una normazione alternativa e ragionevolmente applicabile al caso concreto.

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