La fusione nucleare e gli armamenti

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Una spiegazione tecnica del perché la fusione nucleare civile ha molto più in comune con le bombe che non con le stelle e perché i recenti progressi nel campo della fusione inerziale sono in realtà minimi.

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Il New York Times ha recentemente annunciato progressi nel campo della fusione inerziale, Inertial Confinement Fusion (ICF), al Lawrence Livermore National Lab con un articolo che riporta gli importanti risultati del NIF, National Ignition Facility.

Ma cos’è successo veramente?

I 192 laser più grandi e potenti del mondo, illuminando contemporaneamente le pareti interne di una scatola d’oro di qualche centimetro, le vaporizzano portandole a milioni di gradi.

I raggi X emessi da questo plasma d’oro riscaldano a loro volta la superficie di una pallina di circa 3 mm di diametro contenente il combustibile della fusione che, implodendo, raggiunge l’ignizione. Per ignizione si intende che, in tutto o in parte, le reazioni di fusione si auto-sostengono fino all’esaurimento del combustibile.

Come descritto nell’articolo, si tratta d’aver realizzato una piccola esplosione termonucleare dell’energia di circa un kg di tritolo senza ricorrere all’innesco di una bomba atomica, come nello schema Teller-Ulam della bomba H (vedi figura 1).

Schema di principio dell’ordigno termonucleare di Teller-Ulam. Anche qui l’esplosione è contenuta all’interno di una cavità (holraum), in analogia al cilindro d’oro dell’esperimento NIF.

La fusione nucleare civile ha molto più in comune con le bombe che non con le stelle: le reazioni coinvolte sono quelle delle armi, quelle di più facile innesco fra le molte possibili.

Infatti, con l’eccezione delle Supernove la densità di potenza, i kW per metro cubo, prodotta nelle stelle è oltremodo modesta, inferiore a quella del nostro metabolismo basale di 100 W. Nessuna fonte di questa intensità sarebbe conveniente per sostenere la fame energetica del mondo moderno, che nei paesi sviluppati divora 10 kW pro capite.

Per aver un quadro completo della fusione a scopo pacifico è utile tener presente il funzionamento delle armi nucleari collaudate circa 70 anni fa. Le loro caratteristiche esatte non sono di dominio pubblico, ma anche Wikipedia le descrive con sufficiente dettaglio.

Per un’introduzione più completa, e molto ben raccontata, raccomando i libri di Richard Rhodes, purtroppo esauriti in italiano.

La reazione adottata nella fusione militare e civile è quella dei due isotopi dell’idrogeno, il deuterio e il trizio, che necessita di una temperatura dell’ordine di 100 milioni di gradi per funzionare, un parametro costante in tutti gli schemi proposti.

Il deuterio è abbondante, stabile e il suo approvvigionamento non è difficile. Il trizio è prodotto dai reattori a fissione, non è presente in natura e ha una vita media di 10 anni. Le scorte note al mondo sono circa 50 kg, a malapena sufficienti per gli esperimenti scientifici, ed è 1000 volte più caro dell’oro.

Le armi hanno risolto l’approvvigionamento del trizio ricavandolo dal litio, elemento molto più comune, il fusion fuel della figura qui sopra. Nella fusione civile la possibilità di estrarre abbastanza trizio dal litio è tutt’altro che scontata; è uno dei risultati più attesi da ITER, un gigantesco TOKAMAK in costruzione nel sud della Francia.

Il parametro che più differenzia le varie proposte di fusione oggi sul mercato è la densità dei reagenti del combustibile (vedi figura 2). Il confinamento magnetico stazionario, Magnetic Confinement Fusion (MCF), nei Tokamak per fare l’esempio più comune, può funzionare solo a una densità delle particelle estremamente bassa.

Prendendo come riferimento le molecole d’aria che respiriamo in numero di atomi per centimetro cubo, la densità del plasma di un Tokamak è tipicamente 1014cm-3, un milionesimo circa di quella della nostra atmosfera al livello del mare.

Questo limite superiore per la densità di combustibile, e quindi della densità di potenza prodotta, del MCF non deve sorprendere perché la pressione cinetica del plasma caldo è proporzionale alle sue densità e temperatura.

A temperature così alte la densità deve essere bassa affinché la pressione del gas, trasmessa dal campo magnetico ai conduttori che li generano, rimanga a livelli compatibili con gli sforzi delle strutture meccaniche che racchiudono il tutto.

Per questa ragione la massimizzazione del rapporto fra pressione cinetica e magnetica, dell’ordine di qualche per cento, è stata al centro degli sforzi durati più di mezzo secolo per individuare la trappola magnetica più efficiente.

Confronto fra i costi dei due esperimenti di fusione più ambiziosi oggi in costruzione. La scala orizzontale indica la densità degli ioni degli isotopi dell’idrogeno del combustibile, al centro, per confronto, la densità dell’atmosfera ordinaria.

 

All’estremo opposto al MCF nella scala delle densità ci sono le bombe e la fusione a confinamento inerziale, ICF, Inertial Confinement Fusion, con densità di circa un milione di volte quella dell’aria, cioè circa 1000 volte superiore ai liquidi e ai solidi ordinari.

Da qui si capisce che la difficoltà del metodo ICF, in aggiunta alla temperatura, è quella di comprimere il combustibile a pressioni stratosferiche.

Le armi lo realizzano, non senza difficoltà, con un riscaldamento molto uniforme della miscela di deuterato di litio, il fusion fuel della figura 1. In questo caso è la radiazione X che origina dalla fissione del primario della bomba che provvede al riscaldamento e, per reazione del plasma in espansione, alla compressione del combustibile.

Al NIF del Lawrence National Lab citato nell’articolo del NYT, la sfera di combustibile di un paio di mm (vedi figura 3), inizialmente allo stato solido, si riduce di dieci volte implodendo sotto l’effetto della radiazione X e la sua densità, inversamente proporzionale al volume, aumenta di 1000 volte.

È questo per ora l’unico modo col quale si sono potute riprodurre, in miniatura naturalmente, le condizioni di temperatura e pressione che innescano la fusione militare.

Schema dell’esperimento NIF dove 192 laser concentrano la loro luce su un bersaglio cilindrico di qualche millimetro facendo fondere parte del combustibile nucleare contenuto.

Gli ordigni nucleari moderni sono “boosted”, cioè utilizzano la fusione per potenziarli, ridurne il costo e miniaturizzarli, ma il grosso della potenza esplosiva origina dal materiale fissile che li circonda e non dalla fusione.

Esistono anche ordigni dove l’energia ha origine quasi esclusivamente dalle reazioni di fusione come la madre di tutte le bombe, la Tzar Bomba. Con i suoi 50 megatoni era una H a molti stadi, in quel caso l’aggiunta di un tamper di materiale fissile l’avrebbe potenziata a dismisura ma si è preferito mantenerla “pulita”.

È importante sottolineare che la componente H di un ordigno termonucleare contribuisce molto poco alla radioattività ambientale di lungo periodo indotta dall’esplosione. Svelare i segreti dell’ICF potrebbe indicare come realizzare un ordigno per annientare militarmente l’avversario limitando danni collaterali permanenti.

È la stessa ragione per la quale si sostiene che anche la fusione pacifica sia più attraente della fissione: i prodotti finali, per lo più elio, sono molto meno radioattivi degli elementi pesanti caratteristici della fissione.

A proposito delle analogie fra fusione militare e pacifica è istruttivo rileggere in questi giorni un articolo apparso sul NYT nel 1988, che descrive un esperimento nucleare realizzato allo scopo di verificare la fattibilità della fusione inerziale in un elemento di combustibile di piccolissime dimensioni, come è ora avvenuto al NIF. Oltre a mostrare l’inequivocabile interesse militare in queste imprese, l’articolo dà un’idea anche della complessità e gradualità del loro sviluppo.

I 5 miliardi di $ per l’esperimento NIF del Lawrence Livermore National Lab sono stati finanziati dal Department Of Defence, per continuare la ricerca ottemperando al Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty (CTBT) che impone un limite all’ energia massima di un ordigno nucleare sperimentale.

L’ICF rimane al di sotto di quanto proibito dal trattato e quindi permette di approfondire la ricerca sulle bombe senza violare gli impegni internazionali.

Nonostante la retorica degli annunci sui giornali la rilevanza per la produzione di energia dell’ICF, come nel caso dell’esperimento laser riportato, è minima per molte ragioni. Prima di tutto nel caso di NIF l’energia primaria, l’alimentazione da rete di tutti i dispositivi, è ben superiore rispetto all’energia termica prodotta, il quasi-break-even riportato si riferisce alla sola energia della luce laser.

Per di più il ritmo di ripetizione e l’affidabilità necessari a produrre la potenza tipica di una centrale elettrica sembrano per ora proibitivamente più alti di quanto si possa realizzare.

Per concludere a chi si chiedesse se i 12 ordini di grandezza per la densità ionica del plasma compresi fra l’ICF e l’MCF mostrati in Fig.2 possano nascondere metodi alternativi per realizzare la fusione, sia a scopo pacifico che militare, la risposta è positiva anche se finora, cioè prima dell’avvento della fusione degli imprenditori, in ambienti accademici nessuna proposta era sembrata abbastanza attraente per sperimentarla.

Il panorama potrebbe cambiare negli anni a venire. La proposta di General Fusion, quella di Bezos per intenderci, è proprio di questo tipo.

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