Come contenere l’impatto dell’eolico offshore sulle specie animali

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Una ricerca olandese sta valutando le conseguenze dell'espansione dell'eolico nel Mare del Nord su volatili e fauna marina e i possibili rimedi. Un approccio che dovrà essere seguito anche per l'eolico offshore galleggiante nel Mediterraneo.

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Tutto quello che fanno gli esseri umani moderni non è a impatto zero sull’ambiente: ogni nostra azione direttamente o indirettamente comporta una conseguenza sull’ambiente e un rilascio di una certa quantità di gas serra.

Così, pensare che la gigantesca industria della produzione e dell’installazione di impianti a fonti di energia rinnovabile sia a impatto zero, è qualcosa di ingenuamente ottimista per essere credibile.

Ci sono però due grandi differenze rispetto agli analoghi danni creati dall’industria del passato: l’impatto delle rinnovabili è volto a minimizzare quello ancora più grande delle tecnologie energetiche tradizionali, e poi chi lavora con queste fonti, possedendo in genere una maggiore consapevolezza ambientalista, è più sensibile alle critiche sul versante dell’impatto, le ascolta e fa di tutto per minimizzarle. Se si fosse comportato allo stesso modo anche il settore produttivo nei decenni scorsi, la Terra sarebbe un posto migliore.

Un esempio classico di questa differenza, dopo decenni in cui quasi nessuno si preoccupava delle uccisioni di uccelli e pipistrelli a causa delle infrastrutture umane, è arrivata la scoperta che anche le turbine eoliche possono creare questo danno. Ed ecco che il problema è stato considerato dai media, ma anche dai ricercatori.

Va subito detto però che in realtà i maggiori killer degli animali volanti restano le linee elettriche e gli edifici con grandi vetrate (Eolico pericoloso per gli uccelli? Fanno più male gli edifici).

Critiche all’impatto delle rinnovabili sull’ambiente hanno interessato anche il fotovoltaico, che però è stato svelto a rintuzzarle, dimostrando di essere compatibile con il pascolo e con la vegetazione spontanea delle aree dove viene installato, fino a risultare in certe occasioni addirittura benefico per la biodiversità.

Così l’energia eolica resta la sorvegliata numero uno per quanto riguarda le sue conseguenze sugli ecosistemi.

Ora che i Paesi Bassi hanno cominciato a fare sul serio riguardo alla transizione energetica, spinti anche da una sentenza che obbliga il governo ad andare in quella direzione, l’Agenzia olandese di valutazione dell’impatto ambientale ha chiesto alla biologa marina Josien Steenbergen dell’Università di Wageningen di compiere una prima valutazione dell’impatto che avrà l’espansione della costruzione di centrali eoliche nel Mare del Nord sulla fauna di quelle aree, a cui seguiranno ulteriori approfondimenti, per arrivare infine all’applicazione dei risultati di questi studi sulla decisione di come e dove installare le nuove turbine.

Per questa prima fase la ricercatrice ha raccolto le non poche ricerche già effettuate su questi temi nell’area del Mare del Nord, concludendo che i danni che la generazione eolica può recare alla fauna non sono trascurabili, ma che possono essere anche contenuti con opportune misure.

“C’è una grossa differenza fra l’impatto sugli animali che volano fra le turbine, e quello sugli animali che nuotano fra esse. I primi sono molto più colpiti”, spiega Steenbergen. “In particolare – dice – a rischio sono i pipistrelli, animali particolarmente delicati che possono essere danneggiati anche dall’essere sfiorati dalle pale eoliche, per il calo nella pressione atmosferica che le segue”.

Può sembrare strano che ci siano pipistrelli in mezzo al mare, ma precedenti ricerche, sempre stimolate dalla presenza dell’industria eolica, hanno scoperto che una specie, il pipistrello di Nathusius, migra fra Paesi Bassi e Inghilterra ogni anno, passando proprio nelle aree degli impianti.

“Per salvaguardarlo basterà fermare le turbine, nei giorni della migrazione, quando il vento spira nella direzione giusta per il volo dei pipistrelli”, afferma la biologa.

Nel caso degli uccelli marini i rischi di impatto sono minori, ma questo non esclude dei possibili danni.

“Alcune specie, come i cormorani, sembrano poter convivere senza problemi con le pale eoliche, altre, come la sula bassana, tendono invece a stare alla larga dalle turbine, il che vuol dire che queste installazioni possono fargli perdere importanti aree di pesca e nidificazione: allora bisognerà studiare meglio il fenomeno, ed eventualmente pianificare le aree, cercando di evitare quelle più frequentate da questi uccelli”, dice Steenbergen.

Sott’acqua le cose sembrano più semplici.

“Il danno maggiore che provocano le macchine eoliche alla fauna marina si verifica durante la loro installazione: battere i pali per le fondazioni, è stato dimostrato, può danneggiare l’udito di foche e focene, diminuendo la loro capacità di nutrirsi. Ma ci sono tecniche per minimizzare questo impatto, con cortine di bolle intorno al palo da conficcare, creando una sorta di barriera antirumore. Una volta piantati i pali, non si sono notate ulteriori alterazioni nella fauna marina a causa degli impianti eolici”, ricorda la ricercatrice.

Poi ci sono anche gli effetti positivi.

“Intorno ai pali in genere vengono accumulati mucchi di rocce, per prevenire l’erosione del fondale: questi costituiscono, in un mare praticamente privo di scogliere e fondali rocciosi, una nuova base per le piante marine e un ottimo rifugio per crostacei e pesci. E ciò sembra incrementare la biodiversità di questi siti”, dice Steenbergen.

Inoltre, la presenza degli impianti eolici trasforma queste aree in zone protette quasi integralmente dalla pesca, aumentando ancora di più l’abbondanza di vita.

“Vogliamo valutare meglio questo effetto e vedere se i futuri impianti possono essere compatibili con specifiche attività economiche, come la coltivazione di ostriche, molluschi, oggi praticamente scomparsi dal Mare del Nord per il sovrasfruttamento”, conclude la biologa marina.

Bisogna dire che quanto si sta studiando nel Mare del Nord davanti ai Paesi Bassi, non si potrà applicare tale e quale all’espansione dell’eolico offshore in Italia, visto che da noi le specie sono diverse. Ci sono ben poche foche nel Mediterraneo, ma più cetacei di grandi dimensioni, come balenottere e capodogli; inoltre, c’è una importante rotta migratoria di uccelli dall’Africa, che passa sul canale di Sicilia.

Anche le tecniche di installazioni saranno molto diverse, con gli impianti eolici situati molto lontani dalla costa, e senza turbine piantate nel fondo, ma collocate in acque profonde su galleggianti ancorati.

Questa tipologia impiantistica porterà alla minimizzazione di determinati impatti, ma anche alla potenziale creazione di nuovi, come il rischio di collisioni degli animali marini contro i cavi di ormeggio.

Studi come quello olandese dovrebbero, pertanto, essere più di ispirazione come metodo, che nelle conclusioni. Per il Mediterraneo abbiamo bisogno di ricerche appositamente realizzate sui progetti, ma soprattutto sui primi impianti eolici galleggianti di alto mare installati nelle nostre specifiche condizioni.

Ma siamo certi che anche da noi, lavorando seriamente sull’integrazione di eolico e natura, si potrà trovare una buona convivenza, magari utilizzando anche sistemi attivi di dissuasione, come lampade, suoni e colorazioni, che avvertano le specie selvatiche della presenza di pale e cavi (Eolico, strategie per ridurre le collisioni tra uccelli e aerogeneratori).

Del resto l’energia eolica sarà fra le maggiori risorse a nostra disposizione per evitare la più grande delle minacce alla Natura, che non sono le collisioni di uccelli, foche o pipistrelli contro le turbine, ma lo sconvolgimento globale portato dal cambiamento climatico.

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