Perché sono inutili i blocchi del traffico delle auto, una petizione

  • 3 Ottobre 2017

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In Italia e in altri Paesi UE si pretende di combattere l’inquinamento col forzato rinnovo del parco circolante privato, limitando o bloccando la circolazione dei veicoli ritenuti inquinanti e facendone acquistare di nuovi. Diverse ricerche dimostrano che il risultato è pari a zero, se non peggiore. Una petizione.

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Il 9 giugno a Bologna il Ministero dell’Ambiente e le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto hanno firmato il ‘Nuovo accordo di programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell’aria nel bacino padano’, nel quale si ribadisce la centralità di una lotta condivisa contro l’inquinamento atmosferico, fenomeno particolarmente intenso nei territori del Nord Italia.

L’intesa punta a misure strutturali e attuate allo stesso modo nelle quattro regioni – regole omogenee di accesso alle Ztl, car-sharing, mobilità ciclo-pedonale, distribuzione diffusa di carburanti alternativi, limitazioni alla circolazione – per dare risposte ad un’area di oltre 23 milioni di residenti (il 40% della popolazione italiana).

In particolare sulle misure per la circolazione dei veicoli diesel per i Comuni sopra i 30mila abitanti, allo scopo di ridure principalmente le polveri sottili e il biossido di azoto, si è deciso quanto segue:

  • la limitazione della circolazione dal 1 ottobre al 31 marzo di ogni anno, da applicare entro il 1 ottobre 2018, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8,30 alle ore 18,30, salve le eccezioni indispensabili, per le autovetture ed i veicoli commerciali di categoria N1 (leggeri), N2 (medi) e N3 (veicoli pesanti) ad alimentazione diesel di categoria inferiore o uguale ad Euro 3.
  • la limitazione è estesa alla categoria Euro 4 entro il 1 ottobre 2020 e alla categoria Euro 5 entro il 1 ottobre 2025 ed Euro 6 pre-fase 2 entro il 1 ottobre 2027.
  • la limitazione si applica prioritariamente nelle aree urbane dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti (39 in Lombardia) presso i quali opera un adeguato servizio di trasporto pubblico locale, ricadenti in zone presso le quali risulta superato uno o più dei valori limite del Pm10 o del biossido di azoto NO2.
  • per la sostituzione dei veicoli diesel il Ministero dell’Ambiente ha messo a disposizione delle 4 Regioni fino a 8 milioni di euro. Le Regioni dovranno contribuire con proprie risorse.

Anche da queste disposizioni nasce una petizione che chiede alle istituzioni di fermare i blocchi ambientali delle auto, perché ritenuti inutili e dannosi. Una petizione che, affermano i proponenti (Leonardo Libero e Enrico De Vita di Aspo Italia), viene proposta secondo una logica ambientalista.

Riprendiamo qui la lettera che motiva le ragioni di questa iniziativa:

 

Signor Presidente del Parlamento Europeo, Signor Presidente del Senato Italiano,

rivolgiamo anzitutto a Voi questa petizione perché:

a) le conseguenze dei fatti e che essa segnala, incrementando senza motivo le emissioni globali di anidride carbonica e di sostanze inquinanti, sono in contrasto con gli impegni assunti dall’UE, e perciò dall’Italia, il 29 aprile 1998 aderendo al Protocollo di Kyoto e il 5 dicembre 2015 aderendo  all’Accordo di Parigi;

b) le conseguenze dei fatti che essa segnala – inutili rottamazioni di veicoli in buono stato – sono in contrasto con i principi-base dell’Economia Circolare – “riutilizzare, aggiustare, rinnovare e riciclare l’esistente” – che il Parlamento Europeo ha adottato “come modello di sviluppo del futuro” il 10 luglio 2015 e che la Commissione Ambiente del Senato Italiano ha approvato all’unanimità il 14 giugno 2016.

Basta con i blocchi “ambientali” alla circolazione! Lo chiediamo in nome dell’ambiente

In Italia e in alcuni altri Paesi UE, da molti anni, si pretende di combattere l’inquinamento col forzato rinnovo del parco circolante privato, limitando o bloccando la circolazione dei veicoli ritenuti inquinanti e facendone così acquistare di nuovi ma, per motivi perfettamente individuati da ricerche “mirate”, senza ottenere il risultato voluto; perciò danneggiando sia l’ambiente sia l’immagine dell’ambientalismo.

Il 2 settembre, a Cernobbio, il premier Gentiloni ha potuto parlare di “ritorno alla crescita” solo perché il giorno prima l’ISTAT aveva pubblicato la relazione sul PIL del secondo trimestre 2017, che affermava: “L’aumento degli investimenti è stato determinato da una crescita della spesa per macchine, attrezzature e altri prodotti (+0,6%) e dei mezzi di trasporto (+8,2%) mentre gli investimenti in costruzioni sono diminuiti dello 0,4%. …Gli investimenti fissi lordi hanno segnato … una crescita tendenziale del 2,6%, con una crescita degli investimenti in mezzi di trasporto del 39,9% e degli investimenti in costruzioni del 1,2%, a fronte di una flessione dello 0,8%della spesa in macchinari e altri prodotti”. Non vi erano nemmeno citati invece gli investimenti in Ricerca, che sarebbero, quelli sì, positivi per un Paese industriale !

Che “la crescita” sia stata dovuta soprattutto agli acquisti di veicoli è confermato da un documento ACI, che afferma: “Fino a luglio 2017 si sono rilevate: crescite del 7,8% per le autovetture, del 7,5% per i motocicli e dell’8,1% per tutti i veicoli”e dalle tabelle ACI, dalle quali le “nuove autovetture iscritte” risultano 1.574.872 nel 2015, 1.824.968 nel 2016 e 1.104.663 nel 1° semestre del 2017; con emissioni conseguenti stimabili in circa 23.623.000, 27.374.000 e 16.570.000 tonnellate di CO2 e con esborsi totali stimabili in 31, 36 e 22 miliardi di euro (importi che danno la misura dei colpi subiti dalla capacità di spesa delle famiglie e dei conseguenti cali di domanda subiti dai settori produttivi e commerciali diversi dall’automotive).

Una tale richiesta di nuovi veicoli in un Paese depresso, e 2° in Europa per motorizzazione , non può che essere stata originata anche da un obbligo, come appunto quello in pratica imposto dai blocchi selettivi del traffico a scopo “ambientale” (già programmati per il prossimo inverno, ad esempio, nelle quattro Regioni Padane).

Lo confermano i dati della Centrale Rischi Finanziari, secondo la quale Nel 1° semestre 2017 è cresciuto del 4,1% il numero di italiani con almeno un contratto di credito attivo (cioè un debito, in media di 34.114 euro) numero che rappresenta il 35,4% (oltre un terzo !!) dei maggiorenni, con punte del 39,5% a Milano e del 40% a Torino.

E poiché “Meno di 1 contratto su 4 riguarda un mutuo”, cioè un bene immobile, il grosso degli oltre 3 su 4 deve riguardare beni di consumo, ma costosi anche nel prezzo, come appunto sono i veicoli.

I Paesi UE che, come il nostro, hanno scelto di dare esecuzione alle direttive sulle emissioni dei veicoli, promuovendo gli acquisti di veicoli nuovi, anche con incentivi pubblici alle rottamazioni dei meno recenti, sono solo 8 su 28, fra cui però i più industrializzati. Ciò autorizza a ritenere che siano state più lobby ad aver influito sui Pubblici Poteri, nazionali e locali, di quei Paesi.

A godere di quella scelta non sono stati infatti solo i produttori di auto e di energia, ma anche un fiorente commercio internazionale di veicoli usati, che lucra sui danni subiti dai cittadini di detti Paesi; nei quali il valore di mercato dei veicoli vittime dei “blocchi” scende quasi a zero, anche se sono in ottime condizioni, ed essi possono perciò essere acquistati per pochi soldi e rivenduti con ampi guadagni in altri Paesi.

Dalle statistiche ACI, ad esempio, le autovetture “radiate per esportazione” risultano 564.234 nel 2013, 424.957 nel 2014, 397.161 nel 2015 e 402.129 nel 2016. Le dimensioni del fenomeno sono inoltre attestate dal gran numero di operatori interessati.

I motivi per cui i blocchi “ambientali” alla circolazione dei veicoli privati non fanno diminuire lo smog, e non si dovrebbero quindi più imporre, sono stati individuati dal prof. Hans Peter Lenz fin dal 1999 e dall’ing. Dario Faccini nel 2015-16.

Il primo, rilevando che le auto non sono la principale fonte di inquinamento urbano e che, della quota minoritaria con cui vi concorrono, il grosso non è quello emesso dai motori, ma quello sollevato da terra dal rotolamento delle ruote. Il secondo, trovando il “colpevole” nei riscaldamenti a pellets e, in genere, nella combustione di vecchi impianti a biomasse. A riprova, cercando su internet “nonostante il blocco lo smog non diminuisce” si può trovare una quantità di “esperimenti” con quel risultato ed almeno un caso in cui, dopo ben due giorni di blocco totale, lo smog è aumentato.

LA PETIZIONE

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