Petrolio low-cost: 150 mld di $ di progetti a rischio. Impatto trascurabile per le rinnovabili

Con il crollo del prezzo del barile del petrolio e con previsioni nel medio termine di stabilità verso il basso, oltre un quinto degli investimenti in nuovi progetti oil saranno probabilmente congelati. Tra i primi ad essere abbandonati quelli in sabbie bituminose e trivellazioni in acque profonde. Trascurabile invece l'effetto sullo sviluppo delle fonti rinnovabili.

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Dopo il crollo dei prezzi del barile di questi ultimi mesi, senza che nessuno si aspetti una ripresa completa, il settore dell’oil & gas non sarà più lo stesso: circa un quinto dei nuovi progetti, per 150 miliardi di dollari di investimenti, potrebbero essere cancellati. Anche le rinnovabili devono fare i conti con il barile a prezzi stracciati: in alcuni contesti il petrolio low-cost può rallentare la competitività delle fonti pulite, ma in generale – emerge da diverse analisi – il crollo dei prezzi del greggio non influenzerà l’avanzata di eolico, fotovoltaico e delle altre fonti pulite. Anzi, l’imprevedibilità delle turbolenze che continuano a verificarsi nei mercati delle fossili potrebbero essere un ulteriore incentivo alla decarbonizzazione.

Negli ultimi sei mesi il prezzo del barile è crollato di circa il 50% e oggi è a poco più di 63 dollari. Le cause sono note: ad una domanda relativamente fiacca si aggiunge un eccesso di produzione, che l’OPEC non sembra intenzionata a correggere. Per questo non si prevede un ritorno sui valori pre-crollo: Goldman Sachs, ad esempio, prevede 80-85 $ al barile per il 2015 e l’ultimo Oil Market Report della International Energy Agency definisce improbabile un equilibrio del Brent sopra gli 80 $/b.

Abbiamo già spiegato l’impatto che questo potrebbe avere sulle riserve di petrolio più costose da estrarre: secondo Carbon Tracker Initiative per i progetti in sabbie bituminose un petrolio sotto ai 95 $/barile metterebbe a rischio 9 barili su 10 e le compagnie che vi stanno puntando nei prossimi 10 anni rischiano di creare un buco da 271 miliardi di dollari.

Più probabile però è che, tra questi progetti e altri con costi di estrazione relativamente alti, molti di quelli che sono ancora sulla carta vi rimarranno. Uno scenario interessante a tal proposito arriva dalla società di consulenza norvegese Rystad Energy. Secondo gli analisti, che prevedono un prezzo per l’anno prossimo che si attesti sugli 82,5 $/b, rischiano di essere eliminati o congelati più di un quinto dei progetti di ricerca ed estrazione oil & gas ancora in attesa di una decisione finale di investimento. Nel 2015 le compagnie dovranno decidere su 800 progetti per un totale di 500 miliardi di dollari e 60 miliardi di barili: secondo Rystad con i prezzi previsti, circa 150 miliardi di investimenti, per 12 miliardi di barili, saranno stoppati.

Se poi le quotazioni dovessero rimanere sui livelli attuali, a circa 70 dollari, spiega a Reuters il capo economista della società norvegese, Magnus Nysveen, potrebbero essere bloccati addirittura metà dei volumi in questione. A rischio in questo caso sarebbero tutti i progetti dai costi di sviluppo superiori ai 30 $/b. I primi ad essere archiviati, spiega la società di consulenza sarebbero quelli nelle sabbie bituminose canadesi e venezuelane, seguiti dai giacimenti in mare più costosi. D’altra parte tra questi ci sono progetti che anche con un barile a 120 dollari non sarebbero convenienti.

Ma se lo sviluppo delle riserve non convenzionali di petrolio sarà con ogni probabilità fermato dal greggio a basso prezzo, cosa succederà alle rinnovabili? La loro avanzata potrà essere ostacolata da un petrolio più competitivo? In parte abbiamo già risposto a questa domanda, con un “nì”. Questo – aveva spiegato a QualEnergia.it Davide Tabarelli di Nomisma Energia – può essere in parte vero per il mercato elettrico italiano, dove la generazione a gas ha un ruolo importante e una quota sostanziale del gas usato nel termoelettrico è indicizzato al prezzo del barile, ma non vale per altri mercati e varrà sempre meno anche da noi.

In un mix elettrico come quello tedesco, dominato dal carbone, ad esempio, gli effetti del barile low-cost sono quasi impercettibili per il mercato elettrico. A livello mondiale poi questi effetti del prezzo del petrolio sul kWh elettrico sono annullati dal diverso modo in cui si compra il gas. Praticamente solo in Europa il gas si acquista (e peraltro solo in parte) a prezzi indicizzati a quelli del petrolio e anche questa modalità d’acquisto è sempre meno diffusa: hanno sempre più peso i mercati del gas spot, che al contrario di quanto avviene per il barile, stanno registrando prezzi in salita. In America – dove il prezzo del gas è già da tempo molto più basso per l’effetto shale gas – i prezzi del gas non sono legati a quelli del petrolio e non lo sono nemmeno in Asia.

Una visione confermata dall’ultima analisi di Deutsche Bank sull’industria del solare. “Le azioni delle aziende del fotovoltaico – scrive in una nota l’analista della banca Vishal Shah – sono state sotto pressione per preoccupazioni legate ai bassi prezzi del petrolio. Crediamo che i fondamentali del settore siano guidati soprattutto dalle politiche governative e dai prezzi del gas naturale e che nella maggior parte dei mercati non saranno quasi per nulla influenzati dalla volatilità del prezzo del petrolio”.

Per chi crede nelle rinnovabili non è il caso di spaventarsi: nemmeno il crollo vertiginoso del barile potrà rallentare l’avanzata delle fonti pulite. Al contrario la volatilità imprevedibile dei prezzi delle fossili potrebbe spingere i governi a puntare ancora di più sulle rinnovabili. Come ha sottolineato la segretaria dell’UNFCC, Christiana Figueres, all’apertura della COP 20, attualmente in corso a Lima: “Il fatto che il prezzo del petrolio sia così imprevedibile è una delle ragioni per le quali dobbiamo passare alle rinnovabili, che hanno un costo del combustibile totalmente prevedibile: zero”.

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