Rectenne, la nuova frontiera per produrre elettricità dal calore

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Nel mondo dei dispositivi termoelettrici stanno facendo rapidi progressi nuove micro-antenne capaci di trasformare le onde elettromagnetiche in elettricità.

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È il supplizio di Tantalo dell’energia: enormi flussi energetici che ci passano sotto al naso e poi si perdono nello spazio, senza che possiamo allungare la mano e trasformarli in preziosa elettricità.

Si tratta del calore, cioè il frutto dell’agitazione nello spazio di ogni particella che sia a una temperatura superiore allo zero assoluto, -273,18 °C.

Se ogni trasformazione energetica, per esempio da elettricità a luce, produce inevitabilmente del calore, il percorso inverso, come ci ricorda quel guastafeste del secondo principio della termodinamica, è molto più arduo: passare da calore a energie “più nobili”, si può fare solo creando un flusso energetico fra differenze di temperatura molto, molto grandi, altrimenti le efficienze di conversioni sono risibili.

Efficienze scarse a caro prezzo

Esempio sotto gli occhi di tutti, il motore a scoppio: nonostante nei suoi cilindri le temperature siano 1000°C superiori a quelle esterne, non si riesce ad andare oltre una conversione da calore in movimento di un 33% circa, che diminuisce ulteriormente se si vuole poi trasformare quel movimento in elettricità tramite un alternatore.

Nelle grandi centrali termiche le cose migliorano un po’, ma ugualmente gran parte del calore prodotto viene sempre disperso in aria.

E se si trasformasse direttamente il calore in elettricità? Ci si sta tentando da decenni, con i cosiddetti dispositivi termoelettrici, strani materiali, che funzionano un po’ come i pannelli fotovoltaici, solo che invece di emettere elettroni in presenza di luce, li fanno partire in presenza di calore.

Sono generatori di questo tipo, ad esempio, che alimentano le sonde dirette ai pianeti più lontani, dove la luce del sole non è sufficiente: del plutonio radioattivo produce calore, e un generatore termoelettrico trasforma il calore in elettricità.

Ma, al solito, i generatori termoelettrici funzionano solo con grandi differenze di temperatura (nel caso dello spazio, l’ambiente intorno è quasi allo zero assoluto), la loro efficienza è bassa (il record attuale è per uno al piombo-tellurio, che raggiunge il 12% con 600°C di salto termico) e sono molto costosi.

La strada delle rectenne

Ci potrebbe essere però un’altra strada per raggiungere lo stesso scopo: ogni oggetto che noi percepiamo come caldo, emette radiazione infrarossa, questa radiazione è composta di onde elettromagnetiche (come la luce visibile o le onde radio), e le onde elettromagnetiche si possono catturare con una antenna e trasformare in elettricità: così funzionano radio e Tv.

Il fisico Paul Davids, dei Sandia National Laboratories, ha appena annunciate su  Physical Review Applied (link allo studio in basso) di essere riuscito a fare esattamente quello: creare una microantenna, in grado di catturare la radiazione infrarossa.

L’antenna, al momento, è grande come l’unghia di un mignolo, ed è costituita di alluminio sulla faccia superiore, e silicio, fortemente dopato con altri elementi in modo che rifletta l’infrarosso, su quella inferiore.

Sull’alluminio sono disegnati minuscoli solchi, larghi un ventesimo del diametro di un capello umano, delle dimensioni giuste per catturare le onde elettromagnetiche dell’infrarosso termico.

Ma catturare la radiazione non basta, perché questa produce nel metallo una corrente elettrica alternata, che oscilla alla stessa frequenza della radiazione: se la corrente di casa ha una frequenza di 50 volte al secondo (Hz), dall’infrarosso utilizzato in questa antenna si otterrebbe una corrente alternata a 50 mila miliardi di Hz, assolutamente inutilizzabile.

La corrente va quindi “raddrizzata”, cioè trasformata in corrente continua, e per questo serve un diodo, un “senso unico” per gli elettroni, solo che non esistono in commercio diodi che possano funzionare a frequenze così alte.

Affidabile economica e facile da produrre

Così è la parte posteriore dell’antenna, a fare da diodo: uno strato di appena 20 molecole di diossido di silicio (un isolante), separano l’alluminio dal silicio sottostante, che fa da “trappola”: solo una parte degli elettroni prodotti nell’antenna attraversa lo strato isolante, e una volta nel silicio non riesce più a tornare indietro, raddrizzando di fatto la corrente.

“Le antenne che fanno anche da diodi si chiamano rectenne, e noi abbiamo costruito questa usando i materiali più comuni possibile, realizzandola anche in modo che fosse fabbricabile nelle attuali industrie dei semiconduttori” dice l’ingegnere elettrico Joshua Shank, collaboratore di Davids.

“Questo le renderà pratiche ed economiche da produrre, anche in scale molto più grandi di questo prototipo. Tutto questo non vuol dire che sia stato facile fabbricarlo: dietro la sua semplicità ci sono anni di studio per ottimizzare ogni parte”.

La rectenna dei Sandia Laboratories, secondo Davids “servirà a ogni uso dove sia utile avere un dispositivo per la produzione di elettricità dal calore senza parti in movimento, con una altissima affidabilità aumentata anche dal fatto che la nostra rectenna, rispetto ai dispositivi termoelettrici che devono stare a contatto con la sorgente calda, può rimanere a distanza dalle superfici che emettono infrarossi e quindi subisce meno stress termici”.

Se si pensa però che la più grande sorgente di infrarossi del mondo è il Sole, che ci inonda continuamente di questa radiazione, e che la seconda è la Terra stessa, che di notte riemette verso lo spazio gli infrarossi prodotti da terre e mari caldi, la domanda che uno si fa, però, è: ma le rectenne possono catturare questa radiazione infrarossa e servire quindi come una sorta di FV a produzione continua, giorno e notte?

“Certo che sì, ma al momento noi puntiamo al recupero di energia da impianti termici, oppure ad alimentare dispositivi difficili o impossibili da raggiungere, come le sonde spaziali alimentati a radioisotopi. In questi casi l’emissione di infrarossi è molto intensa, e una rectenna come la nostra, anche con la sua bassa efficienza, può essere competitiva con le alternative disponibili. Per l’uso su vasta scala sulla radiazione solare o notturna, bisognerà perfezionare di molto il dispositivo ed aumentarne di molto l’efficienza, per esempio facendo si che catturi le onde infrarosse a tutti gli angoli di polarizzazione, non solo uno come adesso. Serviranno ancora molti anni”.

Ma è solo l’inizio

C’è però chi ha ambizioni più ampie per questa tecnologia: nel 2013 riportammo la notizia di un primo prototipo di rectenna per la luce solare, realizzato alla Università del Connecticut.

Ma da allora il testimone delle ricerche più avanzate sulle rectenna per la produzione di elettricità dagli infrarossi solari e terrestri, è passata al Georgia Tech Institute, dove l’ingegner Baratunde Cola nel 2015 aveva realizzato un prototipo di rectenna composto da una antenna in nano tubi di carbonio e un diodo composto da uno strato di calcio.

Quest’ultimo, reagendo con l’aria, però, si era rivelato un problema, essendo poco efficiente e instabile, ma pochi mesi fa Cole ha annunciato di essere riuscito, realizzando il diodo con uno strato di ossido di alluminio ed afnio, a raddoppiare l’efficienza e allungare di molto la vita del dispositivo: dopo un anno di uso continuo la sua rectenna ancora funziona.

Certo l’efficienza è ancora abissale, lo 0,1%, ma intanto con le ultime migliorie il prototipo, a parità di illuminazione, è passato dal produrre microvolt ai millivolt, un aumento di potenza di 1000 volte.

“E siamo solo agli inizi, basti pensare che dobbiamo ancora comprendere perfettamente come una rectenna funzioni. Una volta che avremo costruito una solida base teorica, ulteriori, grandi miglioramenti arriveranno”.

Speriamo che lui e i suoi colleghi del Sandia Laboratories abbiano successo, perché se le rectenne prendessero il posto dei pannelli FV, attingendo all’enorme sorgente oggi inaccessibile del calore, tutti i problemi energetici dell’umanità sarebbero finiti.

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