Pannelli solari come antenne per un altissimo rendimento

Un pannello solare, con un rendimento di conversione della luce del 70% in grado di funzionare, sia pure a potenza ridotta, persino di notte? La ricerca ci sta lavorando negli Usa e forse ha fatto un passo avanti verso la realizzazione di questi dispositivi. Il segreto è in particolari antenne di dimensioni nanometriche, le rectenne.

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Che ne direste se vi proponessero un pannello solare, con un rendimento di conversione della luce del 70% in grado di funzionare, sia pure a potenza ridotta, persino di notte? Sicuramente pensereste a uno scherzo, oppure a una truffa. Eppure esiste un settore della ricerca che sta studiando un modo, al tempo stesso rivoluzionario e concettualmente banale, per produrre elettricità solare con quei rendimenti, utilizzandone tutte le lunghezze d’onda, compresi gli infrarossi che la Terra emette di notte, e non solo le bande ristrette sfruttate dal silicio e dagli altri semiconduttori. Non è fantascienza, dagli Stati Uniti è appena giunta notizia di un passo avanti decisivo compiuto verso la realizzazione di questi dispositivi di cui si parla comunque da oltre un decennio.

La spiegazione più semplice di come questo sistema dovrebbe funzionare, la si ha alzando un po’ gli occhi e guardando i tetti delle case punteggiati di antenne. Un’antenna non è altro che un conduttore metallico, di opportune forme e dimensioni, in grado di captare un’onda elettromagnetica, trasformandola in corrente elettrica. Le antenne che vediamo intorno a noi, funzionano con onde radio che vanno da un millimetro a qualche metro di ampiezza, e visto che gli elementi captanti di una antenna devono avere le stesse dimensioni dell’onda che “catturano”, sono oggetti metallici ben visibili, facili da costruire. Le onde inducono nell’antenna una corrente elettrica di potenza proporzionale a quella dell’energia contenuta nell’onda (nel caso di quelle radio, piuttosto bassa), e alternata alla stessa frequenza di oscillazione dell’onda, che nel caso delle onde radio oscilla fra qualche migliaio e qualche miliardo di volte al secondo (hertz). Per renderla utilizzabile, la corrente va prima trasformata in continua tramite diodi, e poi amplificata per poterne estrarre le informazioni, digitali o analogiche, audio o video, che contiene.

Ma anche la luce solare è composta di onde elettromagnetiche, identiche a quelle radio, se non che sono milioni di volte più piccole (e molto più energetiche): la luce rossa, per esempio, ha una lunghezza d’onda di circa 650 milionesimi di millimetro (nanometri) e una frequenza di oscillazione di 430.000 miliardi di hertz. Finora i pannelli solari hanno funzionato utilizzando la proprietà di alcuni elementi o composti di emettere un elettrone, quando colpiti da un fotone di una ben precisa lunghezza d’onda. Ma nulla vieta, in principio, di costruire antenne che sfruttino le onde luminose (che sono l’altra faccia dei fotoni), esattamente come sfruttiamo le onde radio, estraendone gran parte dell’energia.

I problemi, come si può ben capire, sono solo pratici, ma di tale complessità che fino a pochi anni fa non si poteva neanche immaginare di risolvere: antenne per la luce dovrebbero essere di dimensioni nanometriche, e bisognerebbe costruire diodi in grado di raddrizzare corrente alternata a centinaia di migliaia di miliardi di hertz. Eppure i progressi delle nanotecnologie stanno consentendo esattamente questo risultato.

Nanoantenne costituite da allineamenti di minuscoli segmenti di conduttori sono già state realizzate con le tecniche litografiche che si impiegano per costruire i semiconduttori. Ma il vero nodo da risolvere è quello di come rendere utilizzabile la corrente che raccolgono. Il professore di ingegneria chimica Brian Willis, dell’Università del Connecticut, ha annunciato di aver messo a punto una tecnica costruttiva, in grado di realizzare nanoantenne per la luce, in grado di raddrizzare anche la corrente che raccolgono, trasformandola in continua: le ha chiamate rectenne.

Nella rectenna progettata da Willis, la corrente passa dall’antenna al circuito, distanti 1-2 nanometri fra loro, attraverso un elemento triangolare. Gli elettroni attraversano lo spazio isolante fra la punta del triangolo e l’elettrodo tramite ”effetto tunnel”, un fenomeno quantistico, e non possono più tornare indietro, perché nei pochi nanosecondi che passano prima che la corrente si inverta, l’elettrone si è allontanato abbastanza dalla punta del triangolo, da non poter più superare l’unico punto di attraversamento (vedi immagine). L’antenna così raccoglie, in teoria, fino a un 70% dell’energia di ogni onda luminosa, e converte automaticamente l’elettricità alternata in continua.

Le attuali tecniche di litografia, però, se possono costruire gli elementi dell’antenna, non sono in grado di realizzare un gap più piccolo di 10 nanometri, troppo grande per ottenere l’effetto tunnel. Allora il gruppo di Willis ha messo a punto un sistema, chiamato ALD, che depone strati di atomi di rame, uno alla volta, in grado di costruire gli elementi triangolari necessari, avvicinando così antenna e circuito fino a 1,5 nanometri. Hanno così costruito, con i contributi di una società privata molto lungimirante,  un primo esemplare di rectenna, calibrata per gli infrarossi, e sono ora in corso i primi test per verificarne l’efficienza.

In teoria, una serie di rectenne, impilate una sull’altra e dotate di elementi di diverse dimensioni, per catturare le varie lunghezze d’onda, sarebbe in grado di catturare tutte le radiazioni solari più energetiche, dagli UV fino agli infrarossi, con una efficienza molto più alta di quella degli attuali pannelli al silicio e persino di quelli multi giunzione a concentrazione (circa il 45%), utilizzando materiali comuni, come il rame o l’alluminio.

Tutto sta a vedere se i test delle prime rectenne di Willis saranno soddisfacenti e se il procedimento ALD potrà essere industrializzato. Se queste due condizioni si realizzeranno, entro qualche anno potremmo addirittura avere pannelli solari che producono elettricità giorno e notte (sfruttando gli infrarossi che le superfici scaldate dal sole riemettono di notte: una minuscola frazione della potenza della luce solare, ma buttali via…), utilizzando una superficie di metà o meno di quelli attuali, per ottenere le stesse potenze.

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