Quali relazioni tra coronavirus e inquinamento atmosferico?

Con le misure di lockdown si stima un calo per le emissioni di ossido di azoto. Più complesse le valutazioni che riguardano le polveri sottili. Facciamo il punto sul dibattito in corso.

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Quali relazioni ci sono tra diffusione del coronavirus, misure di “lockdown” nei vari paesi, inquinamento atmosferico e concentrazione di gas serra nell’aria?

Vediamo in sintesi che cosa emerge dai dati scientifici più recenti, partendo dal legame tra la pandemia di Covid-19 e l’andamento della qualità dell’aria nelle aree italiane più colpite dall’emergenza sanitaria con la conseguente chiusura di molte attività economiche non essenziali e le forti limitazioni nei trasporti (vedi qui le nuove misure nell’ultimo decreto firmato da Giuseppe Conte).

I dati trasmessi dal satellite Sentinel-5P del programma europeo Copernicus in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea (ESA, European Space Agency), si legge in una nota, hanno rivelato che le emissioni di NO2 (ossido di azoto) sono diminuite in Italia, soprattutto nelle regioni del Nord; il calo, precisa la nota, sembra coincidere con il lockdown deciso dal governo italiano per combattere il coronavirus.

Più in dettaglio, le analisi elaborate dagli esperti del Sistema nazionale di protezione ambientale (SNPA), riportate dall’Ispra, stimano una riduzione nell’ordine del 50% per le emissioni di NO2 nella Pianura Padana, in seguito al rallentamento della produzione nei siti industriali e al calo del traffico su strada, che da solo è responsabile del 53% circa delle emissioni totali di ossidi di azoto (fonte Arpa Lombardia).

Questo primo studio, spiegano gli esperti, analizza l’andamento del biossido di azoto (NO2) perché, tra gli inquinanti dell’aria, è quello che risponde più rapidamente alle variazioni delle emissioni e viene prodotto da tutti i processi di combustione, compresi quelli derivanti dal traffico veicolare.

L’andamento dei valori mediani, chiarisce poi la nota, evidenzia un progressivo calo dell’inquinamento diffuso, partendo dalle restrizioni imposte in Lombardia e Veneto: i valori mediani di tutte le stazioni di quest’area sono progressivamente passati da quantità comprese tra 26-40 microgrammi/metro cubo lo scorso febbraio a 10-25 microgrammi/metro cubo a marzo, con una riduzione dell’ordine del 50%, in accordo con l’analisi condotta dal servizio europeo Copernicus-CAMS.

Per quanto riguarda invece le polveri sottili (Pm10 e Pm2.5) il discorso è ancora più complesso perché la concentrazione di particolato fine nell’aria resta ampiamente influenzata dalle condizioni atmosferiche come le precipitazioni, l’intensità dei venti e così via. Tra l’altro, la principale fonte di emissioni di PM10 primario nel bacino padano è la combustione per il riscaldamento domestico e non il traffico veicolare.

Tanto che l’Arpa della Lombardia, nei giorni scorsi, riguardo al rapporto tra coronavirus e qualità dell’aria, ha diffuso una nota in cui spiega che non è opportuno fare, in questo momento, (neretti nostri) “una valutazione specifica di merito, essendo la situazione in evoluzione e in quanto non dispone di tutti gli elementi necessari allo scopo”.

Un’analisi approfondita, chiarisce poi l’Arpa della Lombardia, “richiede dati quantitativi, come per esempio i flussi di traffico o la produzione industriale, oltre che analisi di laboratorio sul materiale particolato raccolto […]”.

E per eseguire confronti è necessario anche considerare la meteorologia, elemento che varia di giorno in giorno: “Non si può quindi semplicemente confrontare la situazione di queste tre settimane con quella dell’anno precedente o delle tre settimane precedenti, poiché sarebbe un’analisi semplicistica”.

Per quanto riguarda, infine, le presunte correlazioni tra inquinamento atmosferico e diffusione del contagio da Covid-19, in una nota dell’Arpa del Veneto si legge che (neretti nostri) “è possibile affermare con chiarezza che, al momento, non esistono studi approvati e condivisi dalla comunità scientifica in grado di dimostrare che la diffusione del Coronavirus sia causata dall’inquinamento da particolato atmosferico”.

Il riferimento è al “documento di posizione” diffuso nei giorni scorsi dalla Società italiana di medicina ambientale (Sima), dove si suggerisce una possibile relazione tra il superamento dei limiti di polveri sottili, rilevati nel periodo 10-29 febbraio, e il numero di persone contagiate dal Covid-19, perché le elevate concentrazioni di particolato fine nell’aria potrebbero aver accelerato la diffusione del virus.

Il dibattito, in definitiva, resta apertissimo e certamente vedrà nuovi sviluppi nelle prossime settimane, quando emergeranno nuove analisi sui dati atmosferici e sulla diffusione del contagio.

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