L’idrogeno, il coltellino svizzero del Pnrr che fa di tutto, ma poche cose per bene

Tanti progetti, alcuni dei quali lasciano perplessi e un'apertura all'idrogeno blu da metano. Il rischio di sopravvalutare le applicazioni di questo vettore e la sua efficienza complessiva.

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Le informazioni di dettaglio circa l’idrogeno occupano lo spazio maggiore fra tutte le specifiche contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano.

Già da questo si può dedurre l’importanza che il nostro paese ha deciso di dare, a torto o a ragione, a questo vettore energetico, immaginandolo come una sorta di coltellino svizzero, buono cioè per tutti gli usi, o di passe-partout, capace nelle intenzioni del legislatore di aprire un po’ tutte le porte che conducono alla decarbonizzazione.

Cercheremo di sintetizzare qui in che modo i dettagli del Pnrr contribuiscono a delineare il ruolo che il nostro paese dovrebbe svolgere nella costruzione di una filiera europea di questo gas.

Nella scheda che il governo italiano ha recentemente inviato a Bruxelles, oltre a riassumere le linee guida preliminari della strategia nazionale sull’idrogeno, si specifica che per portare dal circa l’1% attuale a circa il 2% il ricorso all’idrogeno nei consumi finali di energia al 2030 “saranno necessari fino a ~10 miliardi di euro di investimenti tra il 2020 e il 2030”, esclusi quelli per la capacità di generazione rinnovabile che sarà necessaria per produrre idrogeno verde.

Nel testo, consultabile dal link in fondo a questo articolo, si legge che questi 10 miliardi di euro includono:

  • ~5-7 miliardi in investimenti necessari per la produzione di idrogeno;
  • ~2-3 miliardi in investimenti in attrezzature per la distribuzione e il consumo di idrogeno (ad esempio, treni e camion a idrogeno, stazioni di rifornimento, ecc.;
  • ~1 miliardo di investimenti in ricerca e sviluppo;
  • e, infine, “alcuni investimenti in miglioramenti delle infrastrutture (per esempio la rete del gas) per integrare adeguatamente la produzione di idrogeno con gli usi finali”.

Fino alla metà di questi investimenti potrebbero essere forniti da risorse e fondi ad hoc, tra cui, appunto, il Recovery fund e i progetti importanti di interesse comune europeo (IPCEI), istituiti dalla Commissione europea.

Il prodotto interno lordo ne sarà stimolato con un impatto stimato fino a ~27 miliardi di euro, includendo sia la fase di costruzione che quella operativa dei progetti in questione, con quest’ultima che durerà più di 20 anni, si legge nel documento.

Gli investimenti nel settore dell’idrogeno dovrebbero creare oltre 200mila posti di lavoro temporanei nel prossimo decennio, cioè durante la fase di costruzione e installazione degli elettrolizzatori e di sviluppo di veicoli a celle a combustibile, per esempio. Fino a 10.000 posti di lavoro permanenti dovrebbero poi rimanere nel medio periodo, indica la scheda di dettaglio.

Obiettivi

Vista la mole dei dettagli riguardanti l’idrogeno, ci limiteremo qui solo ad elencare gli obiettivi e a scegliere qualche esempio degli ambiti principali in cui è trattato questo vettore.

Gli obiettivi sono i seguenti:

  • Ridurre le emissioni per contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Pniec.
  • Incrementare il potenziale non sfruttato delle rinnovabili come fattore chiave del nuovo sviluppo economico.
  • Introdurre nella struttura industriale ed economica un nuovo paradigma di sviluppo.
  • Idrogeno come fattore abilitante per favorire la crescita sostenibile e l’occupazione, in particolare post COVID-19.
  • Idrogeno come ponte di connessione tra la produzione e il consumo intermittente di energia rinnovabile.
  • Complementarità dell’idrogeno, vale a dire “nessuna concorrenza con le altre fonti di energia”.
  • Sviluppo di un futuro (nuovo) mercato dell’idrogeno.
  • Promozione per sostenere la domanda e l’offerta di idrogeno.
  • Creare le condizioni per un circolo virtuoso da parte delle autorità locali per sostenere la realizzazione di progetti di idrogeno
  • Consolidare e sviluppare le esperienze passate sull’applicazione dell’idrogeno.

Gli ambiti principali in cui saranno perseguiti gli obiettivi appena elencati sono:

  • Produzione di idrogeno in aree dismesse (le cosiddette “Hydrogen Valley” o valli dell’idrogeno).
  • Uso dell’idrogeno in settori difficili da decarbonizzare.
  • Test dell’idrogeno per il trasporto su strada.
  • Test dell’idrogeno per la mobilità ferroviaria.
  • Ricerca e sviluppo dell’idrogeno, focalizzata su:
    • produzione da elettrolisi con energie rinnovabili;
    • produzione da fonti energetiche diverse con tecnologie emergenti e in fase pre-commerciale, con particolare riferimento a tecnologie innovative per lo stoccaggio e il trasporto dell’idrogeno, e alle celle a combustibile per applicazioni stazionarie e di mobilità;
    • trasformazione dell’idrogeno in derivati, i cosiddetti “e-fuel”, come nella produzione di metano sintetico “100% rinnovabile da idrogeno verde” e CO2 di origine biologica, per favorire il trasporto e la distribuzione di gas nella rete e verso gli utenti, anche in prospettiva di accumulo geologico stagionale;
    • identificazione di tecnologie abilitanti, modelli di business e figure professionali che favoriscano lo sviluppo dell’economia dell’idrogeno;
    • innovazione e digitalizzazione di sistemi e reti energetiche, per aumentare l’interconnessione tra asset fisici, persone e informazioni attraverso sensori, intelligenza artificiale e sistemi di controllo, che permettono di aumentare la resilienza e l’affidabilità delle infrastrutture.

Settori difficili da decarbonizzare

Fra i settori difficili da decarbonizzare che il documento prende in considerazione ci sono quello dei prodotti chimici e della raffinazione del petrolio, in cui l’idrogeno è già utilizzato, non come carburante ma come reagente chimico, per la creazione di prodotti chimici di base, come l’ammoniaca, molto importante per i fertilizzanti in agricoltura, e il metanolo, e in una serie di processi di raffinazione.

L’idrogeno è quasi interamente prodotto attualmente nella sua forma “grigia“, tratta cioè dal gas naturale usando un processo di Steam Methane Reforming (SMR).

Poiché questo processo emette molta CO2, nell’ordine dei 7-9 kg CO2 per kg di idrogeno, la sostituzione dell’idrogeno grigio con quello verde da elettrolisi alimentata con le rinnovabili potrebbe rappresentare uno dei comparti più convenienti e promettenti da decarbonizzare con lo sviluppo dell’idrogeno verde. Purché l’idrogeno continui a essere prodotto in loco, con le rinnovabili tramite elettrolisi e a costi competitivi, cosa non facile alle nostre latitudini.

Il documento di sintesi non parla subito in realtà di idrogeno verde, bensì di “idrogeno a basso contenuto di carbonio”, ritenendolo una “valida alternativa, come passo intermedio verso l’idrogeno verde”.

Il riferimento è all’uso intermedio dell’idrogeno blu, prodotto cioè sempre con il gas metano ma con la cattura della CO2 – un processo che ne aumenta i costi, che rende molto meno vantaggioso il bilancio energetico e che sembra rispondere più alle esigenze dei produttori tradizionali di gas fossili, che a quella di una rapida decarbonizzazione.

Per quanto riguarda l’uso industriale dell’idrogeno anche come materia prima energetica, cioè come carburante, un utilizzo plausibile potrebbe essere quello nei processi che richiedono alte temperature, oltre 1.000 °C, per esempio, come nell’industria dell’acciaio o del cemento, del vetro e della ceramica, in cui l’elettrificazione potrebbe non essere sempre l’alternativa più efficiente o fattibile a causa del necessario aggiornamento dell’infrastruttura esistente, secondo il rapporto.

Per l’uso dell’idrogeno al posto del gas naturale nei settori appena menzionati, l’esigenza è adattare gli impianti industriali esistenti allo stoccaggio e combustione dell’idrogeno ad uso termico nei cicli di produzione. C’è quindi la necessità di finanziare la ricerca e sviluppo, oltre al costo per l’investimento nella modifica degli impianti.

In tal senso, è in fase di valutazione la possibilità di accedere a delle garanzie per i rischi finanziari in caso di aumento del divario dei prezzi fra gas naturale e idrogeno, indica il rapporto.

Per l’utilizzo dell’idrogeno nell’industria siderurgica, il costo stimato per le attività di studio, costruzione di prototipi e campagne sperimentali nella prima fase è di 70 milioni di euro (stima del RINA).

Conclusioni

Il dettaglio del Pnrr si sofferma anche sugli altri possibili usi dell’idrogeno, menzionati nell’elenco precedente.

È impossibile fare giustizia al dibattito sull’idrogeno in un articolo. Fondamentalmente, però, fatti salvi tutti i casi in cui l’idrogeno è usato non come carburante ma come agente chimico – cioè nella produzione di fertilizzanti (ammoniaca), di prodotti chimici e dello stesso acciaio, dove l’idrogeno può sostituire il monossido di carbonio ottenuto dal coke di carbone per ridurre l’ossido di ferro in ferro metallico – per moltissimi altri possibili usi il rischio è che si tenda a sopravvalutare le applicazioni dove l’idrogeno è realmente efficace economicamente ed efficiente energeticamente, come accennato in un precedente articolo. (La falsa promessa di sostituire gas e petrolio con carburanti derivati dall’idrogeno).

Basti pensare che i veicoli alimentati con celle a combustibile, per esempio, hanno un’efficienza finale solamente intorno a circa il 30% rispetto a un efficienza di circa il 90% dei veicoli elettrici, in base a quanta energia si perde lungo il percorso dal modulo fotovoltaico o dalla pala eolica alla ruota, se questa energia deve prima essere deviata verso un elettrolizzatore per produrre l’idrogeno che poi sarà usato dalla cella a combustibile.

In questo senso, tutta la capacità rinnovabile dedicata a usi energeticamente poco efficienti dell’idrogeno potrebbe risultare in una certa misura “sprecata”, sottratta cioè ad altri usi potenzialmente più utili per la decarbonizzazione.

La strategia nazionale italiana e di molti altri paesi per l’idrogeno rischia insomma di attuare un’allocazione poco efficace degli investimenti, dal punto di vista della decarbonizzazione almeno, anche se magari non dal punto di vista di chi lavora nel settore del gas naturale e dell’idrogeno.

Si parla, infatti, a livello mondiale, di investimenti complessivi per 15.000 miliardi di dollari, con un picco di 800 miliardi di dollari all’anno nel 2030. Questo vuol dire investire il Pil attuale dell’Arabia Saudita, ogni anno, solo per fare idrogeno dall’elettricità, magari anche pulita, quando la maggior parte di ciò che, come paese, vogliamo fare con quell’idrogeno, si potrebbe realizzare in modo molto più efficiente ed economico direttamente con l’elettricità, tramite tecnologie già mature, comprovate e a buon mercato.

La sbandierata complementarità dell’idrogeno, che dovrebbe fare “nessuna concorrenza con le altre fonti di energia”, rischia di diventare nella sostanza uno degli obiettivi più disattesi del Pnrr.

Il coltellino svizzero dell’idrogeno sarà senz’altro capace di molte applicazioni, soprattutto se ci investiremo vagonate di soldi. Ma è meglio prima essere consapevoli del fatto che un coltellino svizzero non fa bene nessuna delle sue tante applicazioni e che contrastare i cambiamenti climatici con un coltellino svizzero multi-uso potrebbe comportare alla fine un esborso ancora maggiore, e inutile, rispetto a quello già ingentissimo che questa sfida richiede.

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