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Decreto Fer 1 e sblocco idro, la preoccupazione per i fiumi

Un intervento di Lucia Ruffato, presidente del Coordinamento Nazionale Tutela Fiumi - Free Rivers Italia, in merito alla probabile reintroduzione di incentivi all'idroelettrico su acqua fluente.

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È davvero strategico per il nostro Paese continuare a incentivare con soldi pubblici il mini-idroelettrico, compromettendo gli ultimi tratti naturali dei corsi d’acqua montani?

La risposta si può dedurre dal Rapporto statistico 2017 del GSE, da cui emerge come il contributo degli impianti fino a 1 MW – gli unici che ancora si possono costruire, essendo già sfruttata la gran parte delle risorse idriche – sia rimasta sostanzialmente invariata. Non solo, ma dal 2014 la produzione è in calo. Nel 2017, in particolare, è diminuita nonostante nel 2016 siano entrati in funzione 538 nuovi impianti.

A sollevare la questione è il Coordinamento Nazionale Tutela Fiumi – Free Rivers Italia, che riunisce oltre cinquanta tra comitati e associazioni sulle Alpi e gli Appennini e ha l’obiettivo di chiedere allo Stato e alle Regioni di salvaguardare gli ultimi tratti fluviali ancora liberi da sfruttamento, in conformità con la Direttiva Quadro Acque.

I fattori meteorologici rappresentano la ragione principale della variabilità della produzione idroelettrica: sono gli effetti del cambiamento climatico, come sottolineano ormai da anni gli scienziati. Le previsioni future suggeriscono che questa sarà la tendenza ma, paradossalmente, il mini-idroelettrico, incentivato proprio per la produzione di energia verde e per la lotta al cambiamento climatico stesso, sembra non tenerne conto.

Sono le stesse associazioni di produttori a lanciare l’allarme, chiedendo “lo stato di calamità naturale” per gli impianti esistenti, in quanto la siccità ha diminuito le produzioni. Afferma Assoidroelettrica in una lettera indirizzata ai Ministri Di Maio e Costa: «Sono passati quei tempi in cui idroelettrico era sinonimo di guadagni anche significativi. In pochi anni i numeri in gioco si sono letteralmente stravolti».

Date le perdite dichiarate, appare non giustificata la richiesta di reintrodurre l’incentivazione per 550 nuovi impianti che, senza il sostegno di Stato, risulterebbero antieconomici e la cui realizzazione darebbe un contributo trascurabile alla produzione di energia verde. Non solo la fonte idroelettrica in Italia è oramai ipersfruttata, ma gli impianti idroelettrici di piccola dimensione risultano anche assai più costosi di altre fonti rinnovabili come riportato anche nella SEN.

Inizialmente, lo schema di Decreto per l’incentivazione dell’energia da fonti rinnovabili, predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico e presentato all’attenzione della competente Commissione Europea, prevedeva un ridimensionamento degli incentivi alla produzione idroelettrica, destinandoli solo a impianti in ambiente artificializzato, come per esempio canali irrigui.

Questa decisione era stata presa alla luce dei danni ambientali che gli impianti idroelettrici realizzati negli ultimi anni hanno arrecato ai corsi d’acqua nazionali, e in particolare a quelli alpini, e per il perdurare del mancato rispetto della Direttiva Quadro Acque nelle procedure autorizzative così come certificato dall’apertura della procedura di pre – infrazione EU PILOT 6011/2014 ENVI.

Questo Coordinamento aveva accolto lo schema di decreto con favore, vedendo finalmente ascoltate le tante istanze sollevate attorno allo sfruttamento di centinaia di piccoli corsi d’acqua di alta qualità ambientale. Con quel decreto, si eviterebbe non solo la costruzione di impianti che di “mini” hanno solo il nome, ma anche l’apertura di cantieri ad alta quota, con piste per il passaggio di mezzi pesanti in contesti delicati, spesso anche interessati da rischio idrogeologico.

Vallate alpine e appenniniche, se tutelate, possono invece rappresentare il fulcro di nuove attività economiche, per lo sviluppo di un turismo lento e sostenibile, legato allo sviluppo degli sport di acqua viva, sempre più apprezzati e ricercati. Vanno inoltre considerati i servizi ecosistemici, ovvero i vantaggi che la natura, in quanto tale, fornisce gratuitamente all’uomo e che bisognerebbe quantificare in termini monetari.

Ma oggi, con l’annunciata reintroduzione dell’incentivo (QualEnergia.it, Decreto rinnovabili Fer 1 verso lo sblocco: compromesso sull’idro) all’idroelettrico nei corsi d’acqua naturali, la tutela degli ultimi corsi d’acqua integri nel nostro Paese rischia di essere compromessa, con l’aggravante che rispetto alla bozza Calenda del precedente governo, le tariffe in decreto sono state addirittura aumentate.

Per il Coordinamento, le Linee Guida emanate dal Ministero dell’Ambiente nel 2017, che dovrebbero essere rispettate nelle opere di derivazione, non sono sufficientemente stringenti per evitare i danni ambientali. Nella pratica, infatti, attraverso i referenti che il Coordinamento ha su tutto il territorio nazionale, si è osservato come queste prescrizioni siano state variamente interpretate dai diversi Distretti Idrografici diminuendo la tutela rispetto a quanto previsto dal Ministero ed inficiandone spesso l’efficacia.

Inoltre se i 550 impianti definiti dalle associazioni di categoria “cantierabili” sono quelli inseriti in tabella C del GSE 2016 come non rientranti nel contingente, non possono essere stati valutati con le Linee Guida del Ministero in quanto approvati o concessi anteriormente alla loro emanazione.

Il mancato rispetto della Direttiva Acque nei processi autorizzativi di diversi impianti è stato d’altra parte dimostrato anche da alcune sentenze della Corte di Cassazione a sezioni Unite: solo per fare due esempi, a dicembre 2018 per due torrenti del Bellunese, il Grisol e il Talagona, il giudice supremo ha dato ragione a chi si opponeva alla costruzione di impianti in questi corsi d’acqua naturali, pure autorizzati in violazione della normativa.

La realizzazione di nuove opere potrebbe dunque portare a una sanzione europea per mancato rispetto della Direttiva Acque. Incentivando nuove centraline anche sui torrenti naturali, si rischierebbe quindi di dover far pagare due volte i cittadini, prima per gli incentivi – che tutti versiamo in bolletta – poi per un’eventuale infrazione comunitaria. Oltre il danno, la beffa.

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