La decarbonizzazione e la “ragnatela” italiana

Grazie anche alla risorsa strategica dello storage, la rete elettrica nazionale è pronta alla transizione energetica. Investendo adesso, si può puntare a un sistema con il 100% di rinnovabili. Dal convegno del Coordinamento Free.

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La rete che serve per la transizione energetica deve somigliare a una ragnatela: resiliente e flessibile, come dovrebbero diventare le infrastrutture per sostenere un sistema elettrico sempre più alimentato da fonti rinnovabili.

Questa la metafora che ha dato il titolo al convegno del Coordinamento Free, che si è tenuto martedì 10 giugno a Roma, presso l’Ordine degli Ingegneri, e che si intitolava appunto “La ragnatela che sostiene la decarbonizzazione” (video e slide in basso).

Ad aprire l’incontro, la relazione di GB Zorzoli, già presidente di Free, che ha smontato molte delle false credenze ancora diffuse sul tema, a partire da quella secondo cui un sistema elettrico rinnovabile sarebbe intrinsecamente instabile: la chiave, ha ricordato, è nello storage.

Tre le condizioni che servono affinché, al crescere della produzione da Fer non programmabili, il sistema elettrico resti flessibile e resiliente come la tela di un ragno: la presenza, come in Italia, di una significativa produzione idroelettrica e geotermica; un’adeguata interconnessione alla rete elettrica europea e un crescente apporto di altre misure, in particolare degli accumuli.

Il vantaggio italiano

Un punto di forza del sistema italiano, rispetto ad altri Paesi europei, è la rete di interconnessioni. Zorzoli ha sottolineato come la Spagna, colpita dal blackout, e falsamente additata come vittima della transizione rinnovabile, abbia solo 3 GW di scambio con la Francia, congestionati per il 67% delle ore diurne.

L’Italia, al contrario, può contare su un saldo netto di oltre 7.200 MW grazie ai collegamenti con Francia, Svizzera, Slovenia e Grecia. E in programma ci sono nuovi collegamenti: il raddoppio dell’interconnessione Italia-Grecia; il progetto Elmed tra Italia e Tunisia – prima interconnessione (in corrente continua) tra Europa e Africa – e un possibile collegamento con l’Albania.

Nel 2023 lo scambio netto con l’estero di energia elettrica è stato pari a circa 51 TWh, per cui solo l’83,2% della domanda elettrica è stata soddisfatta dalla produzione nazionale, e l’importazione, oggi, è ancora strutturale.

“Senza quel supporto – ha avvertito Zorzoli – un blackout diventerebbe più probabile. Ecco perché serve accelerare sulle soluzioni interne, a partire dagli accumuli”.

Il ruolo chiave dello storage

Tre le funzioni strategiche di queste tecnologie: bilanciare la rete in millisecondi, spostare l’energia rinnovabile dai picchi di produzione a quelli di domanda, garantire il backup per i carichi critici.

“Le batterie non sono un costo: sono un’opportunità, che la Spagna ha snobbato e noi invece stiamo cavalcando”, ha detto Zorzoli, ricordando come il prezzo di queste tecnologie sia crollato del 90% in 15 anni, replicando la parabola del fotovoltaico.

In questo ambito l’Italia è posizionata relativamente bene, ha sottolineato l’esperto, ricordando che anche il Macse (Mercato a termine degli stoccaggi) è ai blocchi di partenza.

La capacità di accumulo elettrochimico è aumentata significativamente tra il 2020 e il 2024. Nel 2023 quella totale era di oltre 7 GWh, equivalenti a 3,45 GW di potenza nominale, per circa 524mila sistemi di accumulo. Al 31 dicembre 2024, questa capacità è aumentata a 12,94 GWh, equivalenti a circa 5,6 GW di potenza nominale, per circa 733mila sistemi.

Ma ci sono tecnologie trascurate, ha sottolineato Zorzoli: “In Italia non si parla delle batterie al sodio, non infiammabili e low-cost, già installate dalla cinese CATL su auto elettriche e stazioni di swap. È una congiura del silenzio che pagheremo cara” (si veda Batterie al sodio, pronte ad affiancare il litio su scala globale).

Un silenzio che si estende anche ad altre eccellenze italiane: gli accumuli termici ad alta temperatura di Magaldi, il sistema a CO2 di Energy Dome, o i sistemi elettrochimici a lunga durata di Green Energy Storage, sviluppati in Trentino con fondi pubblici finalmente ben spesi, ha osservato.

Un’Italia 100% a rinnovabili

Dopo la premessa di Zorzoli, il professor Livio de Santoli, Prorettore per la Sostenibilità all’Università La Sapienza, ha illustrato i risultati di uno studio che dimostra la fattibilità della completa decarbonizzazione dell’Italia con le sole rinnovabili.

Oltre che nella produzione elettrica, si tratta di raggiungere la neutralità climatica anche nei consumi finali, come trasporti, industria e riscaldamento, con l’abbandono completo delle fonti fossili.

Lo studio ipotizza l’elettrificazione diretta di tutti gli usi finali dove possibile — ad esempio con pompe di calore o veicoli elettrici — e l’elettrificazione indiretta per i settori difficili da decarbonizzare, attraverso idrogeno verde e combustibili sintetici.

A questo si aggiunge l’uso sostenibile della biomassa, lo sviluppo delle tecnologie Power-to-X e l’applicazione del demand side management, cioè l’adattamento dei consumi alla produzione disponibile.

Serviranno, si stima, 210 GW di fotovoltaico, 115 GW di eolico onshore e 56 GW di eolico offshore, 108 GW di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde, 3.090 GWh di capacità di stoccaggio dell’idrogeno, 400 GWh di batterie, oltre ad accumuli termici e tecnologie come il power-to-heat e il vehicle-to-grid.

Questi obiettivi richiederebbero investimenti per circa 1.200 miliardi di euro tra il 2025 e il 2050, pari a circa 48 miliardi all’anno, ovvero il 2,3% del Pil italiano, stima lo studio.

“Si tratta di una cifra ingente, ma comparabile con altri grandi programmi pubblici, e che potrebbe essere coperta con un mix di spesa pubblica, revisione del modello economico e, se necessario, ricorso controllato al deficit”, ha spiegato De Santoli.

Per iniziare, ha sottolineato, è condizione essenziale l’eliminazione dei sussidi alle fossili, che comunque “va gestita con attenzione per non gravare sui bilanci familiari”. Di contro, il mix proposto conterrebbe i prezzi elettrici, portando a una media attorno ai 52,5 €/MWh.

Inoltre, secondo lo scenario, per ogni posto di lavoro perso nei settori legati ai combustibili fossili, si prevede la creazione di circa tre nuovi impieghi.

“Ogni miliardo di euro investito può generare oltre mille nuovi posti di lavoro, a condizione che la politica industriale nazionale accompagni la transizione con misure adeguate di formazione, riconversione e localizzazione della filiera produttiva”.

Efficienza energetica fondamentale

A richiamare l’attenzione sull’importanza dell’efficienza energetica come pilastro della transizione è stato Dario Di Santo, direttore di Fire.

“Abbiamo bisogno di politiche in grado di promuovere uno sviluppo sinergico di efficienza energetica e fonti rinnovabili. Solo così potremo massimizzare i risultati sia in termini economici sia in termini di riduzione delle emissioni di CO2”.

Un approccio sistemico, dunque, in grado di integrare tecnologie, reti e comportamenti, e non fondato su soluzioni miracolistiche o ritorni al passato.

“Il nostro convegno è anche una risposta alle bufale circolate dopo il blackout spagnolo”, ha concluso Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento Free. “Le reti possono reggere la transizione, e le tecnologie italiane offrono anche ricadute industriali concrete. Ma vengono troppo spesso sottovalutate per proteggere interessi fossili che, purtroppo, in Italia sono ancora ben presenti”.

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