Caro bolletta: Italia cornuta e mazziata, e potrebbe andare peggio

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Qualche analisi sulle cause dei recenti aumenti della bolletta elettrica e del gas per gli italiani e cosa potrebbe attenderci nel breve e medio periodo.

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È ormai assodato che la bolletta dell’elettricità per la famiglia-tipo italiana rincarerà del 9,9% e quella per il gas del 15,3% nel terzo trimestre di quest’anno, secondo quanto comunicato dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera).

E i rincari avrebbero potuto essere circa doppi di quelli annunciati da Arera, se il governo non fosse intervenuto con un provvedimento d’urgenza per controbilanciare parte degli aumenti con la riduzione degli oneri generali prelevati in bollette nel trimestre.

“Senza il decreto, l’aumento delle bollette sarebbe stato molto più pesante”, ha commentato il presidente di Arera, Stefano Besseghini.

I rincari sono legati a dinamiche di mercato, che vedono la domanda mondiale di materie prime energetiche aumentare più dell’offerta. Ma sono stati determinati anche da dinamiche normative, legate alle attese che il prezzo della CO2 emessa dalla generazione elettrica a gas e dall’uso del gas nelle case e per le attività produttive farà costare sempre di più la componente fossile del mix energetico che tutti paghiamo in bolletta.

Cause dirette

In particolare, i prezzi europei del gas sono cresciuti di oltre il 30% nel secondo trimestre del 2021 rispetto al primo e risultano sempre più correlati con il prezzo della CO2 che, nel mese in corso, si è attestato oltre 50 euro la tonnellata, secondo Arera.

Il prezzo di riferimento dell’energia elettrica per il cliente tipo sarà di 22,89 centesimi di euro per kWh, mentre quello per il gas sarà di 84,67 centesimi di euro per metro cubo, tasse incluse, ha precisato l’autorità.

L’attenuazione delle misure di contenimento della pandemia, la ripresa della domanda e il miglioramento delle prospettive economiche hanno dunque alimentato i rincari delle materie prime energetiche.

La risalita del prezzo del gas naturale, per effetto di consumi che sono rimasti sostenuti anche nei mesi primaverili, e i contemporanei rincari della CO2 hanno contribuito al rialzo del prezzo dell’energia elettrica: nel secondo trimestre 2021, il Prezzo Unico Nazionale (PUN) è infatti aumentato di circa il 25% rispetto al primo trimestre e di oltre il 200% rispetto all’anno prima, raggiungendo una media di oltre 74 euro al MWh, contro i 24,8 euro al MWh dello stesso trimestre di un anno fa.

Per quanto riguarda i prezzi a termine dell’energia elettrica, che risentono in misura maggiore della dinamica del prezzo della CO2 (anche indirettamente tramite il prezzo a termine del gas naturale), le quotazioni per il trimestre luglio-settembre si sono portate, nel mese di giugno, mediamente oltre gli 85 euro al MWh.

In aggiunta alla crescita del prezzo della CO2, un altro elemento che ha contribuito ai rincari in bolletta è stata la domanda attesa di gas per il riempimento degli stoccaggi, caratterizzati quest’anno da livelli storicamente bassi, in concorrenza con la domanda per la produzione elettrica nella stagione più calda, ha precisato l’autorità.

“Il prezzo a termine del terzo trimestre 2021 – rilevante per l’aggiornamento delle condizioni di tutela – risulta in aumento di circa il 50% rispetto a quello utilizzato per l’aggiornamento del secondo trimestre 2021”, ha comunicato Arera.

Cause di lungo corso

L’Italia si ritrova, per un usare un eufemismo, cornuta e mazziata: un paese baciato dal sole che negli ultimi anni ha però di fatto frenato la crescita delle energie rinnovabili, ritagliando invece quanto più spazio possibile al gas metano importato, esponendosi ai capricci o ai ricatti dei paesi produttori.

E ora che il gas rincara, per motivi sia economici che che geopolitici notoriamente fuori dal suo controllo, e che la percentuale di consumi soddisfatti dalle rinnovabili ristagna da anni, nonostante il potenziale di energia solare, l’Italia si ritrova una bolletta energetica con rincari a doppia cifra.

Sarebbe stato strano il contrario.

L’equivoco di fondo è che troppa parte delle classi dirigenti politiche e industriali italiane, per convenienza e miopia, pensano ancora alla transizione energetica come passaggio dal carbone al metano, piuttosto che dalle fonti fossili tout court alle rinnovabili.

Cosa attendersi, dunque, per il futuro a breve-medio termine? Viste le premesse appena accennate, la situazione è delicata: se l’economia riprenderà, come tutti si augurano e come l’entità del recovery fund lascia presagire, il paradosso energetico dell’Italia rischia di acuirsi.

Da una parte, gli investimenti in nuova capacità fossile sono in calo da qualche tempo ormai nel mondo, nella logica di una transizione da gas e greggio a solare ed eolico.

Dall’altra, però, viviamo ancora in un mondo alimentato per lo più a fonti fossili. Per quanto massicci e in crescita, gli investimenti mondiali, per non parlare di quelli italiani, in fonti rinnovabili non sono ancora sufficienti a soppiantare con la rapidità necessaria il grosso delle fonti tradizionali, che quindi continuano a guidare le nostre bollette.

“La componente combustibili sta pesando molto; sicuramente è il gas in questo momento il driver centrale del prezzo elettrico”, ha detto Simona Soci, analista di RES-E, a QualEnergia.it.

“Se le rinnovabili fossero cresciute ad un ritmo ragionevole, noi saremmo oggi come la Germania, cioè con più del 40% delle rinnovabili che coprono i consumi finali elettrici. A quel punto si sarebbe ridotto molto il ruolo dei cicli combinati [a gas] e quindi avremmo un minore rincaro”, ha detto G.B. Zorzoli, presidente onorario del Coordinamento FREE (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), alla nostra testata.

“Un’azione di lobby ha bloccato lo sviluppo delle rinnovabili, i consumi finali di energia elettrica che coprono oggi le rinnovabili sono quelli di 7-8 anni fa e adesso ne paghiamo il costo”, ha aggiunto.

Come si intuisce, quindi, le dinamiche di mercato legate all’andamento di domanda e offerta delle materie prime energetiche su scala mondiale, in Italia sono state amplificate da scelte normative e regolatorie di politica energetica e industriale.

Il mercato delle emissioni

Se non bastassero i colli di bottiglia determinati dallo squilibrio fra domanda e offerta di materie prime energetiche, anche gli aspetti legati ai permessi di emissione e al prezzo della CO2, come avvenuto in questo trimestre, potrebbero contribuire a ulteriori rincari delle bollette nel breve-medio termine, a causa, appunto, della troppa incidenza delle fossili.

La decisione della Commissione europea di aumentare dal 40% ad almeno il 55% l’obiettivo di taglio delle emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990 è stato un momento di svolta cruciale per il prezzo della CO2. Una maggiore ambizione che si tradurrà in un numero minore di permessi di emissione messi a disposizione del mercato.

I dettagli del cosiddetto pacchetto “Fit for 55” di proposte legislative per la riforma del sistema delle emissioni (ETS) che la Commissione dovrebbe presentare verso metà luglio potrebbero consentire di capire meglio cosa cambierà per i permessi di emissione e come questi potrebbero incidere nei prossimi trimestri sulle nostre bollette.

“Porterà una regolazione più stringente nel senso di sostenere il prezzo della CO2, quindi è possibile che le quote messe a riserva nella Market Stability siano più alte, che venga aumentato [cioè] il fattore di riduzione delle emissioni, quindi conseguentemente ridotta l’offerta di certificati messi all’asta, ed è possibile che venga rivista la percentuale delle allocazioni gratuite, che porterebbe ad un aumento della domanda, ecc. … Non si sa ancora nulla, però è chiaro che gli operatori si stanno coprendo, acquistando [permessi di emissione sul mercato], ha detto Soci.

A settembre, Arera, da parte sua, dovrà poi valutare se cominciare a riallineare gli oneri di sistema con la media precedente al trimestre in corso, facendoli cioè aumentare di nuovo. Questo, assieme all’orientamento della Commissione europea sui prezzi della CO2 che emergerà a metà luglio, e in base alle attese sui prezzi delle materie prime energetiche, determinerà il corso delle bollette nell’ultima parte dell’anno.

Il peso dei mercati secondari

Quello di cui forse non si tiene abbastanza conto circa gli effetti che i permessi di emissione potrebbero avere nel medio-lungo termine sulle bollette è il ruolo dei mercati secondari di tali permessi e di altri strumenti finanziari come le opzioni, che danno il diritto di vendere o comprare un determinato bene nel futuro a prezzi predeterminati.

In ambito europeo, l’Unione fornisce i permessi di emissione gratuitamente alle aziende soggette al commercio di emissioni oppure le mette all’asta ad un costo che qualunque azienda può decidere di pagare per partecipare al sistema. Una volta che tali permessi sono in circolazione, però, posso essere scambiati sui mercati secondari da parte delle stesse aziende e, soprattutto, da trader e investitori professionali.

È interessante notare che i permessi messi all’asta dall’Unione hanno rappresentano appena il 5,2% del valore complessivo di tali strumenti nella stessa Unione Europea, secondo la società di analisi finanziarie Refinitv.

Il grosso del valore è espresso dal mercato secondario: la fetta di permessi scambiati sulle borse o “over the counter”, cioè su mercati non regolamentati, rappresentano, rispettivamente, il 90,2% e il 4,4% degli oltre 201 miliardi di euro mossi da questo settore in Europa l’anno scorso.

In parole povere, quasi il 95% dei permessi di emissione, nel quale non sono stati neanche calcolati strumenti derivati come le opzioni, è mosso nell’ambito dei mercati secondari, alla stregua di molti altri strumenti finanziari. E come tanti altri di questi strumenti potrebbe essere soggetto a movimenti e speculazioni rialziste di mercato che potrebbero anche sfuggire di mano all’ordinata e regolamentata conduzione prefigurata dalla Commissione europea.

Aprire i rubinetti?

È vero che la Commissione, un po’ come fanno le banche centrali nel caso della moneta, può intervenire sulla quantità di “liquidità”, cioè di permessi di emissione in circolazione.

Così come in passato ha aumentato la Market Stability Reserve per prosciugare la “liquidità”, in futuro potrebbe in teoria aprire i rubinetti mettendo all’asta o allocando gratuitamente un numero maggiore di “permessi di inquinamento”.

Ma una scelta del genere tradirebbe l’intento del sistema ETS, sconfesserebbe gli obiettivi di riduzione delle emissioni e andrebbe a contraddire lo spirito dell’impianto normativo e politico che si sta faticosamente cercando di attuare. E potrebbero esserci investitori pronti a forzare la mano della Commissione e a scoprire un suo eventuale bluff, legato a un ipotetico aumento dei permessi di emissione che l’Europa in realtà non vuole e politicamente non può fare.

Viene alla mente il cosiddetto mercoledì nero del 16 settembre 1992, quando la lira italiana e la sterlina inglese furono costrette ad uscire dal Sistema monetario europea, per l’impossibilità delle banche centrali dei due paesi di mantenere i propri tassi d’interesse e di cambio in linea con quelli dello Sme, portando ad una forte svalutazione delle due monete.

Mutatis mutandi, cambiando il segno della scommessa dei mercati dal meno al più, in uno scenario speculativo che sfugga al controllo della Commissione, non è poi così difficile immaginare rincari molto sensibili dei permessi d’emissione, sostenuti dagli impegni di decarbonizzazione che difficilmente la Commissione vorrà rimangiarsi.

Tali rincari potrebbero fare bene alla decarbonizzazione, ma nel frangente farebbe aumentare altrettanto sensibilmente le bollette dei paesi dove le fossili pesano ancora molto, penalizzando soprattutto i cittadini più deboli e premiando soprattutto gli investitori professionali più bravi a muoversi in un mercato relativamente opaco, i cui effetti ricadrebbero a pioggia in maniera indistinta su tutti.

È quindi possibile che nel breve-medio termine le bollette continueranno ad aumentare a causa della perdurante, eccessiva, influenza delle fonti fossili e dei loro più o meno velati sostenitori.

E che nel medio-lungo termine, la presenza delle fossili, se rimarrà troppo alta, ci esporrà in modo sproporzionato non solo alle strozzature delle forniture di materie prime da cui dipendiamo, ma anche a rincari della CO2 che saranno tanto più grandi quanta maggiore sarà la nostra lentezza a sbarazzarci di tale dipendenza e la capacità degli investitori di sfruttare le contraddizioni di una decarbonizzazione monca. Come detto, cornuti e mazziati, insomma.

Se invece, per qualunque motivo, i prezzi della CO2 riprendessero a scendere, a beneficiarne sarebbero solamente le fonti fossili, con conseguente pericolo di una loro possibile maggiore competitività sui mercati. Potrebbero quindi essere sia  degli scenari rialzisti che ribassisti dei permessi di emissione a porre dei rischi, rendendo almeno in parte il sistema Ets un’arma a doppio taglio.

E la carbon tax?

Per evitare almeno in parte queste incertezze, sarebbe meglio forse puntare meno sul sistema ETS e di più sulla creazione di una carbon tax concertata a livello mondiale, un po’ come si sta cercando di fare in queste settimane per la creazione di una tassa minima (fin troppo bassa, in verità) sui redditi d’impresa valida per tutti i grandi gruppi multinazionali, indipendentemente da dove abbiano sede o da dove svolgano la propria attività.

Una carbon tax, oltre ad essere potenzialmente uno strumento più trasparente e tecnologicamente neutro, avrebbe anche il pregio di essere maggiormente programmabile e modulabile dei permessi di emissione, sia per quanto riguarda i destinatari sia per quanto riguarda i beneficiari di tali tasse.

“Gli ETS fanno parte di un mercato opaco” che è difficile governare, ha detto Zorzoli. “Se si vuole fare la transizione energetica e tecnologica si deve governare questo processo”, ha concluso.

La revisione del sistema delle emissioni dovrebbe andare più o meno di pari passo con una proposta separata della Commissione per un meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere. Vedremo se e in che misura si riuscirà a viaggiare su questo doppio binario che mira ad introdurre una seppur limitata versione di carbon tax.

Anche da questo dipenderanno le sorti delle nostre bollette, oltre che il futuro della decarbonizzazione europea e mondiale.

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