Tassa sulla CO2 alle frontiere, l’India verso un ricorso al WTO

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Nuova Delhi vorrebbe rivolgersi all'Organizzazione mondiale del commercio contro il Carbon Border Adjustment Mechanism approvato a maggio dall'Unione europea.

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L’India intende presentare un reclamo all’Organizzazione mondiale del commercio, la WTO, sulla tassa alla frontiera sulla CO2 che l’Ue si appresta a introdurre.

Nel mirino del governo indiano il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), siglato dal Parlamento e dal Consiglio Ue il 10 maggio 2023, che entrerà in vigore in una fase “dimostrativa” da ottobre 2023 (si dovranno solo dichiarare le emissioni dei beni importati) per poi diventare gradualmente operativo dal 2026 al 2034.

Il CBAM

Il meccanismo Ue applicherà una sorta di tassa sulla CO2 alle importazioni di merci ad alta intensità di emissioni, come l’acciaio, il cemento, l’alluminio, i fertilizzanti e l’elettricità.

Per farlo, prevede che gli importatori acquistino dei certificati che riflettano il prezzo della CO2 nel sistema EU-ETS, per un valore calcolato sulle emissioni dirette e indirette associate alla produzione delle merci importate, dal quale si potrà dedurre l’eventuale costo di permessi già pagati nel paese di origine.

La misura europea, pensata per ridurre il rischio di carbon leakage proteggendo l’industria europea dalla concorrenza di produttori esteri non soggetti a norme ambientali simili, secondo stime indiane, si tradurrebbe in dazi dal 20 al 35% sulle importazioni di beni ad alto tenore di carbonio come acciaio, ferro e cemento dall’India.

Nuova Delhi – stando a fonti governative anonime citate dalla Reuters – rivolgendosi alla WTO contro la decisione unilaterale dell’Ue, punta a compensazioni per gli esportatori, in particolare per le piccole imprese.

Le posizioni di India e Ue

L’India vede il prelievo proposto come discriminatorio e di ostacolo al libero scambio; la linea sarebbe di mettere in dubbio la legalità del CBAM, in quanto l’India starebbe già mantenendo gli impegni presi con l’accordo di Parigi delle Nazioni Unite.

Più morbida, per ora, la linea a livello ufficiale. Piyush Goyal, ministro del commercio indiano, si è detto “sicuro che l’intenzione (dell’Ue, ndr) non è quella di creare una barriera al commercio”, ha affermato ieri in una conferenza stampa da Bruxelles, dove è in visita per incontrare i leader europei.

“Rimaniamo impegnati, stiamo discutendo la questione e abbiamo molto tempo davanti a noi in cui lavoreremo insieme per trovare le giuste soluzioni a questo”, ha aggiunto.

Da parte sua, il commissario al Commercio Ue Valdis Dombrovskis ha affermato che la Commissione europea ha progettato attentamente il CBAM, in modo che fosse compatibile con le regole WTO, applicando lo stesso prezzo del carbonio alle merci importate e ai produttori nazionali dell’Ue.

Un panel ministeriale a Nuova Delhi sta esaminando l’impatto delle misure Ue per affrontarlo e tra le ipotesi c’è il riconoscimento reciproco degli audit energetici e dei certificati di scambio di CO2, ha dichiarato lunedì Santosh Kumar Sarangi, direttore generale per il commercio estero al ministero del Commercio indiano.

I timori dell’industria indiana

“Settori come l’acciaio e i piccoli produttori hanno bisogno di più tempo per soddisfare le linee guida dell’Ue”, ha affermato Ajay Sahai, direttore generale della Federazione delle organizzazioni di esportazione indiane.

Nella prima fase, che scatterebbe dal 2026, quasi 8 miliardi di dollari di esportazioni indiane, principalmente acciaio, ferro e alluminio, sarebbero soggetti a dazi, ma entro il 2034 la tassa Ue sulla CO2 alla frontiera coprirà tutte le merci indiane in ingresso in Europa, afferma Sahai.

Tra i timori dell’associazione degli esportatori indiana non c’è solo la perdita di competitività nell’esportare in Europa, dato che la stima è che il CBAM renderebbe più care di circa un quinto le merci indiane soggette alla tassa.

Si teme, infatti, anche il dumping da parte di altri concorrenti internazionali, che, scoraggiati dall’esportare verso il vecchio continente, potrebbero mandare i loro prodotti a basso prezzo sul mercato indiano.

È poi probabile che un meccanismo analogo venga adottato da altri paesi industrializzati tra cui Regno Unito, Canada, Giappone e Stati Uniti, mentre spingono per ridurre le emissioni di carbonio.

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