Aree idonee in Campania: “La legge è pronta e sarà equilibrata”

Il provvedimento slitta dopo la pronuncia del Tar sul decreto del Mase. Sarà una norma molto aperta verso le rinnovabili. La nostra intervista a Simona Brancaccio, dirigente dell’ufficio Valutazioni ambientali della Regione Campania.

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L’iter normativo intorno all’applicazione del decreto Aree idonee è avvolto dal caos. Le Regioni si muovono autonomamente e senza linee guida ben definite.

Ad oggi in tre hanno già deliberato: Friuli-Venezia Giulia e Abruzzo, oltre alla Sardegna il cui testo è stato però rinviato alla Consulta. Altre tre regioni dovrebbero essere in dirittura di arrivo: Toscana, Umbria e Lombardia.

Dentro questo quadro frammentato, la recente sentenza del Tar Lazio che ha imposto al Mase di riscrivere in parte il dm per ridefinire i criteri base.

“Eravamo pronti con la nostra legge, ma aspettavamo il pronunciamento dei giudici amministrativi, sapendo che avrebbe potuto, come ha fatto, cambiare le carte in tavola”, spiega a QualEnergia.it Simona Brancaccio, dirigente dell’ufficio Valutazioni ambientali della Regione Campania.

E quindi come vi siete mossi?

“Abbiamo ritenuto di non impegnare gli organi politici come la giunta e il consiglio per approvare una legge che poi sarebbe stata modificata. Ma siamo pronti, aspettiamo i 60 giorni, poi faremo partire l’iter per il nostro provvedimento, sperando che il Mase non impugni la decisione del Tar”.

Quale orientamento avrete?

“Abbiamo fatto una proposta di legge molto equilibrata, che segue l’approccio della Regione Campania verso le rinnovabili. Abbiamo ritenuto che responsabilmente dovevamo supportare in questo momento storico le fonti rinnovabili perché fanno bene all’ambiente e sono l’unica alternativa, in questo momento, alle fonti inquinanti.

L’obiettivo era fare una legge che tenesse conto delle istanze già presentate, per evitare contenziosi. Ci sarà quindi una fase transitoria che le salvaguardi. Abbiamo cercato di fare una legge che dia il meno possibile discrezionalità nella scelta, anche se sappiamo che soprattutto nelle valutazioni ambientali l’approccio ‘caso per caso’ è la regola”.

Sull’area di rispetto qual è la vostra posizione?

“Il Tar ha già bocciato il limite di 7 chilometri, ma comunque noi ci siamo orientati a non considerarlo, neanche fosse un chilometro o 500 metri. Abbiamo considerato distanze minime di salvaguardia dai fiumi, dalle aree paesaggistiche sotto tutela, ma queste sono già preservate per legge, quindi non serve un provvedimento che le protegga ulteriormente”.

E sulle aree di esclusione?

“Non ne abbiamo previste di particolari. A quello ci ha già pensato il dl 63 del 2024 (dl Agricoltura, ndr), che ha completamente bloccato lo sviluppo di agrivoltaico e fotovoltaico su aree agricole. Ci auguriamo anzi che la Corte costituzionale riesca a modificarne l’articolo 5. Dobbiamo avere delle aree idonee diffuse, anche per evitare condizioni di monopolio: creare piccole zone significa dare in mano a chi è proprietario di quelle aree un potere contrattuale eccessivo”.

Un approccio molto equilibrato, dunque…

“Assolutamente. Di recente il comune di Lacedonia, in provincia di Avellino, ci ha posto un quesito, ossia se si potessero considerare come ‘impianti industriali’ le stazioni elettriche, così da poter considerare idonea l’area entro 500 metri da queste. E ci siamo assunti la responsabilità di dare l’ok.

Abbiamo degli obiettivi da raggiungere in termini di installato; sul 2024 abbiamo un surplus di 178 MW rispetto ai 909 MW richiesti, e per il 2025 siamo circa all’85% dell’opera. Se non autorizziamo gli impianti come li raggiungiamo questi target? Non possiamo mancarli, anche per una questione di rispetto delle leggi e delle generazioni future”.

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