Investire nel cosiddetto “agrivoltaico”, il fotovoltaico integrato con le attività agricole senza (o con minimo) consumo di suolo, offre notevoli opportunità, non solo per la generazione di energia elettrica con grandi impianti, ma anche per migliorare le rese delle colture.
Tuttavia, finora in Italia l’agrivoltaico non è decollato, a causa di diversi ostacoli, tra cui la mancanza di chiarezza su quali tipi di impianti possono rientrare in questa definizione.
L’agrivoltaico è anche una voce del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che prevede di installare 1-2 GW di impianti, finanziandoli con 1,1 miliardi di euro.
Vediamo allora quali sono potenzialità, vantaggi e problemi del fotovoltaico agricolo nel nostro paese, con l’aiuto di due ricercatori Enea: Alessandra Scognamiglio, coordinatrice del gruppo di lavoro Enea sull’agrivoltaico sostenibile, e Alessandro Agostini, tra gli autori di un recente studio pubblicato su Applied Energy sulle prestazioni economiche e ambientali di tre tipologie di impianti realizzati in Pianura Padana.
Gli impianti esaminati nello studio hanno una potenza cumulativa di circa 6,6 MW con oltre 23.800 pannelli installati su un’area totale di 34 ettari. I moduli sono agganciati a strutture tubolari di 12 metri, a un’altezza di cinque metri dal suolo in modo da consentire la coltivazione dei terreni a rotazione, inclusi i cereali.
C’è ancora molta incertezza in Italia su cosa sia un impianto agrivoltaico: quali devono essere le sue caratteristiche?
(Agostini) L’impianto deve garantire vantaggi agronomici. Ad esempio, oltre a evitare consumo di suolo, l’agrivoltaico limita l’evapotraspirazione dalle piante e dal terreno e riduce il fabbisogno idrico. Un altro vantaggio è la possibilità di stabilizzare la produzione delle colture in diverse condizioni ambientali, perché l’ombreggiamento dei pannelli diminuisce la temperatura del suolo e il conseguente stress idrico.
Quindi cosa avete scoperto, grazie allo studio fatto da Enea con l’Università Cattolica di Piacenza, sugli impianti agrivoltaici in Pianura Padana?
(Agostini) Facendo una simulazione modellistica su 40 anni di produzione di mais in differenti condizioni climatiche, si è visto che negli anni di siccità i campi situati sotto i pannelli fotovoltaici sono i più produttivi, mentre negli anni privi di siccità la produzione per ettaro è maggiore sui campi aperti. Il vantaggio dell’agrivoltaico è aumentare la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici, un punto essenziale visto che si sta andando verso un clima complessivamente più arido in molte zone agricole.
Intanto l’agrivoltaico è stato inserito nel Pnrr: di che iniziative si parla e qual è il ruolo Enea?
(Scognamiglio) Enea ha istituito una task-force interna multidisciplinare, che coinvolge il dipartimento Sostenibilità e il dipartimento Tecnologie energetiche rinnovabili, che sta lavorando sul tema dell’agrivoltaico sostenibile. Finora sono stati condotti pochi studi scientifici su impianti agrivoltaici sperimentali e di piccole dimensioni. Così abbiamo sviluppato una chiara metodologia e vari indicatori di prestazione, per supportare i decisori politici, quando devono valutare le caratteristiche dei progetti.
Quali elementi avete considerato per valutare la sostenibilità di un progetto agrivoltaico?
(Scognamiglio) Gli indicatori prevedono diverse categorie legate, ad esempio, ai tipi di terreno e di paesaggio, alla valutazione dei potenziali di irraggiamento solare, risorse idriche e rese agricole, alle prestazioni ecologiche complessive [biodiversità, tutela del suolo: si veda l’articolo con le nuove linee guida di SolarPower Europe per realizzare impianti efficienti e sostenibili, ndr.]. L’obiettivo è realizzare, magari nell’ambito del Pnrr, una serie di impianti pilota in differenti contesti agricoli-paesaggistici, monitorando le prestazioni energetiche e le rese delle colture.
Perché in Italia è così difficile sbloccare le autorizzazioni agli impianti a fonti rinnovabili, soprattutto quelli inseriti in contesti agricoli?
(Scognamiglio) Oggi quando un progetto agrivoltaico va in autorizzazione regionale, deve passare attraverso più di 30 enti decisori, ognuno dei quali ha i suoi criteri di valutazione, non necessariamente condivisi con gli altri enti. Spesso c’è una grande difficoltà nel capire quando un impianto è da autorizzare oppure no. Si fa fatica a valutare l’agrivoltaico come progetto nella sua interezza e a leggere gli impianti come parte del paesaggio. Inoltre, le sinergie tra la produzione di energia e quella agricola non sono affrontate e dimostrate in modo adeguato.
Le regioni in molti casi si oppongono ai nuovi progetti su aree agricole. Qual è il problema?
(Scognamiglio) Spesso mancano le aree designate, perché le regioni non hanno ancora mappato le aree idonee/non idonee alla realizzazione degli impianti. In più, le Soprintendenze si trovano davanti a progetti estremamente grandi rispetto al passato, progetti fotovoltaici da 300 ettari mentre negli anni passati erano molto più piccoli, tra uno e dieci ettari in media. Gli obiettivi energetici sono molto ambiziosi ma non esiste un “vocabolario” integrato con cui valutare gli impianti agrivoltaici. Poi va detto che in Italia l’alterazione del paesaggio è vista in generale con sospetto. Sarebbe opportuno stabilire criteri progettuali che rendano gli impianti possibili sotto certe condizioni prestazionali specifiche.
Guardiamo ora ai costi: che differenza c’è tra impianti agrivoltaici e installazioni “normali” a terra?
(Agostini) Il valore Lcoe [Levelized cost of electricity, cioè il costo tutto compreso per produrre energia elettrica, ndr.] di un impianto agrivoltaico è leggermente più alto, rispetto a un impianto a terra tradizionale, ad esempio nello studio pubblicato è sui 9 centesimi di euro per kWh anziché 8 cent/kWh, a causa soprattutto dei maggiori costi iniziali di investimento.
Come si può superare la barriera del costo iniziale di investimento?
(Agostini) Almeno nella fase iniziale di sviluppo dell’agrivoltaico c’è bisogno di un incentivo, anche semplicemente sul lato delle autorizzazioni, anziché economico. Poi una strada può essere quella di separare la parte agronomica da quella strettamente imprenditoriale-energetica, dove l’agricoltore proprietario dei terreni continua a coltivare e allo stesso tempo affitta i terreni alla società che realizza l’impianto agrivoltaico. Inoltre, seguendo l’approccio Giapponese, si potrebbero legare gli incentivi o l’autorizzazione alla dimostrazione di una continuità produttiva agricola minima. Questo è anche un modo per assicurare che la parte agronomica non diventi solo una scusa per far autorizzare un impianto fotovoltaico.
Ndr: Il punto sollevato qui dagli esperti Enea è il rischio che, di fatto, in alcune situazioni possano avvenire cambi di destinazione d’uso per i terreni. In altre parole: il rischio è che, senza adeguati paletti normativi, si facciano investimenti a fini speculativi lasciando fuori la parte agronomica, come già accaduto in passato per alcune serre fotovoltaiche, dove si installavano pannelli sulle coperture, contando sui generosi incentivi, ma poi non si coltivava alcunché dentro le serre.
Allora come si potrebbero fissare degli incentivi per l’agrivoltaico?
(Scognamiglio) In alcuni paesi, ad esempio in Francia, si sono già svolte aste per il fotovoltaico innovativo che hanno premiato i progetti agrivoltaici. In passato il Gse per incentivare il fotovoltaico integrato negli edifici ha definito linee guida specifiche: forse si potrebbe ripetere l’esperienza per l’agrivoltaico, prevedendo tariffe incentivanti premiali, secondo la tipologia e la qualità degli impianti.