Stop Usa alle importazioni di silicio cinese “da lavoro forzato”

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Il bando riguarda alcune aziende attive nello Xinjiang e accusate di violazioni dei diritti umani.

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Nel contesto del crescente scontro geopolitico tra Usa e Cina, gli Stati Uniti sferrano un colpo sul fronte dell’import e provano a limitare le importazioni di materiali “poco etici” usati per produrre pannelli fotovoltaici, silicio in primis.

L’amministrazione Biden ha infatti deciso di bandire le importazioni Usa dalla società cinese Hoshine Silicon Industry per accuse di lavoro forzato.

Sono coinvolte altre aziende cinesi, riporta l’agenzia Reuters: Xinjiang Daqo New Energy, Xinjiang East Hope Nonferrous Metals, Xinjiang GCL New Energy Material e l’organizzazione economica-paramilitare statale Xinjiang Production and Construction Corps.

Secondo il Dipartimento Usa del Commercio, queste compagnie sono implicate in violazioni dei diritti umani contro diverse popolazioni nella regione dello Xinjiang, tra cui Kazaki, Uiguri e altri gruppi di minoranza etnica musulmana. Si parla non solo di lavoro forzato, ma anche di campagne di repressione, detenzioni arbitrarie e sorveglianza con sistemi a elevata tecnologia.

Alcune delle società inserite nella lista nera americana sono grandi produttori di silicio per pannelli solari.

Per il momento, spiega l’agenzia Reuters, la mossa di Biden avrà un impatto limitato sulle compagnie Usa del solare, ma è possibile che il bando alle importazioni sarà esteso ad altre compagnie.

Come spiegato in questo articolo, le aziende con fabbriche o fornitori importanti nello Xinjiang producono da un terzo a quasi la metà delle forniture mondiale di silicio usato nei moduli fotovoltaici, a seconda delle stime. E la Cina rappresenta circa il 75% della capacità mondiale di polysilicon, secondo la società di analisi Wood Mackenzie.

Ciò significa che milioni di proprietari di abitazioni, aziende e operatori di parchi solari che comprano moduli fotovoltaici si trovano, direttamente o indirettamente, di fronte a un dilemma morale: investire in un futuro verde, senza sapere se i prodotti acquistati provengano da zone in cui ci sono continue violazioni dei diritti umani (campi di lavoro, genocidi culturali e così via).

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