I folli prezzi di gas ed elettricità e le cause dell’aumento

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Da cosa dipende un Pun quasi a 300 euro per MWh? Che difese abbiamo? Quando si ritornerà ai livelli del 2019? Lo abbiamo chiesto ad alcuni economisti dell'energia.

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Il Pun, il prezzo unico nazionale dell’elettricità, il 25 novembre ha sfiorato i 300 euro al MWh (292 per la precisione), come dire circa 6-7 volte di più di un anno fa.

Dietro a questa impennata, com’è noto, c’è la nostra dipendenza dalla generazione elettrica tramite il gas naturale (circa il 40% del totale) e l’altrettanto stratosferico prezzo del metano, che adesso in Europa ha un prezzo medio che si aggira sui 90 €/MWh, contro i 25 € di sei mesi fa.

Il gas va a pesare ulteriormente sui bilanci famigliari, attraverso il riscaldamento, e sulla produzione industriale, per il suo ruolo in settori che vanno dalle piastrelle ai fertilizzanti fino alle fonderie.

C’è però una stranezza: quando, intorno al 2013, scoppiarono le polemiche sul costo degli incentivi alle rinnovabili, che pure sono parte di quel 20% di bolletta elettrica costituita dagli “Oneri di Sistema”, sembrava che quei pochi euro in più in bolletta rappresentassero un disastro economico.

Ora che siamo di fronte a un quintuplicarsi del costo di quella quota del 45% dell’importo della bolletta costituito dalla componente “energia”, invece, nei media tutto tace, come se la situazione attuale non minacciasse i bilanci di tutti, dalla famiglia alla multinazionale, innescando anche una pericolosa spirale inflazionistica.

A pensare male si fa peccato, ma viene da credere che visto che stavolta il “cattivo” è il gas naturale, principale prodotto della nostra più grande e influente azienda nazionale, si faccia quasi finta di niente.

“Non credo sia così”, ci dice Simona Soci, economista dell’energia alla MBSConsulting, che con il suo collega Giacomo Ciapponi, ha cercato di chiarire alcuni nostri dubbi sul tema.

“Il punto è che in questo caso, per dirla semplice, non si sa bene con chi prendersela per gli attuali problemi del prezzo dell’energia e c’è anche poco che si possa fare: essenzialmente si può solo attendere che il mercato ritorni a livelli più ragionevoli. Inoltre, il governo è intervenuto investendo già diversi miliardi nel contenimento del costo dell’energia, per esempio coprendo con i proventi delle aste per la CO2 gli oneri di sistema, abbassando di circa il 20% il peso delle future bollette».

Ma perché non è chiaro, stavolta, di chi sia ‘la colpa’?

«Perché le cause dell’aumento dei prezzi sono diverse e, purtroppo, si sono sommate fra loro. La principale è che a fronte di una forte richiesta di gas naturale in Europa per la ripresa post pandemia, dopo un inverno più lungo del solito che ha svuotato le scorte, si è avuto una riduzione dell’offerta sui mercati internazionali a causa dei problemi nati proprio durante la pandemia: dal rimandare le manutenzioni per alcuni impianti, al ridurre gli investimenti per il loro potenziamento o messa in funzione di alcuni nuovi, fino alle strozzature nei porti”.

“A questo si sono aggiunti – spiegano i ricercatori – una maggiore richiesta dalla Cina, soprattutto per i problemi politici che ha avuto con importanti fornitori come Australia e Usa, e una minore produzione da Norvegia e Russia. Teniamo anche conto che l’Ue sta finendo il suo gas: negli ultimi anni la produzione interna è calata di circa 25 miliardi di metri cubi, sui 500 consumati”.

Insomma, è scattata la classica legge della domanda-offerta: meno offerta e più domanda e allora ecco i prezzi in alto. Ma non è che la Russia ci ha marciato, per ribadire la sua presa energetica sull’Europa?

“Ovviamente non lo sappiamo, ma a giudicare da quanto avvenuto sui mercati non ci sembra: hanno fornito al prezzo di mercato quanto promesso, a parte alcuni cali temporanei causati, dicono, da problemi tecnici. Cosa successa anche ai norvegesi, peraltro. Magari un ulteriore fattore che ha fatto nuovamente schizzare il costo del gas è stata la decisione tedesca di rimandare l’apertura del nuovo gasdotto del Baltico, il North Stream 2, di alcuni mesi: tutti se l’aspettavano entro il 2021, contando su quella nuova fornitura per far calare i prezzi, e il rinvio ha avuto l’effetto opposto”.

Ecco, il North Stream 2 esemplifica bene quella che sembra una politica suicida dell’Europa: di fronte a una dipendenza energetica che la strangola, continua a costruire gasdotti che la legano a chi può chiudere il rubinetto quando vuole, in caso di non improbabili contrasti politici.

“Bisogna però vedere se abbiamo alternative: nei prossimi anni aumenterà la domanda elettrica per l’elettrificazione di trasporti e riscaldamento, mentre chiuderanno decine di centrali a carbone e nucleari. Ma le reti elettriche dovranno restare sempre stabili, rifornite da produzione programmabile in grado di coprire ogni situazione, normale o emergenziale. Anche nelle più rosee ipotesi di installazione di rinnovabili, per almeno dieci anni non ci pare ci siano alternative realistiche al metano per coprire questo gap. Certo, progressivamente le rinnovabili prenderanno piede, facendo anche abbassare il costo dell’energia, ma, almeno fino a che non si costruiranno infrastrutture gigantesche di storage e trasmissione a livello continentale, serviranno centrali termiche per compensare le fluttuazioni. Con la crescita di eolico e solare queste centrali a gas funzioneranno via via per tempi sempre più brevi, ma resteranno comunque indispensabili”.

Quindi ci dovremo tenere il Pun a 300 €/MWh per i prossimi 10 anni?

“Ma no, tutti gli analisti ritengono che il periodo più critico arriverà fino alla prossima primavera, poi i colli di bottiglia nelle forniture dovrebbero risolversi, e, con il calo della domanda post invernale, i prezzi dovrebbero tornare ai livelli del 2019, mentre la maggior offerta sul mercato ridurrà anche l’influenza russa. Insomma, bisogna stringere i denti per ancora per sei mesi circa, e salvo eventi climatici estremi o nuovi problemi globali dovremmo vedere la fine del tunnel”.

Intanto, però, potremmo approfittare del periodo di superprezzi per far partire una super installazione di rinnovabili…

“La transizione energetica verso le rinnovabili è l’unica strada per uscire una volta per tutte dalla dipendenza energetica dall’estero e da queste selvagge fluttuazioni di prezzo. Nell’attuale situazione di prezzi, qui in Italia, a giudicare dai progetti annunciati, staremmo già installando decine di GW di solare ed eolico, se solo il processo autorizzativo non fosse così punitivo per gli operatori», concludono Soci e Ciapponi (vedi “Il miraggio delle autorizzazioni eoliche in Italia: fermi nove progetti su dieci”).

In questo quadro pesante ma, sperabilmente transitorio, spicca però il caso francese, dove il metodo di formazione del Pun, basato sul prezzo marginale ha prodotto il risultato di trasformare il “grande esportatore” europeo dell’economica elettricità nucleare, nella nazione che ormai paga di più il kWh, e che per andare avanti, visto che i suoi consumi invernali sono stratosferici a causa dei molto diffusi riscaldamenti elettrici, deve importare elettricità da tutti, Italia compresa.

“In pratica i francesi stanno pagando l’elettricità nucleare, il 60% dell’offerta quotidiana, al prezzo di quella del gas, circa il 10%, visto che qualche GW di quest’ultimo riesce sempre a entrare nell’offerta oraria come fonte più cara. Inoltre, devono importare moltissima elettricità, fino a 10 GW in certe ore, da chi la produce soprattutto con il gas, come l’Italia o la Gran Bretagna”, ci spiega Giovanni Battista Zorzoli, grande esperto di mercati energetici.

La cosa curiosa è che Edf sembra sfruttare la potenza nucleare meno di quello che potrebbe, limitandola a 42-43 GW al giorno, contro i 46-47 GW che potrebbe raggiungere, rinunciando quindi a sostituire carissime importazioni o produzioni a gas locali.

“Non credo che sia un caso. EdF ha tutto l’interesse a scatenare la rabbia dei francesi contro la generazione a gas, così che appoggino l’idea del governo di ricominciare a installare centrali nucleari, magari finanziato dalla Ue. Inoltre, accumula miliardi facendosi strapagare i suoi kWh nucleari, così da raccogliere il capitale necessario per procedere alla costruzione di nuove centrali o almeno al prolungamento della vita delle vecchie. Per loro fortuna i francesi hanno una forte tradizione di fiducia nelle istituzioni tecniche e, per ora, non protestano”, conclude Zorzoli.

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