Climatizzazione ai tempi del coronavirus, alcuni accorgimenti per essere più sicuri

  • 8 Aprile 2020

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Fondamentale aumentare la portata dell’aria esterna di rinnovo e chiudere il ricircolo, ma ancora più importanti rimarranno le misure di distanziamento sociale, dice AiCARR.

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La AiCARR, associazione italiana del settore climatizzazione, dopo la nota diffusa a marzo circa il funzionamento degli impianti di ventilazione e condizionamento dell’aria nel corso della pandemia da coronavirus, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, è tornata adesso sull’argomento, fornendo ulteriori considerazioni e consigli, ispirati al principio di precauzione.

Secondo AiCARR, sebbene il virus si sia propagato primariamente a causa delle persone asintomatiche ignare di essere infette e che hanno contagiato altre persone, e sebbene non ci siano evidenze empiriche né tantomeno studi scientifici ampiamente condivisi che il Covid 19 possa essere trasmesso via bio-aerosol tramite gli impianti di condizionamento, alcuni scienziati non escludono tale possibilità, affermando che “ci sia ancora molta strada da fare per giungere a quantificarne l’importanza relativa rispetto alle altre [forme di diffusione], che può essere non così trascurabile come pensato.”

Inoltre, ha indicato AiCARR, “dal momento che l’isolamento non può e non deve durare a lungo, per poter riprendere le attività produttive necessarie, il controllo dell’eventuale trasmissione per via bio-aerosol tramite un’adeguata ventilazione controllata degli spazi occupati [potrebbe] ridurre sensibilmente il rischio di contagio.”

Secondo l’associazione, dunque, via via che riprenderanno le attività economiche, pur nell’ambito di misure di distanziamento sociale, chi “sarà costretto a lavorare in ambienti chiusi o anche solo a frequentarli saltuariamente avrà bisogno di condizioni di comfort termico e qualità dell’aria più stringenti che non in condizioni normali. Una situazione analoga si potrebbe avere nelle abitazioni dove le persone potrebbero dover restare per un maggior numero di ore rispetto al solito.”

Secondo AiCARR, il caso probabilmente più controverso, anche se non necessariamente quello che riguarda il maggior numero di persone, è quello dei piccoli impianti a tutta aria con ricircolo di zona a servizio di pochi ambienti di una unica proprietà. Il caso, per esempio, di un immobile medio-piccolo, adibito ad uffici.

In questi casi, l’aerosol si diffonde in tutti gli ambienti serviti dall’impianto e non rimane soltanto nei locali dove soggiorna l’eventuale infettato asintomatico.

Secondo AiCARR, tale situazione è certamente reale, “ma è altrettanto vero che è inutile chiudere questi impianti che sono a servizio di aree piccole in una unica proprietà dove il pericolo maggiore per il rischio di contagio è invece costituito dallo spostamento delle singole persone all’interno dei vari locali e dall’uso comune dei servizi igienici, dove è molto [più] probabile il diffondersi del contagio.”

Secondo l’associazione, i piccoli impianti di questa categoria implicano quindi un rischio basso, anche se diffuso su più persone. Ciò detto, AiCARR indica che “chi non può lavorare da casa e… si trova all’interno della zona in cui è o è stato presente il contagiato” è comunque più a rischio per le altre forme di contagio diretto che non per l’eventuale aerosol infetto convogliato dal sistema di climatizzazione.

Per AiCARR, i rischi principali riguardano invece gli impianti di immobili commerciali, quali supermercati e grandi uffici.

Per gli impianti a tutta aria a servizio di un unico grande ambiente, come appunto i supermercati, “in tutti i casi è fondamentale aumentare la portata d’aria esterna per ridurre il rischio… in particolare il ricircolo interno dovrebbe essere sempre chiuso, unicamente per aumentare la portata d’aria esterna di rinnovo,” ha indicato l’associazione nella sua nota, scaricabile dal link in fondo all’articolo.

Per gli impianti a tutta aria a servizio di grandi edifici, in cui l’impianto, qualunque sia la sua tipologia, colleghi zone dell’edificio tra le quali le persone non hanno ragione di circolare, il rischio maggiore di infezione rimane sempre il contatto diretto tra le persone.

“Se le proprietà sono diverse oppure se la proprietà è unica ma il movimento è limitato, almeno tra i vari piani, bisogna contingentare ancora di più il movimento delle persone e gestire molto bene l’uso di parti comuni, tenendo presente che i servizi igienici e gli ascensori sono punti estremamente critici,” ha indicato l’associazione.

Anche in questo caso, “dal punto di vista impiantistico, bisogna assolutamente chiudere ogni serranda di ricircolo dell’aria per evitare di trasmettere il contagio per via aerea,” ha specificato AiCARR.

Per gli impianti ad aria primaria, quelli per esempio dotati di ventilconvettori, sistemi radianti e altri sistemi di ricircolo dell’aria, onde evitare il fenomeno della risospensione del virus non è necessario né spegnerli del tutto né lasciarli sempre accesi, come invece consiglia il documento REHVA COVID19-Guidance della associazione europea di settore.

Secondo AiCARR, Infatti “è dimostrato che anche qualora i terminali rimettessero in circolo il 15% in più di cariche virali elementari, cosa tutta da dimostrare…, l’eventuale aumento del rischio di contagio sarebbe del tutto marginale e comunque più che assorbito da un contemporaneo aumento della portata d’aria esterna di rinnovo.”

Insomma, secondo AiCARR, “gli impianti di climatizzazione possono aiutare a ridurre notevolmente i rischi da contagio, se si aumenta la portata dell’aria di rinnovo durante la prossima estate e il prossimo inverno,” indicando che “sarà inutile o dannoso spegnere qualunque tipo di impianto di climatizzazione e riscaldamento” e che “saranno molto più importanti tutte le altre precauzioni, come le protezioni individuali, i comportamenti e l’affollamento delle persone nei locali.”

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