Biocarburanti del futuro? Potrebbero partire dall’Italia

I biocarburanti di seconda generazione sono ormai maturi e la prima produzione su scala industriale potrebbe essere italiana. La prossima primavera in Piemonte, a Crescentino, dovrebbe infatti entrare in funzione il più grande impianto al mondo per la produzione di bioetanolo da materia prima ligno-cellulosica.

ADV
image_pdfimage_print

I biocarburanti di seconda generazione sono ormai maturi e la prima produzione su scala industriale di questi biofuel dal ridotto impatto ambientale potrebbe essere italiana. Nella primavera 2012 in Piemonte, a Crescentino, dovrebbe infatti entrare in funzione il più grande impianto al mondo a produrre bioetanolo da materia prima lignocellulosica, in questo caso comune canna da fosso.

I biofuel tradizionali, come su queste pagine abbiamo scritto più volte, hanno troppe controindicazioni per essere un’alternativa sostenibile ai carburanti derivati dal petrolio e da tempo il mondo dell’energia sta cercando delle alternative. Industria e scienza da anni sono impegnate nello sviluppo di biocarburanti con un miglior bilancio energetico e che si possano coltivare su terreni residuali, in modo da non rubare spazio alle colture alimentari. I cosiddetti biocarburanti di seconda generazione.

Le tecnologie più promettenti – come spiega in una recente intervista a Qualenergia.it Vito Pignatelli dell’Enea, tra i maggiori esperti del settore – sono quelle che permettono di ottenere il carburante da materia prima lignocellulosica: il bilancio energetico è buono perché, a differenza di quanto accade con la maggior parte dei biocarburanti tradizionali, si riesce a usare tutta la pianta, allo stesso tempo l’impatto sull’uso del suolo è migliorato perché come materia prima si sfruttano piante che crescono anche su terreni residuali, non adatti alle altre colture, e che richiedono poca acqua e fertilizzanti.

Due le vie per ottenere carburante da materia prima legno-cellulosica su cui si è fatta più strada: ricavandovi biodiesel tramite gassificazione e sintesi di Fischer-Tropsch oppure bioetanolo tramite processi di fermentazione. Mentre sulla gassificazione e sintesi si sono fatti molti progressi in Germania (si veda l’esperienza di Choren), potrebbe esser italiana la prima grande produzione di bioetanolo da materia legno-cellulosica.

A primavera infatti – spiega a Qualenergia.it il portavoce dell’azienda Giovanni Galgano – Mossi&Ghisolfi dovrebbe mettere in moto a Crescentino, in Piemonte, un impianto che darà 40-45mila tonnellate di bioetanolo all’anno, mentre finora nel mondo, con questa tecnologia, non si sono realizzati che impianti sperimentali di taglie molto minori.

La bioraffineria di Mossi&Ghisolfi produrrà bioetanolo a partire da una pianta – la Arundo Donax, che altro non sarebbe se non la comune canna di fosso – che è disponibile localmente (coltivata entro 40 km dall’impianto), che ha una significativa capacità di sequestro di CO2 e che cresce su terreni marginali, con basso consumo di acqua, fertilizzanti e territorio (grazie all’elevata resa per ettaro).

Per produrre le 40-45mila tonnellate annue di bioetanolo in programma si useranno 450 mila tonnellate umide di canna, integrata da paglia di frumento o di riso qualora non sia disponibile canna a sufficienza. Il ciclo produttivo prevede una fase di pretrattamento della biomassa, quindi l’idrolisi enzimatica degli zuccheri, la fermentazione e la distillazione dell’etanolo.

E se non tutta la pianta diventa etanolo, tutta verrà convertita in energia: il sottoprodotto non fermentabile, la lignina, non utilizzabile per la produzione di etanolo, verrà infatti valorizzato all’interno di una caldaia con produzione di energia elettrica (10-11 MW circa) e di vapore necessari all’impianto. Le materie prime in entrata verranno trasportate su gomma, mentre l’etanolo verrà movimentato su rotaia. L’investimento complessivo è di circa 120 milioni di euro e l’impianto lavorerà 24 ore al giorno, per sette giorni su sette.

Insomma, sembra che con questo stabilimento l’Italia inizierà a sperimentare seriamente un’alternativa locale e più sostenibile ai biofuel convenzionali, che hanno peggiori bilanci energetici e sono quasi tutti d’importazione. “Sarebbe sufficiente coltivare con Arundo Donax il solo 3% dei terreni abbandonati in Italia per centrare il traguardo del 2020 sui biocarburanti”, ci spiegano da Mossi&Ghisolfi.

Quel che è certo è che l’entrata in funzione dello stabilimento sarà un grande passo avanti per i biocarburanti di seconda generazione, finora relegati nei laboratori: “Una volta realizzato sarà il più grande impianto al mondo di questo tipo e fornirà i primi dati di rilevanza industriale in quanto a bilanci economici – ci spiega Pignatelli – a livello generale, per i biocarburanti di seconda generazione ci sono dei problemi da risolvere, ma si è ad un passo dalla maturità e stimo che al 2020 possano arrivare a fornire il 10% del totale dei biocarburanti”.

“I biocarburanti di seconda generazione purtroppo non sono ancora pronti a competere economicamente con i convenzionali e andrebbero aiutati con forme di incentivazione – commenta invece Beppe Croce, respondabile agrienergie di Legambiente – l’esperienza di Mossi&Ghisolfi è una scommessa importante perché le dimensioni sono ragguardevoli per un impianto pilota: significa che ci credono veramente”.

ADV
×