Come il Covid cambia gli scenari mondiali dell’energia e della mobilità

La crisi pandemica ha toccato interessi, equilibri internazionali e stili di vita. Quali conseguenze sui settori energetici e della mobilità? Prevarrà l'inerzia del passato o vedremo cambiamenti concreti delle politiche? Un articolo di Gianni Silvestrini pubblicato su Micromega.

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Ya no podemos volver a la normalidad, porque la ‘normalidad’ era el problema”.

Lo slogan cileno del 2019, nel pieno della rivolta contro il governo conservatore, descrive lucidamente il sentimento di chi ha partecipato alle rivolte sulla giustizia razziale negli Usa ed è anche appropriato rispetto all’uscita dall’emergenza Covid, tema su cui ci concentreremo.

In effetti, interessi, dinamiche, equilibri internazionali, gli stessi stili di vita sono stati toccati dalla pandemia.

Le modalità con cui la supereremo sono un percorso ancora tutto da scrivere, ma che vede certamente lo scontro tra due tendenze che si vanno consolidando.

La prima punta a sfruttare la crisi sociale ed economica per rinserrare le fila in difesa delle scelte del passato e di interessi messi in discussione, cercando di bloccare le novità.

Pensiamo al mondo dei fossili rispetto alla crescita delle rinnovabili o a segmenti di retroguardia dell’industria dell’auto preoccupati dall’avvento della mobilità elettrica…

C’è però anche una potente spinta al cambiamento, di coloro che intendono uscire dalla crisi accelerando le trasformazioni tecnologiche, economiche e sociali. Tra i nuovi trend, va considerata anche la spinta al rimpatrio di alcune industrie, in particolare dalla Cina accelerata dalle fragilità evidenziate dal Covid. Una politica sostenuta dalla UE e da diversi governi, come quello giapponese che vi ha destinato 2 miliardi $ o quello degli Usa che stanno studiando un pacchetto di 25 miliardi.

Ma passata l’emergenza Covid, torna ad imporsi quella climatica, con la necessità di una decisa trasformazione dell’economia, dei modelli industriali e agricoli, degli stessi stili di vita.

Ne sono convinte le Nazioni Unite il cui segretario generale, António Guterres, ha raccomandato di utilizzare i soldi dei contribuenti per creare posti di lavoro “verdi” e non per salvare industrie obsolete e inquinanti.

Un potente segnale in questa direzione viene dal piano di rilancio post Covid da 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione europea, Next Generation EU, incardinato sulle priorità green, digitali e della resilienza.

Bisognerà vedere quale sarà l’esito finale del confronto con i vari Governi su questa proposta, ma è chiara la sua potenza di fuoco e il suo indirizzo coerente con il Green Deal europeo.

Decolleranno nuovi settori, molti dovranno trasformarsi e altri scompariranno.

Si tratta di una straordinaria occasione per offrire alla nostra industria la spinta ad investire in modo green, per ripensare le città e per garantire ai giovani, che a milioni hanno manifestato nel mondo contro l’emergenza climatica, effettive occasioni lavorative in un’Europa ambientalmente e socialmente più sostenibile.

Anche alcuni Governi hanno già dato segnali in questa direzione.

Macron ha lanciato un programma per accelerare la svolta verso le auto elettriche, con l’obbiettivo della produzione in Francia di 1 milione di veicoli nel 2025.

E, se in Italia dobbiamo constatare l’incapacità di condizionare FCA, va sottolineata l’introduzione del Superbonus 110% che garantirà nuova occupazione nel comparto delle costruzioni che ha visto la perdita nell’ultimo decennio di oltre mezzo milione di posti.

Le risorse di Next Generation EU destinate all’Italia potrebbero dare continuità nel tempo a questo strumento, migliorato dal punto di vista ambientale, e consentire tra l’altro di riqualificare le periferie.

Il mondo dell’energia colpito dal virus

Lo shock energetico è stato molto violento e obbligherà ad un ripensamento delle strategie delle multinazionali del mondo fossile.

Anche se qualche governo si è impegnato nella difesa di questi combustibili, un numero ben maggiore punta sulle rinnovabili.

Un altro elemento destinato ad influire nella domanda di energia riguarda alcune trasformazioni profonde, come il “reshoring” di industrie dall’Asia o l’emergere di diverse modalità di lavoro.

Infine, il mondo fossile potrebbe venire ulteriormente penalizzato se, come viene richiesto da più parti, si ampliasse il numero dei settori e dei paesi che adotteranno una carbon tax

Carbone in affanno

Partiamo dal carbone, il combustibile responsabile del 42% delle emissioni globali di anidride carbonica generate dai fossili. Nel 2020 esso vedrà a livello mondiale un calo dei consumi dell’8%, con una prospettiva di progressiva diminuzione del suo ruolo.

A fronte di una riduzione della domanda di energia elettrica per il Covid, le prime a soffrire sono state le centrali a carbone, tanto che negli Usa quest’anno si assisterà al sorpasso storico delle rinnovabili su un combustibile che ancora nel 2000 generava metà dell’elettricità americana.  Uno schiaffo a Trump, che nella sua campagna elettorale aveva puntato molte sue carte sul rilancio di questa fonte.

L’emergenza Covid ha evidenziato le criticità di questo combustibile destinato a ridurre il suo ruolo nel medio e lungo periodo per la concorrenza del gas e soprattutto delle rinnovabili.

Prezzi negativi per il petrolio

Lo shock maggiore, però, l’ha subito il comparto petrolifero, con un crollo dei prezzi dovuto alla perversa combinazione di una domanda tagliata per il virus e di un aumento della produzione legato ad una insana competizione tra Russia e Arabia Saudita.

I prezzi bassissimi, che il 20 marzo sono andati addirittura sotto zero, ha portato al blocco di alcune produzioni, in particolare dello shale oil americano, e all’accumulo di greggio in tutti i depositi e le petroliere disponibili. Diciassette piccoli produttori Usa sono falliti dall’inizio dell’anno e altri duecento potrebbero seguire la stessa sorte entro la fine del 2020.

Per di più i bassi prezzi del greggio offrono l’opportunità di tagliare gli importanti sussidi legati alla produzione e al consumo del petrolio nel mondo (150 miliardi $ l’anno secondo la Iea).

Insomma, non tira una buona aria per questo combustibile, con consumi che nel 2020 dovrebbero risultare inferiori del 9% rispetto allo scorso anno.

Ma, soprattutto, le stime sull’evoluzione futura sono tutte al ribasso.  E si allarga il fronte di coloro, come lo stesso amministratore delegato della BP, che non escludono che la domanda di greggio abbia già raggiunto il picco.

Cambieranno infatti i consumi su molti fronti, dal trasporto aereo a quello automobilistico, dallo sviluppo dello smart working al calo della domanda della petrolchimica.

E poi c’è la mobilità elettrica, che al momento erode solo il 2,5% della domanda di petrolio, ma la cui rapida diffusione contribuirà a tagliare i consumi di greggio.

Questo nuovo scenario mette a rischio le strategie dei produttori con bassi margini di guadagno.

Negli ultimi anni si era discusso molto della “carbon bubble” cioè della impossibilità nell’arco di un paio di decenni di utilizzare molti giacimenti a seguito dell’aggravarsi della crisi climatica.  L’emergenza Covid ha reso più attuale l’incertezza spingendo verso una diversificazione degli investimenti, con una particolare attenzione verso le rinnovabili.

Finora l’interesse per le energia verdi era stato decisamente marginale, ma la volatilità dei prezzi del petrolio sta incidendo sulle scelte a medio e lungo termine.

 “Il comparto petrolifero non sarai mai più lo stesso. Penso che questa crisi cambierà le strategie della società, come è successo dopo l’Accordo di Parigi” ha dichiarato Ben van Beurden, amministratore delegato della Shell.

Ed è prevedibile che il cambio di marcia sarà decisamente più incisivo rispetto a quello determinato dall’Accordo sul Clima, come dimostra la decisione della BP di tagliare 10.000 posti di lavoro e di puntare sulle rinnovabili, scelta analoga a quella della seconda compagnia Usa, Chevron, che ridurrà il numero dei suoi occupati del 10-15%.

Metano, infrastrutture a rischio

Scenari a rischio anche per il gas naturale, un combustibile sul quale tendono a convergere gli investimenti di molte società, ad iniziare dall’Eni.

Il Covid dovrebbe comportare quest’anno ad un taglio del 5% dei consumi mondiali.  A maggio e giugno in Europa si è visto un crollo delle quotazioni e della domanda, tanto che gli  Stati Uniti hanno dovuto cancellare oltre metà delle esportazioni di luglio con le metaniere. Ma la caduta dei prezzi è globale e le dinamiche della domanda del gas fanno riflettere, più in generale, sul rischio degli investimenti già fatti e di quelli futuri.

Progetti di impianti di liquefazione del metano per 50 miliardi di dollari sono stati congelati per un paio di anni, negli Usa come in Australia, a causa del Covid.

Ma è l’Europa che dovrà confrontarsi con una bulimia di progetti di nuovi gasdotti e rigassificatori (ben 32) che rischiano di rimanere decisamente sotto-utilizzati alla luce della sfida europea di arrivare ad una “neutralità carbonica” al 2050.

Sul gas si gioca una battaglia strategica. I proprietari dei gasdotti, consci delle prospettive che vedrebbero una domanda di metano residuale fra soli trent’anni, tentano la carta dell’idrogeno, magari prodotto in Africa utilizzando fonti rinnovabili.

E anche sul fronte del metano il Covid ha contribuito a polarizzare i diversi schieramenti.

C’è infatti chi in Europa sostiene che di fronte alle difficoltà economiche sarebbe meglio concentrare le risorse sull’esistente, e parla di Gas Deal piuttosto che di Green Deal.

D’altra parte, la Commissione ha mantenuto ferma la barra della transizione energetica. E i paesi europei dovranno riflettere sul rischio di vedere enormi investimenti inutilizzabili, “stranded”.

Le rinnovabili in corsia di sorpasso

E poi abbiamo le rinnovabili, che certamente hanno subito una battuta d’arresto per il blocco dei cantieri e di alcuni stabilimenti produttivi in Cina, ma che secondo l’Agenzia internazionale dell’energia saranno le uniche fonti energetiche a crescere anche nel 2020.

Le energie verdi hanno finora mostrato una capacità di resilienza impressionante nonostante i blocchi e i cambiamenti causati dalla pandemia di coronavirus”, sottolinea l’Agenzia.

Non solo, ma la crisi Covid finirà per accelerare nel medio e lungo periodo la transizione verde.

Non solo perché le incertezze sui fossili indurranno ripensamenti nelle strategie delle multinazionali Oil&Gas ma anche per il fatto che il mondo della finanza  inizia a distanziarsi da questi combustibili a causa della crisi climatica.

Una conferma clamorosa viene dalle analisi di  Rystad Energy: nel 2022 in Europa gli investimenti nell’eolico offshore sorpasseranno quelli per l’estrazione di gas e petrolio in mare.

E una spinta viene anche dai governi. La Germania ha levato il limite dei 52.000 MW fotovoltaici installabili nel settore residenziale e commerciale e la Spagna punta ad avere il 70% della propria elettricità green nel 2030.

Il successo di queste tecnologie è legato alla crescente competitività economica. Secondo Bloomberg Nef, le rinnovabili e le batterie risultano ormai più interessanti rispetto alla realizzazione di nuove centrali fossili in paesi dove risiedono due terzi della popolazione mondiale.

Ma c’è un altro fatto clamoroso, messo in evidenza dal taglio della domanda elettrica dovuto alla crisi Covid, e cioè la possibilità per la rete di gestire quote molto elevate di rinnovabili, una positiva anticipazione di un futuro non lontano. Ad esempio, in Italia ad Aprile quasi metà della produzione nazionale è stata garantita dalle rinnovabili. Un test interessante in vista del 55% dei consumi elettrici (e forse più) che dovremo coprire nel 2030.

E in Germania il 30 aprile le rinnovabili hanno garantito addirittura l’85% della produzione elettrica.

Questi dati sottolineano la capacità di coprire percentuali che una decina di anni fa sembravano ingestibili dalla rete elettrica.

Il forte impatto della pandemia sul mondo dei trasporti

Il virus ha bloccato auto e aerei e contemporaneamente ha ampliato lo spazio di modalità alternative nel lavoro, nell’educazione e negli spostamenti.

Irrompe lo smart working

Prima dell’emergenza Covid, in Italia lavoravano da remoto circa 500 mila persone. Nelle settimane di lockdown si stima siano state più di 8 milioni. È quanto emerge dalla prima indagine sullo smart working promossa dalla Cgil nazionale che indica anche come il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire questa esperienza anche dopo l’emergenza.

Ma secondo un’analisi di Linkedin, un lavoratore su cinque ha riscontrato un impatto negativo dallo smart working.

Probabilmente in futuro si faranno strada soluzioni miste tra lavoro in casa e in ufficio in grado di garantire le prestazioni, mantenere la socialità e ridurre i tempi degli spostamenti e l’inquinamento ad essi connesso.

La svolta delle bici

Una delle trasformazioni della mobilità più visibili legate al Covid riguarda la diffusione degli spostamenti in bici e della micro-mobilità legata alle limitazioni nei mezzi pubblici per il rischio di contagio.

Se negli ultimi anni è stata l’emergenza climatica a sollecitare una maggior attenzione alle due ruote, ora è l’emergenza Covid a determinare una forte accelerazione.

L’alfiere del rilancio della bici è senz’altro Anna Hidalgo, sindaca di Parigi, che negli ultimi anni aveva puntato con forza sulle due ruote ed ha aperto decine di chilometri di “percorsi coronavirus”, tra cui la prestigiosa Rue de Rivoli che è stata dedicata solo ai mezzi pubblici e alle biciclette.

Londra vuole decuplicare gli spostamenti in bici e New York punta a 160 km di nuove piste ciclabili…

Affinché si inneschino cambiamenti di lunga durata occorreranno però decisi investimenti, come afferma il premier Boris Johnson «…questo è un buon momento per mettere la Gran Bretagna sulle due ruote». Così ben 2 miliardi saranno destinati alla pedonalità e alla ciclabilità.

In realtà, questa crisi può essere anche l’occasione di un ripensamento del modo di fruire e gestire le città. La pensa così il sindaco di Londra Sadiq Khan che ha deciso di chiudere completamente il centro della città alle auto.  E iniziano a diffondersi suggestioni come quelle della “città ad un quarto d’ora”, che prevede una trasformazione ecologica dei quartieri in grado di mettere a disposizione dei cittadini negozi, scuole, ristoranti e servizi raggiungibili a piedi o in bicicletta.

“Voglia di bici: si torna a pedalare come nel ‘48” titola Repubblica il 17 maggio.

Entro fine anno Milano punta ad arrivare a 35 km piste ciclabili “leggere”, mentre Bologna lavora per realizzare il 60% dei 275 km della Bicipolitana che collegano il centro con il territorio circostante.

E così la risposta alle due crisi, quella sanitaria e quella climatica, si congiungono. Secondo la Federazione ciclistica europea, se si portasse in tutto il Continente la diffusione delle biciclette agli attuali livelli danesi, si otterrebbe un quarto del target di riduzione delle emissioni climalteranti nel settore del trasporto passeggeri al 2050.

Naturalmente, è importante capire quanto durerà questo risveglio di interesse.  Gli investimenti in piste ciclabili annunciati da qualche paese fanno ben sperare. E La Ministra francese della transizione ecologica, Elisabeth Borne, invita i Comuni a rendere definitive le piste ciclabili Covid: “Speriamo di creare 1.000 km in totale. Non lasciamo che l’auto prenda il sopravvento!”

D’altra parte, interventi “temporanei” apprezzati dalla gente rappresentano un immagine di futuro che potrebbe lasciare traccia.  “C’è del possibile ancora invisibile”, come ci ricorda il vecchio saggio Edgar Morin.

Per le auto, vendite crollate e passaggio all’elettrico

A metà aprile, in piena pandemia, le principali città del mondo avevano evidenziato un crollo dell’80% nell’uso dell’auto e di due terzi nei trasporti pubblici. Con la graduale ripartenza a maggio si è assistito ad una ripresa dei mezzi privati.  Significativa la situazione cinese dove il traffico di auto nelle ore di punta è risultato decisamente superiore al passato, al contrario delle metropolitane che sono state meno utilizzate.

Sul fronte delle vendite di auto ci si aspetta nel 2020 un calo del 40%. Le stime per l’intero anno indicano un calo complessivo del 43%: da 2,2 milioni nel 2019 a 1,3 milioni nel 2020 (Wood Mackenzie). E anche per il futuro ci sono incognite per le modifiche della mobilità, tra soluzioni in sharing, smart working, bici, micromobilità…

E poi c’è la rapida evoluzione verso la mobilità elettrica.

Va sottolineata la stonatura di chi chiede sussidi per le auto convenzionali o addirittura, è il caso dell’associazione italiana dei costruttori Anfia, propone di

spostare di 5-10 anni i limiti sulle emissioni. Una posizione che sarebbe un autogoal, considerato che, al contrario, la Cina ha deciso di prolungare per due anni gli incentivi ai veicoli elettrici, puntando a rafforzare la leadership in questo comparto.

La Francia e soprattutto la Germania con i 50 miliardi del “pacchetto del futuro” per promuovere tecnologie pulite tra cui la mobilità elettrica, hanno deciso di rilanciare proprio su questo fronte.

Purtroppo il nostro paese propone invece una rottamazione old style per favorire lo smaltimento dell’invenduto di auto diesel e benzina.

In questo scenario in movimento, è interessante capire l’impatto della crisi Covid sulle aspettative dei cittadini. Un sondaggio effettuato nel Regno Unito ha evidenziato come il 45% degli interpellati, colpiti dalla buona qualità dell’aria durante il blocco, si sia dichiarato interessato a comprare un’auto elettrica, aggiungendosi al 17% di coloro che avevano già deciso di acquistarne una.

Flotte aeree in crisi e rilancio dei treni

Il blocco dei voli dovuto alla pandemia rappresenta un momento di riflessione e, in alcuni casi, di svolta rispetto ad un business che cresceva ad un ritmo annuo del 6%.

Ad aprile la maggioranza delle rotte erano bloccate, con più di 14.000 aerei a terra.

Ma anche il futuro è destinato a cambiare. E’ prevedibile infatti un calo strutturale della domanda turistica, ma anche dei viaggi di lavoro visto il successo delle teleconferenze e dello smart working.

Molte tratte interne spariranno, sostituite dagli spostamenti in ferrovia, seguendo un trend già visibile in alcuni paesi.

Ci vorranno dunque diversi anni perché il settore aereo si riprenda, e comunque con scenari molto diversi rispetto a quelli delineati in passato. Secondo la Iata, i voli a lunga distanza ritorneranno al livello dello scorso anno solo nel 2024.

Molte linee aeree rischiano di fallire o di venire inglobate, altre si salveranno grazie agli aiuti degli Stati.

E c’è chi condiziona i sostegni, come l’Austria che li lega alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, o la Francia che chiede un taglio del 50% dell’intensità carbonica al 2030 e una contrazione dei voli interni per favorire i treni.

E sono proprio le ferrovie che dopo il Covid vedranno un rafforzamento in Europa e in Cina, con la previsione di un incremento annuo del 10% degli spostamenti nei treni ad alta velocità. Proprio per favorire la ferrovia, la Germania ha ridotto del 10% il costo dei biglietti.

Insomma, l’impegno del comparto aereo di dimezzare nel 2050 le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2005, potrebbe risultare più semplice del previsto dopo il Covid. C’è perfino chi propone delle “frequent flyers penalties” per scoraggiare l’eccessivo uso degli aerei. Si consideri che un viaggio di andata e ritorno da Londra a New York comporta la produzione di quasi una tonnellata di CO2, cioè più delle emissioni annua pro capite di 56 paesi del pianeta e che solo il 3% della popolazione globale prende frequentemente l’aereo.

La sensibilità ambientale è destinata a pesare, come ci ricorda il “flight shame” che ha portato in Svezia nel 2019 ad una riduzione degli spostamenti in aereo a fronte di un aumento dell’11% di quelli in treno. O il caso della nuova pista dell’aeroporto Heatrow di Londra, bloccata a febbraio dai tribunali per “rischi climatici”.

Freno o accelerazione?

In conclusione, la fase post-Covid si presenta particolarmente critica, con il rischio che un rilancio tradizionale dell’economia finisca per sottovalutare clamorosamente le urgenze ambientali ad iniziare da quella climatica. Alcuni paesi stanno interpretando in maniera intelligente questa esigenza mentre altri, per mancanza di visione o per il prevalere degli interessi esistenti, si attardano in scelte di retroguardia.

Una cosa certa riguarda le difficoltà create dalla pandemia per il mondo dei fossili.

Ma il forte rimbalzo dei consumi e delle emissioni nella Cina dopo la fine del lockdown sembra dar ragione a chi ritiene che, anche in altri paesi, vincerà l’inerzia del passato. La forte caratterizzazione ambientale delle misure adottate dalla Commissione UE e da alcuni Governi fa però sperare che, almeno nel nostro Continente, prevarrà la spinta ad una trasformazione Green.

Articolo pubblicato su Micromega n.5/2020 (agosto 2020)

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