Hansen contro il sistema che non combatte i cambiamenti climatici

James Hansen, uno dei più importanti climatologi americani è sul piede di guerra contro le grandi compagnie energetiche e contro le fonti fossili. Il suo è un attacco a tutto campo a governi e banche. QualEnergia.it lo ha intervistato chiedendogli la sua opinione sull'attuale strategia contro il global warming e sulle soluzioni alternative.

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James Hansen, uno dei più importanti climatologi americani, è noto per aver portato il riscaldamento globale all’attenzione del mondo negli anni 80, testimoniando davanti al Congresso Usa. Direttore del NASA Goddard Institute for Space Studies e docente alla Columbia University è anche un attivista ambientale. Nel suo ultimo libro Storms of my grandchildren. The thruth about the coming climate catastrophe and our last chance to save humanity (“Tempeste. Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire“, Edizioni Ambiente, 2010), Hansen spiega la scienza dei cambiamenti climatici e dipinge un’immagine realistica di quello che avverrà nei prossimi decenni se non agiamo ora.

QualEnergia.it lo ha intervistato chiedendogli innanzitutto come bisognerebbe iniziare ad agire per fermare il global warming.

Negli ultimi anni i segnali di un cambiamento climatico in corso hanno cominciato ad apparire sempre più evidenti. Pensa che questo possa cambiare la percezione delle persone delle politiche dei governi nazionali su questi temi?

Dipende, è vero che i segnali climatici hanno cominciato ad essere più diffusi. Ma l’industria dei combustibili fossili sta portando avanti uno sforzo concertato per rendere il pubblico cieco a questa realtà. Sostengono che non ci si possa fidare di nessun segnale, perché il clima è naturalmente variabile. Sto lavorando su una ricerca che dimostra che, quando guardiamo a osservazioni globali, il segnale è in realtà molto chiaro.

Cosa prevede per le trattative post Kyoto?

Se l’industria delle fonti fossili e le grandi banche continuano a tenersi in tasca i governi, allora niente di buono può succedere. I governi continueranno a proporre ridicole strategie cap-and-trade, pensate per dare il minor fastidio possibile all’industria dei combustibili fossili e per portare dentro banche come JP Morgan Chase e Goldman, senza che ce ne sia alcuna necessità. Queste assurdità sono il prodotto, da una parte, del sistema delle doppie carriere tra consulenti dei governi e Wall Street, negli Usa come anche in altre nazioni; dall’altra, dell’enorme quantità di denaro proveniente dalle lobby dei combustibili fossili, che gira a Washington e in altre capitali mondiali.

Cosa pensa, più nello specifico, del meccanismo del cap-and-trade?

È una grande frode ai danni dei cittadini. Ogni centesimo guadagnato dalle unità di trading altamente specializzate di JP Morgan Chase o Goldman Sachs verrà fuori dalle tasche della gente comune. Da dove altro potrebbero venire i loro profitti e i bonus multi-miliardari. Crescono forse sugli alberi quei soldi? No, provengono dall’innalzamento dei costi dell’energia. I loro team di esperti del commercio possono fare milioni su qualsiasi mercato esposto a fluttuazioni, ma non aggiungono nulla in termini di valore; in verità le fluttuazioni dello schema del cap-and-trade (e schema è la parola appropriata) sono molto dannose. Quello che serve per far sì che il mondo si muova verso le energie pulite è che il prezzo della CO2 cresca in maniera costante e prevedibile. In modo che sia i cittadini che le imprese possano sapere con sicurezza quale sarà l’andamento dei prezzi dei combustibili fossili.

Lei propone di stabilire un prezzo per le emissioni di CO2. Che tipo di meccanismo immagina?

I combustibili fossili sono al momento la fonte energetica più economica solo perché sono direttamente o indirettamente sovvenzionati. Inoltre le industrie del settore non pagano alla società i costi che le impongono, compresi i danni che causano alla salute umana e i costi dei cambiamenti climatici di origine antropica.

Dobbiamo assegnare un semplice, onesto prezzo alle emissioni, tassando le compagnie dell’industria dei combustibili fossili nelle miniere o nei porti o all’ingresso nel paese, con tariffe che andranno gradualmente a crescere. Questo farebbe aumentare costantemente i prezzi dell’energia da fonti fossili. Ma se poi i fondi così raccolti fossero distribuiti equamente tra tutti i residenti del paese, i cittadini avrebbero i mezzi per affrontare gli aumenti dei combustibili. Allora, la persona che fa meglio della media nel limitare le proprie emissioni di CO2 riceverà, come dividendo mensile una cifra maggiore (automaticamente depositata nel suo conto in banca o sulla carta di credito) di quello che paga per gli aumenti dei costi energetici.

Pensa che un meccanismo del genere potrebbe avere anche effetti positivi sull’economia?

Questo approccio aiuterebbe a stimolare l’economia e risolvere la crisi. Il 60 per cento delle persone riceverebbe dividendi più alti di quanto non pagherebbe per la crescita dei prezzi. Chi ha uno stile di vita molto elevato, chi è proprietario di più case o chi viaggia in aereo da una parte all’altra del mondo, pagherebbe di più di quello che riceverebbe, ma quel tipo di persone può permetterselo. Mentre la parte di denaro che verrebbe messa nelle mani di chi vive di poco è probabile che verrebbe spesa e che finirebbe quindi a stimolare l’economia. Questo è puro senso comune. Se un economista ti dice che il cap-and-trade è positivo o che è equivalente a un meccanismo del tipo tassa-dividendo sulle emissioni, conviene controllare se è in rapporto con qualche grossa banca oppure se si è laureato per il rotto della cuffia.

Bisogna stare attenti a quegli economisti che hanno iniziato a sentirsi troppo a loro agio con il sistema del grande business e guardarsi dal politico che dice che ha in mente modi migliori di spendere i soldi raccolti con le tasse sulle emissioni. I politici amano decidere come spendere i soldi pubblici e finiscono sempre per sprecarli. Il denaro raccolto dalla tassazione dell’industria delle fonti fossili deve andare ai cittadini e poi sarà il mercato a determinare quale tecnologia sarà quella vincente, tra efficienza energetica, sistemi a basse emissioni o emissioni zero. I baroni dei combustibili fossili strilleranno come maiali da macello, motivo per cui per prendere un’iniziativa del genere serve un politico forte, ma i cittadini appoggeranno chi avrà la forza morale di farlo.

Vede dei legami tra le soluzioni della crisi economica e ambientale?

Le soluzioni per la crisi economica e climatica sono le stesse. L’aumento dei prezzi delle emissioni si tradurrà in una nuova industria e nuovi lavori, ma l’innovazione e la direzione del cambiamento dovrebbero essere determinate dal mercato, non da governi che decidono che vogliono puntare sul solare o su altra tecnologia.

Lei è molto impegnato nelle battaglie ambientali nel suo paese. Come mai ha deciso di affiancare al suo impegno scientifico l’attivismo?

Ho figli e nipoti e amo le altre specie che vivono su questo pianeta. E credo che i cittadini debbano iniziare a capire come sono stati fregati dall’industria dei combustibili fossili e dalle banche.

Di recente lei è stato arrestato durante le proteste contro la costruzione dell’oleodotto Keystone XL (vedi foto a fianco). Perché pensa che sia tanto cruciale fermare quel progetto e lo sfruttamento delle sabbie bituminose?

È ancora possibile cercare di stabilizzare il clima entro questo secolo, ma siamo al limite. Per farlo è necessario interrompere le emissioni da fonti fossili e spostarsi verso le energie pulite nella prossima metà di secolo, man mano che le risorse di fonti fossili verranno consumate. Ma se invece il mondo si sposta verso le fonti fossili non convenzionali come le sabbie bituminose, l’estrazione del combustibile liquido dal carbone, eccetera, non c’è nessuna speranza di riuscire a stabilizzare il clima. I nostri figli e nipoti allora saranno fritti.

Interview (english version)

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