Eni punta alla “neutralità carbonica”: obiettivi entro l’anno?

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L’amministratore delegato, Claudio Descalzi, a Milano ha dichiarato che il cane a sei zampe sta definendo i contorni di un prossimo “annuncio epocale” sulla riduzione e compensazione delle emissioni inquinanti. Che cosa significa essere neutrali dal punto di vista della CO2 e come riuscirci.

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Riuscirà Eni a diventare un’azienda leader globale della transizione energetica verso le fonti pulite?

La dichiarazione del suo amministratore delegato, Claudio Descalzi, ripresa da tutte le agenzie di stampa, sull’obiettivo della “neutralità carbonica” ha destato quel misto di curiosità, interesse e scetticismo che non può che accompagnare tutte le affermazioni di questo tenore, rilasciate dalle grandi compagnie che investono nelle fonti fossili.

Descalzi, parlando al Politecnico di Milano durante il rinnovo di un accordo tra Eni e l’istituto universitario, ha spiegato che (neretti nostri) “inizia un ciclo nuovo e strategico dell’attività di Eni, che da compagnia petrolifera è passata a essere società energetica e ora punta sull’economia circolare per arrivare alla neutralità carbonica”.

Poi Descalzi ha evidenziato che il cane a sei zampe pensa di definire e annunciare il traguardo della neutralità entro la fine del 2018, dopo aver terminato le analisi tecnico-economiche in corso, e che “sarà un annuncio epocale”, oltre che “vincolante per tempi e quantità”.

In sostanza, sembra che Eni voglia lanciare un programma molto ambizioso per ridurre nettamente l’impatto ambientale delle sue attività, quindi non solo le emissioni di gas-serra complessive delle differenti risorse (estrazione, trasporto e utilizzo di petrolio e gas in particolare), ma anche, ad esempio, la produzione di rifiuti, il consumo idrico e così via.

Tuttavia, per il momento, è difficile valutare cosa intenderà esattamente Eni per “neutralità carbonica”, un concetto molto difficile da abbinare agli investimenti in combustibili fossili che dominano il portafoglio del colosso energetico italiano, così come di altre aziende, ad esempio l’inglese BP, indecise tra l’abbracciare con più convinzione le tecnologie “verdi”, tra cui la mobilità elettrica, o consolidare le loro economie centrate sull’oro nero.

Il piano industriale 2018-2021, d’altronde, prevede di destinare circa 32 miliardi di euro al settore upstream volto a estrarre/produrre idrocarburi, continuando a investire nella ricerca di nuovi pozzi in tutto il mondo (vedi QualEnergia.it, Tanto petrolio e rinnovabili ancora marginali nel nuovo piano Eni), come conferma la recentissima scoperta del maxi giacimento Noor di gas offshore in Egitto.

Alle fonti rinnovabili è dedicato ancora poco spazio, ad esempio quei 220 MW di fotovoltaico già avviati nell’ambito del Progetto Italia.

Essere neutrali, stando alla lettera di una formulazione così impegnativa da applicare, significa non soltanto tagliare le emissioni di anidride carbonica e altre sostanze inquinanti, ma anche compensare e rimuovere le emissioni residue, in modo da ottenere un bilancio netto di CO2 pari a zero.

Compensare/rimuovere le emissioni nocive, quindi, grazie a diverse possibili soluzioni, tra cui: disinvestire da carbone, gas e petrolio (vedi QualEnergia.it per approfondire i rischi climatici e finanziari associati alle industrie fossili), de-carbonizzare il gas puntando sul biometano o sull’idrogeno, installare sistemi CCS (Carbon Capture and Storage) per catturare l’anidride carbonica rilasciata dagli impianti, piantare alberi, gestire in modo più responsabile terreni e colture destinate alla produzione di bio-carburanti.

Eni, quindi, dovrà innanzi tutto calcolare e divulgare in dettaglio le emissioni di CO2 imputabili alle sue differenti operazioni su scala globale, per poi chiarire come ridurle e come compensare quelle residue.

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