Cambiamenti climatici e rischio locale, quando il “privato è politico”

Uno degli slogan degli anni ’60, “il privato è politico”, può diventare un punto cardine della lotta, dal basso, ai cambiamenti climatici. Il caso della protesta dei cittadini di un quartiere di Boston contro la costruzione di una condotta di metano ad alta pressione.

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L’articolo pubblicato sul n.2/2018 della rivista bimestrale QualEnergia

Il 2018 è l’anno delle commemorazioni del movimento degli anni ’60, che ingiustamente è stato ridotto al 1968, come se si trattasse di un momento di gloria – o follia, secondo chi guarda – che venne dal niente e sparì senza tracce.

Forse lo slogan più importante era il “privato è politico”. La scissione tra la sfera privata e il ruolo pubblico-professionale fu vista come una colonna portante della doppia morale che permette di essere una brava persona in famiglia e perpetuare nel proprio lavoro e vita pubblica un sistema di sfruttamento di uomini e natura.

Nei ’60 il “privato è politico”, nella sinistra subculturale prima, nel movimento femminista poi, significava che non ci sono soluzioni personali per contrastare lo sfruttamento economico e la repressione delle diversità sociali e culturali.

Solo la lotta politica porta all’emancipazione collettiva e personale. Il riconoscimento del politico nel personale oggi rischia di fermarsi alla superficie di semplici dicotomie, bianco – nero, buono – cattivo, maiali – vittime, senza il tentativo di far emergere le connessioni tra l’esperienza personale e le strutture sociali e politiche che generano e riproducono gerarchie, dominio, disuguaglianza e ingiustizia.

In questa superficialità le giuste cause diventano mode che spopolano per qualche mese sui media, sia sociali sia di massa, per poi fare posto allo scandalo successivo e allo sgomento collettivo.

Lo scandalo del caos climatico soffre del problema opposto: sembra solo politico e molto lontano dal privato, cioè dalla vita reale.

In qualche momento diventerà un problema, ma non ora. Colpirà persone in qualche angolo del mondo, ma non qui e non me. Un legame sorprendente tra la loro vita personale e la politica del clima è stato invocato dalla gente di West Roxbury, un quartiere di Boston.

Tredici persone accusate di trasgressione, disturbo della quiete pubblica e resistenza all’arresto si sono difese invocando lo stato di necessità. Erano state arrestate mentre protestavano contro la costruzione di una condotta di metano ad alta pressione incatenandosi, mettendosi di fronte agli scavatori, decorando le fosse con fiori.

Non negavano di aver disobbedito le leggi, ma affermavano che avevano l’obbligo morale di farlo per evitare danni ingenti a comunità e umanità.

In loro difesa alcuni si concentravano sulla sicurezza della comunità, il rischio locale, se la condotta dovesse cedere all’alta pressione, altri sulla crescita della concentrazione di CO2 in atmosfera e i danni alla comunità umana.

Che il giudice (donna) abbia accolto la loro difesa è una bella notizia, ma a prescindere dell’esito positivo del processo fa impressione come la gente di West Roxbury ha messo insieme l’impegno per la sicurezza della propria comunità con la minaccia globale del clima.

Nel processo, l’azienda che costruisce la condotta, la Spectra Energy di Houston, Texas, ha ammesso di non aver un piano di sicurezza, mentre gli esperti degli accusati dimostravano che un incidente avrebbe potuto incenerire un’area di almeno trenta stabili.

L’impulso iniziale per la resistenza contro la condotta era la preoccupazione per la sicurezza – qualcosa che aveva un significato per la gente del posto. Dalla preoccupazione per il proprio mondo vitale c’era, in un processo pratico di coinvolgimento attivo, un passo ai danni che le energie fossili e i cambiamenti climatici portano in altre parti del mondo.

Un grande passo per la comunità di West Roxbury.

L’articolo è stato pubblicato sul n.2/2018 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Il privato è politico”.

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