Clima e gas-serra: quanto sarà grave il surriscaldamento globale?

Negli studi scientifici permane molta incertezza sulla risposta che darà il nostro Pianeta alla maggiore concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, la cosiddetta “sensibilità climatica”. Di quanti gradi aumenteranno le temperature sul lungo termine? I fattori in gioco e la necessità di ridurre velocemente le emissioni di CO2.

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Quanta anidride carbonica potremo ancora rilasciare nell’atmosfera, prima di avere un eccessivo surriscaldamento del Pianeta? Come ridurre le emissioni di gas-serra e in che percentuali, rispetto all’epoca preindustriale? Quanto bisognerà investire nelle fonti pulite?

Sono le domande più frequenti nel dibattito globale sui cambiamenti climatici e le energie “verdi”, come hanno confermato i recentissimi negoziati europei sulle nuove direttive per le rinnovabili e l’efficienza energetica, giunti con fatica a definire traguardi un po’ più ambiziosi al 2030.

Così Bruxelles sta pensando a rafforzare l’obiettivo di riduzione della CO2: -45% nel 2030 in confronto ai livelli del 1990, mentre si stanno moltiplicando le dichiarazioni di gruppi di paesi che chiedono un maggiore impegno a rispettare gli accordi di Parigi, in vista del prossimo vertice Onu sul clima di dicembre (CoP24), in modo da contenere l’aumento delle temperature a 2 gradi centigradi entro la fine del secolo.

Sullo sfondo delle discussioni tra i governi aleggiano i dati trapelati finora dal nuovo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo dell’Onu che studia l’evoluzione del clima), che uscirà ufficialmente in autunno.

Dal documento emerge che i paesi devono tagliare con molta più convinzione le emissioni inquinanti, perché il carbon budget, la quantità di CO2 che ci resta da “spendere” (emettere nell’aria) senza sforare il limite dei 2 gradi, si sta esaurendo rapidamente.

Le ricette salva-clima comprendono mix differenti di soluzioni: installare tantissima energia rinnovabile, elettrificare i trasporti, ridurre i consumi di combustibili fossili fino ad azzerarli, anche ricorrere a misure un po’ futuribili di geoingegneria, senza dimenticare l’eventuale ricorso alla “cattura” della CO2 con sistemi CCS o BECCS (Carbon Capture and Storage).

Alcuni scienziati, infatti, ritengono che si dovrà arrivare entro pochi decenni a un bilancio netto negativo per le emissioni di CO2, dove l’anidride carbonica assorbita/rimossa dovrà essere maggiore di quella diffusa nell’ambiente, anche se come riuscirci è un tema molto controverso (vedi QualEnergia.it Perché geoingegneria e CCS non salveranno il Pianeta).

Eppure, c’è ancora molta incertezza sulla cosiddetta “climate sensitivity”, letteralmente la “sensibilità climatica”, che cerca di stabilire di quanti gradi aumenterà la temperatura media terrestre, se e quando raddoppierà la concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

Ora siamo intorno a 410 ppm (parti per milione) di anidride carbonica, secondo le ultime rilevazioni dell’osservatorio Mauna Loa nelle Hawaii, rispetto a circa 280 ppm dell’età preindustriale, con la previsione di raggiungere 560 ppm verso il 2060 continuando di questo passo, raddoppiando così il valore di partenza.

Come osserva una recente analisi di Carbon Brief su decine di studi scientifici in questo campo, il ventaglio delle stime della sensibilità climatica è davvero ampio: tra 1,5 e 4,5 gradi centigradi di aumento delle temperature, in presenza di una concentrazione di CO2 doppia rispetto a quella dei secoli passati.

Tanta incertezza si spiega, in parte, con la molteplicità dei modelli scientifici utilizzati per misurare le possibili “risposte” del nostro Pianeta alle maggiori emissioni di gas-serra.

Di conseguenza, i risultati finali possono variare secondo i parametri impiegati dai ricercatori, dalla scala temporale di riferimento e così via.

Inoltre, una grandissima parte dell’incertezza riguarda i cosiddetti “feedback” positivi o negativi, quei processi climatici che possono amplificare o smorzare gli effetti del surriscaldamento globale.

In altre parole: la CO2 si concentra di più nell’atmosfera, le temperature crescono, poi entrano in gioco altri fattori, a loro volta determinati dal surriscaldamento, come la maggiore quantità di vapore acqueo nell’aria, le diverse conformazioni degli strati nuvolosi, lo scioglimento di nevi e ghiacci, tutti fattori che secondo gli scienziati, con ogni probabilità, accentueranno il global warming.

Dobbiamo considerare, infatti, che il Pianeta si adatterà nel tempo alle nuove e più elevate concentrazioni di gas-serra, raggiungendo infine un equilibrio dopo che i diversi processi climatici (feedback) avranno fatto il loro corso. Ecco perché la forchetta della climate sensitivity è così vasta.

Diversi studi recenti, evidenzia Carbon Brief, hanno provato a ridurre questa forchetta, anche se la variabilità sostanziale è rimasta. Tuttavia, spiegano gli esperti del clima, l’incertezza non deve essere presa come una scusa per rimandare le nostre azioni volte a ridurre le emissioni di CO2.

Nonostante il clima-negazionismo che ancora alberga tra chi, come Donald Trump negli Stati Uniti, continua a scommettere sui combustibili fossili (vedi QualEnergia.it Tutti i dati sulle fonti rinnovabili Usa che “smontano” Trump) la scienza è ragionevolmente certa di una cosa: il Pianeta si sta scaldando, anche se non sappiamo esattamente quanto sarà grave sia questa febbre e quanto si scalderà sul lungo termine.

In sintesi, bisogna diminuire velocemente e drasticamente le emissioni.

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