Quello che il nuovo governo potrebbe fare su energia e ambiente

Nel “Contratto di governo” le tematiche energetico-ambientali sono state trattate in modo generico e deludente. Restano da assolvere obiettivi di breve e lungo periodo in settori nevralgici che dovranno coinvolgere molti dicasteri. E poi gli impegni internazionali. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Visto che i 5 Stelle finora sono stati sostenitori di politiche molto avanzate su vari fronti, dall’energia alla mobilità, possiamo aspettarci novità dal nuovo governo?  

Nel Contratto firmato queste tematiche sono state trattate in modo generico e deludente, vedi QualEnergia.it, Energia e ambiente nel “contratto per il Governo del Cambiamento” M5S-Lega.

Si dirà che il documento risente della mediazione tra posizioni diverse, ma certo poteva essere scritto meglio, con obbiettivi chiari e riferimenti agli impegni internazionali su clima ed energia.

Vedremo adesso quale sarà la squadra di governo e come i nuovi ministri imposteranno la loro attività, a partire dalla elaborazione dei futuri scenari.

Su questo fronte si apre una stagione interessante perché il governo italiano, come tutti gli altri, nei prossimi mesi dovrà definire un “Piano Energia Clima” su un orizzonte di lungo periodo.

Per essere efficace questa elaborazione dovrà avere due caratteristiche: un ampio coinvolgimento dei principali attori sociali e una centralizzazione presso la Presidenza del Consiglio, visto che le tematiche trattate riguardano una decina di ministeri.

La Strategia Energetica Nazionale 2017 rappresenta certamente una utile base di partenza, ma dovrà essere rivista alla luce delle decisioni finali sugli obbiettivi europei 2030.

La concertazione in atto si concluderà entro l’estate ed è probabile che i target su rinnovabili ed efficienza si assesteranno sul 30-31%, quindi su valori più elevati rispetto a quelli utilizzati per la formulazione della SEN. E già nella definizione dei nuovi obbiettivi c’è da sperare che l’Italia passi dalle posizioni di retroguardia che ha spesso assunto in questi anni a quelle dei paesi più impegnati nella transizione energetica.

Ma la SEN tocca solo marginalmente l’agricoltura, i trasporti, l’edilizia, l’industria, la ricerca, la politica estera, il lavoro, tutti settori che invece dovranno essere coinvolti pienamente nella definizione delle trasformazioni che ci aspetteranno nei prossimi anni.

Parliamo di cambiamenti radicali la cui percezione non è per niente scontata in molte istituzioni. Eppure, se gestite con intelligenza queste trasformazioni potrebbero garantire ricadute molto interessanti sotto il profilo del tessuto produttivo e di quello occupazionale.

“La risposta al cambiamento climatico rappresenta una delle più grandi opportunità industriali dei nostri tempi”. Non è la dichiarazione di un esponente ambientalista, ma di Theresa May, che non spicca per una particolare sensibilità su questi temi. Il fatto è che tutti i principali leader mondiali condividono questa visione. Fanno eccezione pochi altri paesi, fra cui l’Italia, i cui leader non hanno dato finora la sensazione di aver capito la portata della sfida.

Vedremo allora quale posizione assumerà sui temi ambientali il prossimo governo.

Per accelerare la conversione ecologica dell’economia occorreranno obbiettivi chiari, ambiziosi e raggiungibili per poi definire politiche e strumenti adeguati.

Prendiamo il settore dei trasporti. Andrebbe definita una data limite per la vendita di veicoli a combustione interna. Potrebbe essere il 2030 per le auto e il 2025 per gli autobus urbani.

Nel settore dell’edilizia si dovrebbero accelerare gli interventi di efficientamento, passando da un tasso annuo di riqualificazione dello 0,5% a valori almeno tripli fra un decennio, con una quota crescente di “deep renovations” che consentono di ridurre del 60-80% i consumi degli edifici riqualificati.

La generazione di elettricità rinnovabile dovrebbe garantire almeno il 60% dei consumi alla fine del prossimo decennio, quando si potrebbero anche utilizzare 10 miliardi di metri cubi di biometano. Due azioni che ridurrebbero la dipendenza dalle importazioni di metano.

Ma andrebbe anche prevista in parallelo l’estensione dell’agroecologia, consentendo di limitare drasticamente l’uso dei fertilizzanti e disinfestanti chimici e di arricchire il contenuto del carbonio nei suoli (una scelta decisiva per ridare fertilità a molte aree agricole del sud abbandonate).

Ma un governo innovativo può fare anche altro.

Dovrebbe, ad esempio, lanciare un segnale chiaro all’Eni. Se infatti Enel, Terna e Trenitalia hanno avviato profonde rivisitazioni delle loro strategie in coerenza con un mondo in rapida trasformazione, la stessa cosa non si può dire per la nostra multinazionale Oil and Gas. Eni dovrebbe avviare seriamente una diversificazione delle proprie aree di intervento, come alcuni suoi competitor hanno iniziato a fare. Un cambiamento utile alla transizione energetica globale, vista la forza e le competenze di questa tecnostruttura, ma anche una garanzia per l’Eni stessa rispetto ai rischi degli scenari futuri low carbon.

Insomma, le cose che si potrebbero fare sono tante. E non parliamo di sogni di ambientalisti visionari, ma di percorsi virtuosi già avviati con successo in altri paesi.

Sarà questa l’impostazione del nuovo governo? Non lo sappiamo. Ma siamo certi che si faranno sentire con forza l’opinione pubblica sempre più sensibile su questi temi, le realtà imprenditoriali che si stanno muovendo verso un’economia green e le forze sociali che credono ad un percorso di conversione ecologica e solidale dell’economia.

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