Petrolio, il nuovo rincaro dei prezzi di un mercato sempre più volatile

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Il mercato è ormai instabile e fuori controllo per il progressivo esaurimento delle risorse a bassi costi di estrazione. Il Brent quasi a 80 $ è un tentativo di riuscire a coprire questi costi per il petrolio non convenzionale. Gli effetti negativi per l'Italia di un'ulteriore impennata dei prezzi.

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Sono ormai non pochi anni che mi occupo del mercato del petrolio. Fra le tante cose che ho imparato, una è che se voglio sapere l’andamento dei prezzi non ho veramente bisogno di andarmi a vedere Bloomberg o uno dei tanti siti che forniscono i dati sul mercato del petrolio. Se il petrolio sale, me ne accorgo perché qualcuno mi chiede articoli e interviste. Altrimenti, silenzio.

Così, nell’ultimo mesetto o giù di lì, mi sono accorto del nuovo balzo in avanti dei prezzi del petrolio per via delle varie richieste di interviste e di commenti che ho ricevuto e sto ricevendo.

E, in effetti, al momento il petrolio Brent è intorno agli 80 dollari al barile. Se pensate che l’anno scorso, di questi tempi, era intorno a circa 45 dollari al barile, capite che c’è stato un bel cambiamento.

Cosa dobbiamo pensare di questo aumento? In pratica, dovrebbe essere abbastanza ovvio che non c’è da fare troppa attenzione alle oscillazioni momentanee dei prezzi. Tutti sanno che il mercato del petrolio è “volatile”, nel senso che i prezzi vanno su e giù come un cavallo a dondolo. Sì, tutti lo sanno, ma nessuno mette in pratica questa sapienza. Quando il petrolio era saltato a 150 dollari al barile, nel 2008, sembrava fosse arrivata la fine del mondo. Quando è sceso sotto i 30 dollari al barile, nel 2015, sembrava che fosse arrivata l’era dell’abbondanza perpetua.

Certo, se uno è un “trader,” di queste oscillazioni ci campa. Ma per la maggior parte di noi, se vogliamo capire qualcosa del mercato del petrolio, non dobbiamo far troppo caso alle oscillazioni a breve termine. Dobbiamo guardare a quello che succede su un arco di tempo perlomeno decennale. E se facciamo una media, possiamo anche riuscire a capire qualcosa. Possiamo trovare questi dati, per esempio per il Brent, anche su Wikipedia. Eccoli qui:

Tenete conto che questo grafico arriva fino al 2016 e che ora i prezzi sono tornati intorno agli 80 dollari al barile (nel grafico a lato l’andamento del prezzo del Brent negli ultimi due mesi).

Dopodiché ci vuole poco a capire una cosa: c’è stato un cambiamento importante a partire dal giro del millennio, verso il 2003. Da allora, i prezzi non sono mai consistentemente ritornati sotto i 40 dollari al barile, come era la regola del periodo precedente. Dal 2000, qualcosa è cambiato che ha reso i prezzi non solo più alti, ma anche molto più volatili.

Cos’è successo che ha cambiato così tanto le cose? Per capirlo, dobbiamo tornare indietro all’idea del “picco del petrolio” – proposta per la prima volta dal geologo americano Marion King Hubbert nel 1956. L’idea di Hubbert partiva dal fatto che l’industria petrolifera estrae per prime le risorse a minor costo di estrazione, via via che le esaurisce, si sposta verso risorse a costi più alti. Secondo Hubbert, il progressivo aumento dei costi di estrazione avrebbe avuto due effetti:

  1. aumentare i prezzi di mercato
  2. ridurre la produzione

In altre parole, Hubbert sosteneva che il petrolio non sarebbe finito tutto ad un tratto; la produzione avrebbe raggiunto un massimo per poi declinare gradualmente. Il “picco del petrolio”, appunto. Nel 1998, una previsione di Campbell e Laherrere aveva dato il 2005 come il possibile “anno del picco”.

Cosa è successo in pratica?

Le previsioni avevano qualcosa di buono, ma – come sempre succede – il mondo reale non segue mai esattamente le teorie. Verso il 2005-2008, c’è stato sia l’aumento dei prezzi sia il raggiungimento del massimo della produzione di petrolio “greggio” (detto anche “convenzionale”), al momento in declino.

Tuttavia, il sistema produttivo ha reagito in un modo che i modelli non prevedevano. Ha investito grandi risorse nella produzione di “petrolio di scisto” negli Stati Uniti e, in questo modo, ha evitato il declino produttivo dei liquidi petroliferi. Anzi, come nel vecchio detto “troppa grazia, Sant’Antonio”, ha messo in produzione una tale quantità di liquidi che il mercato ha reagito abbassando i prezzi.

Il problema è stato che ai prezzi bassi degli ultimi tre anni circa non conveniva produrre dallo scisto e i grandi investimenti fatti non hanno reso secondo le aspettative. Per cui il mercato ha cercato di adattarsi riducendo la fiammata produttiva per cercare di ritornare a prezzi un po’ più elevati, ai quali stiamo arrivando adesso.

Probabilmente, un prezzo “giusto” che possa mantenere un certo equilibrio fra domanda e offerta è intorno ai 100 dollari al barile. Ma non è detto che il mercato riesca a fermarsi a quel livello. Potremmo vedere una nuova fiammata dei prezzi a livelli ben più alti con conseguenze negative su tutto il sistema economico mondiale. Negative in particolare per l’Italia che è un’economia di trasformazione e il cui sistema economico dipende dal petrolio a buon mercato per poter funzionare.

In sostanza, il mercato petrolifero è ormai congenitamente instabile e fuori controllo, un fatto inevitabile, dovuto al graduale esaurimento delle risorse a bassi costi di estrazione.

Il petrolio di scisto, tanto osannato negli ultimi tempi, non è un petrolio facile da estrarre, anche se si sono fatti notevoli progressi nelle tecniche estrattive. Per cui, non ci possiamo aspettare di ritornare ai tempi del petrolio a buon mercato di prima della crisi. Quel tempo è ormai passato come quello dei pantaloni a campana e delle automobili con le pinne. Non ritornerà mai più.

Ne consegue che, in questa fase, dobbiamo ormai ragionare su come affrancarci dal petrolio e come farlo il più rapidamente possibile. E, per il “Paese del Sole,” le scelte dovrebbero essere ovvie!

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