La qualità del pellet: conformità alla normativa tecnica

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È la UNI EN ISO 17225-2 il riferimento per stabilire le proprietà del pellet di legno. I requisiti essenziali per definire la qualità del biocombustibile legnoso. Nell’ambito di questa specifica tecnica il Laboratorio Biomasse propone una serie di soluzioni per gli operatori del settore.

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Sono noti a tutti i vantaggi del processo di pellettizzazione che ormai da diversi anni è applicato anche nel settore dei biocombustibili solidi per la produzione, appunto, del pellet destinato al riscaldamento domestico.

La biomassa pellettizzata acquisisce caratteristiche chimico-fisiche, geometriche e meccaniche omogenee che le conferiscono una serie di vantaggi. Da una matrice spesso eterogenea e irregolare si ottiene, infatti, un prodotto standard, compatto, asciutto e stabile, sempre pronto all’uso ma anche conservabile, pratico da stoccare e da trasportare. Tutti aspetti che hanno permesso a questo combustibile rinnovabile di diffondersi in maniera più capillare rispetto alla legna da ardere, storicamente “scomoda” da utilizzare.

Anche dal punto di vista delle performance energetiche l’uso del pellet determina miglioramenti notevoli, legati in modo particolare alla possibilità di dosare e automatizzare l’alimentazione in stufe e caldaie e, di conseguenza, di ottenere una combustione regolare, massimizzare il rendimento e abbattere le emissioni.

Tuttavia, la sua natura di prodotto macinato, omogeneizzato e densificato rende piuttosto arduo riconoscere a vista se un prodotto è di qualità e, tantomeno, se è effettivamente costituito dal 100% di materia prima legnosa, vergine e non trattata chimicamente (come previsto dal Testo Unico Ambientale, DLgs. 152/2006 – Allegato X – Parte I – Sezione 4. Caratteristiche delle biomasse combustibili e relative condizioni di utilizzo).

Questo problema non riguarda solo l’utilizzatore finale ma anche i rivenditori, i distributori e, molte volte, gli stessi produttori.

Alla base di una qualità così difficile da garantire si possono individuare diverse ragioni. Escludendo quelle più “maliziose”, tra le cause più plausibili vi è proprio la variabilità insita nella stessa materia prima: la biomassa legnosa.

Tale variabilità può dipendere dalle specie legnose utilizzate, dall’origine e provenienza, dalla parte della pianta impiegata (es. fusto, branche, ramaglie), dalla presenza o meno di corteccia, dalla stagione e dalla stagionatura, dalla logistica e dalla tecnologia della filiera stessa.

Allo stato attuale le varie soluzioni ordinarie preposte a garantire agli operatori la qualità di un pellet non sempre sono in grado di fornire risposte ai quesiti sulla materia prima e sulla sua qualità.

I parametri di qualità del pellet

Per affrontare questo argomento occorre in prima battuta fare chiarezza su quelli che sono i requisiti fondamentali affinché un pellet possa essere definito di buona qualità e chi definisce e assegna le cosiddette “classi di qualità”, spesso esibite nelle etichette dei sacchi e molto gradite a produttori e rivenditori che vogliono dare valore aggiunto al proprio prodotto.

La qualità del pellet viene definita da specifiche tecniche sviluppate a vari livelli. A livello internazionale la norma a cui fanno riferimento i biocombustibili solidi è la ISO 17225. Per il pellet di legno il riferimento nazionale è la UNI EN ISO 17225-2Biocombustibili solidi – Specifiche e classificazione del combustibile – Parte 2: Definizione delle classi di pellet di legno” che di fatto recepisce la norma ISO.

La norma stabilisce i parametri qualitativi di riferimento e le soglie entro le quali un determinato pellet deve rientrare affinché possa ritenersi conforme o meno ad una determinata classe di qualità (A1, A2 o B per pellet commerciali oppure I1, I2 e I3 per quelli industriali).

Considerata la funzione energetica, il primo requisito è legato alla sua capacità di liberare energia termica durante la combustione.

Questa proprietà è definita dal potere calorifico. Più specificatamente la norma fa riferimento al potere calorifico inferiore (PCI) del pellet tal quale da non confondere con il potere calorifico superiore (PCS), il cui dato è fuorviante e ancora utilizzato da alcuni produttori e distributori.

Per classificare un pellet in classe A1 il PCI deve essere non inferiore a 4,6 kWh (o 16,5 MJ) per kg di pellet tal quale.

Altro requisito fondamentale per un pellet di legno è avere un basso contenuto di ceneri.

Queste sono rappresentate dalla parte inorganica del materiale che non contribuisce alla combustione. Le ceneri tendono quindi a depositarsi sulla griglia di combustione o nell’apposito cassetto di raccolta e, pertanto, devono essere rimosse periodicamente. Tuttavia, questo, non è l’unico aspetto negativo legato alle ceneri. Esse, infatti, possono contribuire all’aumento delle emissioni di polveri in atmosfera e, in misura più evidente in caldaie di classi di potenza maggiori, anche alla formazione di aggregati solidi difficili da rimuovere (incrostazioni) e alla comparsa di fenomeni di corrosione delle componenti interne alla caldaia.

Dal punto di vista normativo, il contenuto di ceneri è con ogni probabilità uno dei parametri che pesa maggiormente nella collocazione qualitativa di un pellet di legno. Infatti, il limite previsto per la classe A1 è pari a 0,7% in peso su sostanza secca. Per la classe A2 il limite è di 1,2% e per la B del 2%. Se il contenuto di ceneri di un pellet legnoso destinato all’uso commerciale e residenziale supera anche quest’ultimo limite, non può più ritenersi conforme alla norma UNI EN ISO 17225-2.

Altri requisiti a cui il pellet deve rispondere riguardano aspetti di tipo fisico-meccanico.

Tra questi: la durabilità meccanica, cioè la capacità del prodotto di mantenere stabile la sua struttura a seguito degli urti che subisce nel corso della sua movimentazione e durante il trasporto; le particelle fini, cioè la frazione polverosa (< 3,15 mm) che residua a valle del processo di produzione o si genera durante il maneggiamento del pellet e che, generalmente, si deposita sul fondo dei sacchi o nelle tramogge.

Il pellet, non va dimenticato, è un prodotto costituito da particelle fini di legno che, per l’azione congiunta di pressione, attrito e temperatura, si aggregano più o meno stabilmente le une con le altre. Di conseguenza, se il processo produttivo non è ottimizzato, possono verificarsi, soprattutto durante il trasporto o l’uso in stufe e caldaie, fenomeni di disgregazione a volte anche molto evidenti.

Oltre a garantire determinate prestazioni energetiche e avere i giusti requisiti fisico-meccanici, il pellet deve anche preservare certe caratteristiche ambientali, tipiche del materiale di origine.

Il prodotto, in altri termini, non deve contenere elementi estranei a quelli generalmente presenti nel prodotto di partenza. Da qui la necessità di controllare la presenza di elementi chimici non caratteristici del legno. Il cloro, l’azoto, lo zolfo e i metalli pesanti (es. piombo, mercurio, cadmio e cromo) diventano pertanto dei parametri indicatori della presenza di possibili contaminanti che, tradizionalmente, derivano dall’uso di prodotti di scarto dell’industria del legno (es. OSB, compensati, lamellari, ecc.) che contengono colle o che in generale hanno subito trattamenti di tipo chimico.

Il controllo qualità sul pellet

Rispettare i limiti imposti dalle classi di qualità definiti dalle norme, tuttavia, non è obbligatorio. Pertanto la verifica della conformità di un pellet alla norma sui biocombustibili resta un atto volontario, condotto generalmente da quei produttori e distributori che intendono verificare e comunicare la qualità del proprio prodotto o che desiderano consentire agli utilizzatori di avere accesso alle incentivazioni previste per la produzione di energia termica da impianti a fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni.

Resta, invece, obbligatorio quanto disciplinato dall’Allegato X del Testo Unico Ambientale circa l’impiego di biocombustibili, in particolare alla Parte I – Sezione 4 in cui si definiscono tipologia e caratteristiche delle biomasse legnose combustibili.

Secondo l’esperienza del Laboratorio Biomasse, soprattutto negli ultimi anni, gli operatori del settore mostrano maggiore sensibilità verso una valutazione più rigorosa della conformità del pellet alle classi di qualità indicate dalla specifica tecnica (attenzione non si parla di certificazione).

Sono infatti in progressivo aumento i produttori, ma soprattutto i distributori di pellet, anche certificato, che hanno preso atto che la qualità non è sempre stabile ma può cambiare nel tempo in funzione, soprattutto, della materia prima utilizzata. Pertanto, è buona prassi ricorrere a dei controlli di routine affidandosi a dei criteri di monitoraggio per quanto possibile con oneri adeguati ai margini economici del prodotto.

In un mercato dove a livello nazionale i consumi superano di gran lunga la produzione e si deve attingere a fonti diverse di approvvigionamento, è necessario maturare una cultura del controllo sistematico della qualità del prodotto. Ovviamente si deve tenere conto dei costi del controllo stesso e individuare quindi soluzioni adeguate e compatibili con i margini economici del settore.

Cosa fa il Laboratorio Biomasse

Per venire incontro a queste esigenze, il Laboratorio Biomasse propone delle soluzioni analitiche dedicate sia al monitoraggio della qualità dei pellet che alla caratterizzazione delle materie prime. Fra i vari pacchetti ve ne sono anche alcuni particolarmente economici, ottimizzati ad esempio per uno screening iniziale di nuovi fornitori, di nuove materie prime o anche per un controllo routinario del proprio prodotto e adatto, pertanto, alla verifica periodica dei requisiti di conformità.

Il Laboratorio Biomasse restituisce al termine delle analisi, oltre al classico rapporto di prova, spesso comprensibili solo agli operatori del settore, anche lo “Smart Report”, un report analitico semplificato e intuitivo, ricco di elementi grafici, come gli “indicatori di performance”, che fanno capire a colpo d’occhio il livello qualitativo dei principali parametri analitici nonché la conformità del pellet alle varie classi della norma (vedi fac-simile).

Nello Smart Report vengono anche mostrati i risultati dell’analisi ad infrarossi  (vedi altro articolo) attraverso l’uso di icone che consentono, entro certi margini di errore, di disporre di informazioni sulla materia prima del pellet (conifera e/o latifoglia; legno vergine o trattato con colle).

A tutto ciò si aggiungono elementi interattivi, rappresentati da collegamenti ipertestuali (attivi nella versione pdf) e da codici QR (accessibili tramite un semplice smartphone), che consentono di visualizzare alcuni approfondimenti, fra cui:

  • il download del rapporto di prova completo;
  • l’accesso ad una scheda tecnica relativa all’analisi all’infrarosso;
  • la possibilità di collegarsi ad un portale del produttore o distributore per tenere traccia dei vari controlli effettuati su differenti lotti.

Per maggiori informazioni sui servizi di analisi e monitoraggio della qualità e sulle attività di ricerca e sviluppo del Laboratorio Biomasse si invita a visitare il sito web: www.laboratoriobiomasse.it o a inviare una mail all’indirizzo [email protected].

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