Dissalazione: problemi di ecosostenibilità e prospettive di breve periodo

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Torniamo sul tema della domanda di dissalazione di acqua e, in particolare, sulle tecnologie che al momento hanno notevoli impatti sull'ambiente. L’evoluzione tecnologica e ingegneristica sta però mettendo a disposizione soluzioni sempre più efficienti, riducendo il fabbisogno energetico degli impianti.

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La diffusione del benessere, la crescita esponenziale della popolazione mondiale, l’inurbamento, l’industrializzazione dei paesi in via di sviluppo, l’espansione dell’attività economica e commerciale globale hanno aumentato costantemente il fabbisogno umano di acqua dolce.

A fianco di uno sfruttamento sempre più intensivo delle fonti convenzionali, fiumi, laghi e giacimenti sotterranei, si è andato diffondendo il ricorso alla dissalazione dell’acqua marina e di quella salmastra.

Mari e oceani, infatti, rappresentano circa il 97% della riserva globale di acqua e presentano il vantaggio logistico di lambire le aree più popolose del pianeta, dove il fabbisogno di acqua cresce più rapidamente e raggiunge i livelli più elevati.

Nel corso degli ultimi 20 anni la capacità di dissalazione globale è aumentata di circa 8 volte e attualmente supera i 100 milioni di litri al giorno.

Nel prossimo decennio, sospinta dallo sviluppo umano e dal riscaldamento globale, la domanda di acqua dissalata aumenterà ed è possibile stimare che la produzione potrebbe facilmente triplicare.

Come abbiamo scritto di recente su un nostro articolo che affrontava soprattutto la questione delle tecnologie pulite per la dissalazione, lo Stockholm International Water Institute, stima che al 2030 circa il 47% della popolazione mondiale potrebbe avere problemi di scarsità di acqua (QualEnergia.it, Dissalare l’acqua marina in modo sostenibile: tecnologie e fonti energetiche).

La quota maggiore della domanda di acqua dissalata è rappresentata dai consumi pubblici legati alla fornitura di acqua potabile alla popolazione (61%), poco meno di un terzo è assorbito dall’industria (29%) e il restante viene destinato all’irrigazione (2%), consumato dalle centrali elettriche (5%) o impiegato con altri scopi (3%).

(Riguardo all’impatto della scarsità di acqua sui sistemi energetici si veda un nostro recente articolo, ndr)

Il 68% della capacità di dissalazione globale si basa su tecnologie a membrana, il 30% su processi termici e il 2% su altre tecnologie.

Mediamente, per produrre un litro di acqua dissalata sono necessari 4 kWh.

Il massiccio ricorso a combustibili fossili per alimentare gli impianti di dissalazione causa l’immissione in atmosfera di circa 150 milioni di tonnellate di CO2 e di milioni di tonnellate di sostanze inquinanti l’anno.

Al momento l’osmosi inversa è la tecnologia più diffusa negli impianti di grandi dimensioni ed è quella su cui si concentrano le maggiori aspettative di breve periodo. Circa il 50% degli impianti in attività a livello globale e il 90% di quelli in costruzione o in fase di progettazione sfrutta processi di osmosi inversa.

Questa tecnologia impiega membrane semipermeabili. Si tratta di membrane che permettono il passaggio solo di determinate molecole. Il flusso dipende dalle condizioni di pressione, concentrazione e temperatura e dalle caratteristiche della membrana, per separare l’acqua dolce dai residui solidi e dalle impurità che la rendono inadatta al consumo civile.

L’evoluzione tecnologica e ingegneristica ha messo a disposizione materiali sempre più avanzati e schemi costruttivi sempre più efficienti, riducendo il fabbisogno energetico degli impianti. Tuttavia, nonostante gli ultimi prototipi raggiungano rendimenti di poco superiori a 1 kWh per litro, i grandi impianti in attività non vanno ancora oltre rendimenti di 3,5/3,9 kWh per litro (vedi tabella relativa a grandi impianti di dissalazione).

Lo sviluppo sperimentato nell’ultimo decennio dalle tecnologie che sfruttano le nuove fonti di energia rinnovabile offre una duplice opportunità.

Da una parte, le rinnovabili offrono la possibilità di riconvertire gli impianti in attività a fonti di energia alternative (fotovoltaica ed eolica, principalmente), dall’altra di sfruttare direttamente l’energia termica solare in maniera molto più efficiente di quanto facciano i dissalatori solari tradizionali.

Molto spesso, infatti, i Paesi che devono fare ricorso alla dissalazione per soddisfare i propri bisogni idrici presentano condizioni climatiche aride o quantomeno ampie regioni desertiche limitrofe alle coste.

La tecnologia fotovoltaica ha il vantaggio di poter essere abbinata all’osmosi inversa, come detto il processo di dissalazione più efficiente sul mercato, ma patisce più di quella solare termodinamica l’intermittenza della fonte. Dato che gli impianti devono mantenere i livelli di produzione programmati, è necessario affiancargli dispositivi di energy storage. E mentre l’energia termica può essere stoccata con relativa semplicità ed economicità, per l’energia elettrica la questione è più complessa e più costosa.

Tuttavia, al momento la tecnologia termodinamica non è ancora impiegata su larga scala, mentre sono già in funzione impianti di dissalazione di grandi dimensioni alimentati da parchi fotovoltaici, come quello saudita di Al Khafji in Arabia Saudita (60.000 mc d’acqua potabile al giorno).

L’impianto però supplisce ancora agli sbalzi di produzione del parco fotovoltaico ricorrendo alla rete elettrica nazionale, alimentata in massima parte da combustibili fossili.

Nel corso del prossimo decennio è facile prevedere che per effetto della crescente attenzione all’impatto ambientale dei processi industriali e di dinamiche di mercato le due opzioni si affermeranno sul mercato della dissalazione.

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