Fusione nucleare, perché se ne parla a fronte delle tante incognite

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Una parte della ricerca scientifica continua a puntare sull’idea di produrre energia potenzialmente illimitata con il plasma in futuri reattori, di cui però, al momento, non s’intravede alcuna prospettiva concreta. Spieghiamo in sintesi cos’è questa tecnologia sperimentale e quali sono i suoi principali punti critici.

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Produrre energia potenzialmente illimitata, a zero emissioni di anidride carbonica, senza scorie radioattive, competitiva con le altre fonti di generazione elettrica: chi azzarda una scommessa sulla fusione nucleare pensa che questi risultati siano raggiungibili, anche se la ricerca scientifica è ancora allo stadio sperimentale.

Qualche giorno fa due notizie che riguardano la fusione nucleare hanno avuto una certa risonanza sulla stampa italiana ed estera.

La prima è che l’Enea sta per decidere in quale regione italiana ospitare il laboratorio che svilupperà il progetto DTT (Divertor Tokamak Test), che a sua volta rientra nel programma ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor).

Intanto il Massachusetts Institute of Technology (MIT) – ecco la seconda notizia – in collaborazione con la neonata società Commonwealth Fusion Systems, che ha attirato anche un investimento pari a 50 milioni di euro da parte di Eni, lavorerà a un prototipo di reattore a fusione, chiamato SPARC, che potrebbe essere operativo tra una quindicina d’anni.

Questo tipo di esperimenti ha qualche prospettiva realistica?

Le ricerche dell’Enea

“Il nostro obiettivo è dimostrare che la fusione nucleare può essere utilizzata per produrre energia sostenibile a costi competitivi”, spiega a QualEnergia.it Aldo Pizzuto, responsabile del dipartimento dell’Enea che si occupa di fusione e sicurezza nucleare.

Tuttavia, prima di arrivare al traguardo, rappresentato da una centrale elettrica a fusione di taglia commerciale, c’è ancora moltissima strada davanti a noi e con tanti problemi tecnici disseminati lungo il percorso, che sembrano veramente difficili da risolvere.

Il processo di fusione, in sintesi, prevede l’interazione di due nuclei di idrogeno, deuterio e trizio, avvicinandoli così tanto da superare la loro repulsione elettrica. Questi nuclei, chiarisce Pizzuto, “vanno scaldati a oltre cento milioni di gradi centigradi, portandoli così allo stato di plasma, in cui gli elettroni si sono completamente separati dai rispettivi nuclei”.

Per contenere il plasma, prosegue il ricercatore, bisogna costruire delle “bottiglie magnetiche” con dei materiali superconduttori, in grado di “tenere insieme” il plasma in sospensione, senza farlo entrare in contatto con le pareti del cilindro (che altrimenti fonderebbero), controllando l’enorme potenza termica che via via si sviluppa e amplifica al suo interno.

Ed è proprio questo lo scopo del progetto DTT: “Sarà un simulatore di un reattore”, spiega ancora l’esperto dell’Enea, “quindi avrà tutte le caratteristiche funzionali di un reattore, ma non produrrà energia elettrica”.

La scommessa della fusione avrà successo, secondo Pizzuto, se gli scienziati riusciranno a garantire un guadagno energetico superiore ad almeno un fattore trenta. Come primo passo, il reattore ITER, “in fase avanzata di costruzione a Cadarache in Francia, aggiunge Pizzuto, avrà un guadagno pari a dieci, con 50 MW di energia in ingresso e 500 MW di energia in uscita”.

In sostanza, i risultati di ITER e DTT serviranno a determinare la fattibilità tecnica e la sostenibilità economica di un impianto commerciale.

Una delle tecniche impiegate per innescare la fusione è la radiofrequenza: semplificando molto, parliamo di microonde che scaldano il plasma, interagendo con gli elettroni o gli ioni.

La sfida è molto complessa anche per accertare la competitività economica di un futuro reattore a fusione nucleare, che dovrà avere un costo d’investimento “sostenibile” in confronto alle tecnologie concorrenti di generazione elettrica.

Ecco perché una buona parte della ricerca si sta concentrando anche sui magneti superconduttori, testando materiali in grado di generare dei campi magnetici molto potenti, ma a costi inferiori rispetto a oggi.

I tempi? Il reattore dimostrativo, termina Pizzuto, è previsto per la metà di questo secolo, quindi intorno al 2050. Nel frattempo, per realizzare il progetto DTT, l’investimento complessivo sarà nell’ordine di 500 milioni di euro.

Tante, troppe incertezze

In un recente contributo sul Bulletin of the Atomic Scientists, un ex ricercatore del Princeton Plasma Physics Lab, Daniel Jassby (vedi qui l’articolo completo) ha riassunto e illustrato i principali punti critici della fusione, con un riferimento specifico al progetto ITER.

In particolare, scrive Jassby, il guadagno energetico “promesso” dal consorzio che sta sviluppando l’impianto – output di 500 MW a fronte di 50 MW in ingresso – è fuorviante, perché questi 50 MW riguardano solo la potenza termica iniettata nel plasma, mentre l’energia complessivamente spesa per alimentare il reattore sarebbe molto più elevata, nell’ordine di circa 300 MW elettrici.

Poi è bene precisare, ancora una volta, che ITER non è stato progettato per utilizzare la potenza della fusione per produrre energia elettrica. L’immenso calore, infatti, sarà catturato e disperso nell’atmosfera grazie alle torri di raffreddamento.

Tra le incognite più evidenti, spiega a QualEnergia.it Alex Sorokin, ex progettista di centrali nucleari e ora consulente energetico internazionale, c’è il tema dei costi.

“Non s’intravede la possibilità che la fusione possa diventare più economica delle fonti rinnovabili, che già oggi, in molti casi, costano meno dei combustibili fossili e in futuro saranno ancora più competitive”.

Inoltre, “nessuno ha idea di come realizzare impianti a fusione a livello industriale e di quanto bisognerà investire, in totale, per costruire anche un solo reattore di grandi dimensioni”.

Il punto, in definitiva, è che si rischia di spendere un fiume di denaro inseguendo il miraggio dell’energia pulita potenzialmente inesauribile, che però guardando più da vicino rivela tanti dubbi e tante incertezze sui risultati che si potranno effettivamente ottenere.

Lapidario il giudizio di Greenpeace Italia: parlare di fusione nucleare “è una perdita di tempo”, ha commentato a QualEnergia.it il suo direttore esecutivo, Giuseppe Onufrio.

La strada vincente, riassume quindi Sorokin, è puntare sulle energie rinnovabili con sistemi di accumulo, tecnologie collaudate e disponibili, a zero emissioni inquinanti, con costi in continua discesa e ottime prospettive di crescita in tutto il mondo, evitando di disperdere miliardi di euro e senza dover aspettare il 2050 o anche oltre.

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