I big del petrolio possono resistere in un mondo che vuole stare “sotto i 2 gradi”?

Pianificare nuove strategie più “verdi” sul lungo termine è la soluzione che alcune compagnie energetiche stanno adottando, anche se restano molte contraddizioni sul loro impegno per salvare il clima. Le considerazioni che scaturiscono da un nuovo rapporto di E3G sui futuri piani industriali delle società petrolifere.

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Cosa dovrebbero fare le multinazionali dei combustibili fossili per sopravvivere in un mondo più “pulito”?

Le risposte date finora dalle grandi aziende sono molto diverse. Statoil ha appena annunciato che intende cambiare nome in Equinor, combinando la radice di parole come “equality” ed “equilibrium” con un riferimento alle sue origini scandinave.

Meno petrolio e più risorse “verdi”, questa è la nuova strategia della compagnia norvegese, che destinerà il 15-20% dei suoi investimenti alle fonti rinnovabili entro il 2030. Ricordiamo che pochi mesi fa, la società ha inaugurato il primo parco eolico offshore galleggiante su scala commerciale, Hywind in Scozia (articolo di QualEnergia.it con tutti i dettagli).

Il cambio di passo di Statoil rispecchia le analisi del rapporto appena pubblicato dall’organizzazione indipendente E3G e dall’Oxford Sustainable Finance Programme.

Lo studio (documento completo allegato in fondo all’articolo) mostra quali soluzioni consentirebbero alle oil major di adattare i piani industriali alle sfide della transizione energetica.

D’altronde, ci sono colossi petroliferi, come ExxonMobil e Chevron, che minimizzano i possibili impatti dei cambiamenti climatici sulle loro attività.

ExxonMobil, in particolare, in un recente documento sostiene che l’oro nero e il gas avranno sempre un ruolo decisivo nel soddisfare la domanda energetica mondiale, anche in uno scenario di sviluppo economico in linea con gli obiettivi di Parigi 2015 volti a contenere l’aumento medio delle temperature “ben sotto” 2 gradi centigradi entro la fine del secolo, rispetto all’età preindustriale.

Quindi, ExxonMobil ritiene che l’estrazione e produzione di petrolio dai suoi giacimenti continuerà a essere poco rischiosa e remunerativa: “Considering the 2° C Scenarios Average, we believe our reserves face little risk”, si legge ad esempio nel documento.

Altre compagnie, invece, sono ben più preoccupate dei rischi associati alle politiche contro la CO2 a livello globale (carbon risk), perché temono di perdere ingenti profitti in una futura economia a basse emissioni inquinanti, ritrovandosi con impianti vecchi, inutilizzabili, messi fuori mercato dalle fonti rinnovabili sempre più competitive.

Torniamo così al tema degli stranded asset, beni “incagliati”, ad esempio centrali a carbone e pozzi petroliferi, che svuotano di valore le aziende che hanno perseverato a investire nella direzione sbagliata.

Un recente rapporto di Carbon Tracker ha stimato quanti miliardi di dollari può bruciare l’industria oil&gas in tutto il mondo, se perderà di vista il traguardo della sostenibilità ambientale.

Shell, Total e BP sono giganti dell’energia che in questi mesi, a vario titolo, hanno riconosciuto l’importanza crescente delle risorse green, della mobilità elettrica e dell’accumulo energetico, con cui stabilizzare le reti soggette alla variabilità produttiva dei parchi eolici e solari.

Meno convinta sul fronte delle rinnovabili è sembrata, almeno per il momento, la nostra Eni, vedendo il suo piano industriale 2018-2021.

In definitiva, secondo lo studio E3G, le multinazionali del petrolio, se vogliono rimanere finanziariamente solide nei decenni a venire, nell’ambito di un’economia low carbon che punta a ridurre sensibilmente le emissioni di gas-serra, devono affrettarsi a decidere da che parte stare.

Le decisioni d’investimento prese oggi avranno effetti per parecchi anni, quindi il rischio di stranded asset petrolifero aumenta moltissimo in un mondo che punta a limitare il surriscaldamento sotto 2 gradi.

La strategia che presenta le migliori possibilità di successo, evidenziano gli analisti, è la Planned transformation, la trasformazione pianificata sul lungo termine delle diverse attività, orientandole verso le energie pulite e le tecnologie innovative nel campo dei trasporti e delle batterie.

Tuttavia, è anche la strategia più complessa e difficile da far “digerire” agli azionisti, perché implica un radicale ripensamento dei modelli di business seguiti negli anni passati.

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