Cosa può fare la blockchain per il futuro dell’energia

Le possibili applicazioni dei sistemi informatici a “catena di blocchi” sono sempre più numerose, dagli scambi di elettricità e gas su piattaforme digitali aperte, sicure e condivise, alla gestione delle vetture elettriche e dei sistemi di accumulo energetico. Ne parliamo con l’analista di GTM Research, Colleen Metelitsa.

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Perché la tecnologia blockchain sta attirando l’attenzione di molte aziende nel settore dell’energia?

Tralasciamo per un attimo i Bitcoin e i pagamenti con le cripto valute: il sistema blockchain a “catena di blocchi” può ampliare il suo raggio d’azione oltre il mondo puramente finanziario, perché permette di scambiare dati e informazioni su registri digitali aperti, eliminando o riducendo moltissimo le intermediazioni di terze parti.

Per approfondire le possibili applicazioni della blockchain in campo energetico, QualEnergia.it ha intervistato Colleen Metelitsa, analista della divisione Grid Edge della società di consulenza statunitense GTM Research, specializzata in nuove tecnologie per le reti e autrice di un recente rapporto su questo tema.

Colleen, anche in Europa e in Italia c’è un ampio dibattito sulle potenzialità della tecnologia blockchain: per quali motivi è così promettente per l’industria energetica?

Il primo motivo è la condivisione delle informazioni. Nell’industria elettrica e del gas, le transazioni avvengono tra diverse parti a tutti i livelli della catena del valore, dalla produzione di energia all’ingrosso, alla vendita di elettricità ai clienti finali. Il secondo aspetto è la lentezza dei pagamenti, che in molti mercati avvengono 30-60 giorni dopo l’utilizzo dell’energia. Poi bisogna considerare che la rete sta diventando sempre più distribuita. Con lo sviluppo dei dispositivi IOT e DER (Internet of Things/Distributed energy resources, ndr) e l’interesse crescente, da parte delle utility, per le scelte dei consumatori, la tecnologia blockchain può favorire la nascita di nuove applicazioni.

Qual è l’ultimo fattore?

È l’elevato consumo elettrico dei sistemi proof-of-work che regolano certe blockchain, come quella dei Bitcoin: così sono nate molte società che finanziano le operazioni di mining (l’estrazione di Bitcoin dopo la verifica delle transazioni, ndr) vicino agli impianti alimentati dalle fonti rinnovabili, combinando l’interesse a realizzare profitti grazie all’energia a basso costo, con i timori per gli eventuali impatti ambientali della domanda energetica della blockchain.

Difatti, i critici della blockchain affermano che l’intero processo consuma moltissima elettricità e che quindi può contribuire all’aumento globale delle emissioni inquinanti. È d’accordo?

È vero quando si parla di una blockchain che funziona con un meccanismo di consenso di tipo proof-of-work. Nel caso dei Bitcoin, ad esempio, il processo di verifica delle transazioni consuma tanta energia, perché ci sono molti computer, in competizione tra loro, che cercano di risolvere complesse equazioni matematiche, richiedendo un’elevata potenza di calcolo. Chi per primo risolve l’equazione, ottiene un premio in Bitcoin. Quando aumenta il valore dei Bitcoin, c’è un maggiore incentivo a incrementare la potenza di calcolo per risolvere gli enigmi, quindi cresce l’intensità energetica dell’intero processo.

Perché la blockchain è considerata così sicura e affidabile?

Perché verifica l’identità pubblica e privata delle persone con la crittografia. La chiave pubblica è utilizzata come una firma, mentre la chiave privata serve a provare che noi siamo quello che diciamo di essere. Quando una persona firma una transazione con la sua chiave pubblica, il computer che la convalida deve risolvere un difficile problema matematico per verificare l’identità del soggetto.

Allora non c’è modo di falsificare le transazioni?

Il metodo del consenso è l’altra ragione che spiega perché la blockchain sia così sicura. Il protocollo del consenso determina l’ordine delle transazioni e verifica la loro integrità. Per falsificare un documento, una persona dovrebbe accedere a oltre il 50% dei nodi o della potenza di calcolo, secondo il tipo di meccanismo impiegato. Se il consenso fallisce, la rete potrebbe ritrovarsi con versioni multiple della medesima transazione ed essere esposta a manipolazioni di mercato, frodi o errori di sistema. Di conseguenza, gli algoritmi della blockchain devono essere in grado di “resistere” a tutto questo.

Come si può ridurre la “fame” di energia della blockchain?

Ci sono altri meccanismi di consenso, come il proof-of-stake e il proof-of-authority, basati su fattori molto meno energivori. Nel metodo proof-of-authority un consorzio di compagnie crea una piattaforma digitale, che consente al consorzio stesso di agire come autorità di validazione. Un esempio è l’Energy Web Foundation che raggruppa 37 utility e altre grandi società del settore. È una forma più centralizzata di blockchain, ma spesso è più adatta per il mondo dell’energia perché assicura il corretto trattamento dei dati rispettando la privacy.

Può indicare qualche esempio di progetti-pilota in Europa e dei conseguenti vantaggi in capo alle utility e ai clienti finali?

Le possibili applicazioni sono molteplici. Nel campo della mobilità elettrica, ad esempio, l’iniziativa Oslo2Rome ha coinvolto diversi partner industriali, tra cui Ethereum e MotionWerk, per testare la possibilità di ricaricare le auto elettriche in diversi paesi sfruttando un singolo portafoglio virtuale (e-mobility wallet). Un altro progetto pilota, sviluppato da Ponton, ha riunito 39 compagnie in una piattaforma per scambiare energia attraverso la blockchain, senza intermediari finanziari. Un esempio di applicazione per migliorare la flessibilità della rete elettrica è il programma dell’operatore TenneT, che sfrutterà un protocollo blockchain IBM per dialogare con le batterie di accumulo delle abitazioni in Germania (ndr: per maggiori dettagli vedi l’articolo di QualEnergia.it su questo progetto di storage distribuito).

Pensa che tra qualche anno sarà possibile produrre, vendere e acquistare energia in totale autonomia, grazie a protocolli blockchain su reti intelligenti senza intermediazioni?

È un punto molto discusso e in parte dipende da chi si vuole considerare come intermediario. Per quanto riguarda la gestione delle infrastrutture di rete (ndr: poles and wires nell’intervista, quindi “cavi e tralicci”), difficilmente potremo rinunciare alle utility, nel qual caso continueremo a pagarle per questo servizio. Tuttavia, possiamo domandarci se sia possibile bilanciare interamente la rete attraverso scambi decentralizzati di energia.

Quindi come sarà la smart grid del futuro?

In un modello più decentralizzato, l’intermediario potrebbe essere qualche utility, un operatore di rete o una nuova compagnia che fornisce una piattaforma distribuita. In entrambi gli scenari, bisognerà pagare la società che gestisce la piattaforma, che a sua volta ci consente di vendere/acquistare energia, così come bisognerà pagare un contributo per il mantenimento dell’infrastruttura di rete. Siamo ancora molto lontani da un sistema energetico che lavori in questo modo, ma penso che ci sarà sempre una forma d’intermediazione, anche se con un ruolo minore rispetto a oggi.

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