Un possibile nuovo procedimento per produrre film sottile al silicio monocristallino

Ricercatori giapponesi illustrano un metodo produttivo di silicio monocristallino purissimo con uno strato di 10 micrometri, un dodicesimo delle attuali celle FV. Risparmio di materiali ed energia, costi più che dimezzati, velocità di realizzazione. Ma il procedimento va industrializzato.

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Forse non ne siamo molto consapevoli, ma la Natura ci ha fatto un enorme regalo: pensate se ad avere la proprietà di convertire la luce in elettricità fosse un qualche elemento rarissimo e dallo strano nome, che so, l’itterbio o il praseodimio, e non il silicio, l’elemento solido più comune del pianeta.

Sappiamo anche che il 28% in peso della Terra è silicio, e non se ne teme certo l’esaurimento delle scorte.

Il silicio è anche non tossico, chimicamente stabile, riciclabile e con una alto rendimento fotoelettrico, dando così giri di distacco ai suoi rivali, dal velenoso tellururo di cadmio, all’instabile perovskite, fino ai polimeri fotoelettrici dalle flebili rese.

Eppure, nonostante tutte queste benemerenze, il silicio, pur costituendo ormai l’elemento attivo in oltre il 94% dei pannelli fotovoltaici venduti nel mondo, continua ad essere “sfidato” nei laboratori da sistemi alternativi, che, una volta risolti i loro peculiari problemi, potrebbero prendere il sopravvento sul silicio, contando su quello che è praticamente l’unico suo difetto: richiedere un forte consumo di energia per produrlo e, quindi, di essere associato ad alti costi e alte emissioni di CO2.

In effetti un modulo FV di silicio monocristallino deve circa il 40% del suo costo al silicio, mentre in quelli a film sottile senza silicio, l’elemento sensibile è responsabile di circa il 10-15% del costo.

Per chi spera quindi in un futuro trionfo dei molto più economici pannelli a coloranti organici o alla perovskite, però, arriva ora come una doccia fredda l’annuncio fatto sulla rivista CrystEngComm da ricercatori del Tokyo Institute of Technology e della Waseda University su un nuovo metodo produttivo di silicio purissimo.

Un metodo in grado di dimezzarne il costo, creando inedite e molto promettenti celle a film sottile di silicio monocristallino dalla resa potenziale molto alta.

Oggi la produzione di silicio puro comincia con la sua versione metallurgica creata fondendo sabbia silicea (ossido di silicio) a 1.900 °C  in presenza di carbonio: il carbonio reagisce con l’ossigeno della silice, lasciando silicio fuso in fondo alla fornace. Questo è però troppo impuro e ha cristalli troppo disordinati per essere usato in elettronica o per il fotovoltaico.

La purificazione ulteriore a silicio monocristallino avviene per lo più usando il metodo Czochralski, in cui il silicio metallurgico viene fuso di nuovo e in esso viene immerso un cristallo di quarzo intorno a cui cresce un lingotto di silicio purissimo, costituito da un unico cristallo perfettamente ordinato.

Per il policristallino si usa invece quasi sempre il metodo Siemens, che prevede la dissoluzione del silicio impuro in acido cloridrico, con la creazione di silano (gas di silicio, idrogeno e cloro), che viene poi fatto condensare su barre di silicio puro a 1.200 °C, da cui il cloro se ne va, facendo via via crescere un lingotto di cristalli di silicio puri, ma disordinati.

Il silicio, raffinato dal grado metallurgico a quello monocristallino, passa dal costare meno di 2 dollari al chilogrammo a circa 200 $, mentre tutti questi passaggi ad alta temperatura fanno sì che per compensare la CO2 rilasciata servano in media circa due anni, o poco meno, di funzionamento dei pannelli.

I due metodi, inoltre, producono lingotti che per la fabbricazione di celle devono essere affettati in spessori sottilissimi. Ciò inevitabilmente comporta un certo spreco di materiale e l’impossibilità di scendere sotto determinati spessori.

I ricercatori giapponesi, diretti da Manabu Ihara e Kei Hasegawa del Tokyo Tech, adesso ritengono di aver risolto sia il problema del costo che quello della affettatura finale, producendo un film sottile di silicio monocristallino ad altissima purezza partendo da silicio metallurgico.

Il procedimento consiste prima di tutto nel realizzare una sorta di “stampo” di silicio rugoso su una superficie di silicio purissimo, usando il metodo Zhr di ricristallizzazione, da loro inventato, che livella la superficie rugosa tutta alla stessa altezza di 0,2-0,3 micrometri (millesimi di millimetro).

Su questa superficie viene poi depositato uno strato di silicio vaporizzato, ottenuto scaldando a 2.000 °C del silicio metallurgico.

Il risultato è uno strato di 10 micrometri di silicio monocristallino (circa un dodicesimo di quello delle attuali celle FV), realizzato peraltro a una velocità che è 10 volte superiore a quella finora ottenuta con questo tipo di deposizione.

Questo strato può essere staccato dallo stampo sottostante e usato per creare celle fotovoltaiche, mentre lo stampo può essere riutilizzato.

«Avere una cella a film sottile costituita di uno strato di silicio monocristallino di appena 10 micrometri – spiega Ihara – permetterà costi molto minori per il risparmio di energia e materiale e di realizzare pannelli leggeri e flessibili. Questo tipo di cella in teoria potrebbe raggiungere anche il 30% di efficienza se usata in tandem con un’altra per sfruttare diverse parti della luce solare».

Per vedere se tutte queste promesse si realizzeranno bisognerà aspettare ancora un bel po’, visto che tutto quello che per ora hanno fatto i ricercatori giapponesi è stato dimostrare che il processo di fabbricazione degli strati sottili di silicio cristallino funziona.

Il prossimo passo sarà creare con questo metodo una vera cella fotovoltaica e cominciare così a valutarne realisticamente il costo e testarne le performance.

Solo se questi test saranno positivi si potrà passare a ragionare su come industrializzare un procedimento, che, anche se funzionante in laboratorio, sembra al momento piuttosto lento e macchinoso per poterlo utilizzare così com’è al fine di ottenere grandi volumi produttivi.

Insomma, è ancora presto per gridare alla rivoluzione, ma se tutti questi passaggi dovessero alla fine essere superati, e moduli costituiti da film sottile in silicio monocristallino dovessero apparire veramente sul mercato, unendo economicità e altissima efficienza, allora forse sarebbe il “de profundis” per ogni alternativa nel solare all’elemento più comune del pianeta.

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