Come sta fallendo il sogno americano del “carbone pulito”

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Il flop del mega progetto per la centrale di Kemper avrebbe dovuto essere un ammonimento per Donald Trump, che invece ha incrementato gli sgravi fiscali per gli impianti che catturano la CO2 delle industrie. Perché gli Stati Uniti insistono a promuovere una tecnologia costosa e inaffidabile?

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Gli Stati Uniti non riescono ad abbandonare l’idea del “carbone pulito”, anche se il fallimento del mega progetto della centrale CCS (Carbon capture and storage) di Kemper dovrebbe suggerire al presidente Usa, Donald Trump, che è molto rischioso investire nelle tecnologie per catturare la CO2.

Southern Company aveva iniziato a costruire il sito di Kemper, nell’omonima contea del Mississippi, nel 2010; il colosso termoelettrico da 582 MW sarebbe dovuto diventare il primo al mondo a utilizzare su vasta scala un sistema CCS integrato con le unità a carbone, dimostrando così la fattibilità tecnico-economica del “sequestro” dell’anidride carbonica emessa dalle industrie.

Tuttavia, a causa dei continui ritardi per problemi tecnici e dei costi lievitati a 7,5 miliardi di dollari, contro le stime originarie di circa 2,5-3 miliardi di $, nel giugno 2017 Southern Company aveva deciso di rinunciare definitivamente a sviluppare la tecnologia per il “clean coal”.

Kemper avrebbe dovuto utilizzare un impianto di gassificazione a ciclo combinato IGCC (Integrated gasification combined cycle) per convertire il carbone estratto dalle vicine miniere in un gas di sintesi (syngas) con cui produrre energia elettrica.

L’anidride carbonica emessa dai processi di combustione, poi, sarebbe stata catturata e trasportata in giacimenti petroliferi, dove la CO2, una volta iniettata nei pozzi, avrebbe favorito la fuoriuscita del greggio altrimenti irrecuperabile (la tecnica è nota come CO2-EOR: Carbon dioxide enhanced oil recovery).

Tutti questi piani si sono dissolti rapidamente: una recente inchiesta del Guardian ha ripercorso le vicende di Kemper, spiegando che i vertici di Southern Company, già negli anni che hanno preceduto lo stop ufficiale al progetto, erano consci che il carbone pulito non avrebbe mai visto la luce.

Tra le falle del progetto, evidenziate dal quotidiano britannico che ha esaminato migliaia di pagine di documenti, c’era la necessità di eseguire frequenti manutenzioni e controlli su una tecnologia, quella del CCS, ancora immatura e mai testata su un impianto di taglia così grande. Kemper, in sostanza, avrebbe funzionato per il 30-45% della sua piena capacità nei primi tre-cinque anni.

Eppure, tra le pieghe del bilancio Usa approvato nelle scorse settimane, c’è una misura che dovrebbe promuovere la tecnologia CCS. Parliamo dei crediti fiscali concessi per la cattura della CO2, previsti dalla Section 45Q.

Gli sgravi fiscali, chiariscono gli analisti di GTM Research, ora sono molto più generosi, essendo passati da 10-20 $ per tonnellata di CO2 utilizzata per l’oil recovery o stoccata in modo permanente e sicuro in depositi sotterranei, a 35-50 $/tonnellata.

Questi crediti riporteranno in auge i progetti del carbone pulito?

Il flop di Kemper, che pure ha ricevuto centinaia di milioni di dollari in aiuti e sussidi federali durante l’amministrazione di Barack Obama, dovrebbe bastare a raffreddare l’entusiasmo verso il CCS, una soluzione tecnologica molto costosa, inaffidabile e ricca d’incognite (vedi anche l’analisi di QualEnergia.it su un impianto in Canada: CCS, prima centrale commerciale, ma non è il caso di entusiasmarsi).

Vedremo, nei prossimi mesi, come si evolverà lo scontro tra chi ritiene che sequestrare la CO2 rilasciata delle fonti fossili sia indispensabile per salvare il clima e chi, invece, pensa che sia molto più sicuro ed efficace scommettere su rinnovabili ed efficienza energetica.

L’agenzia internazionale dell’energia (IEA, International Energy Agency) nei suoi rapporti cita sempre il CCS come soluzione irrinunciabile nel mix energetico dei prossimi decenni: senza il suo contributo, sostiene l’agenzia, sarà impossibile abbattere le emissioni di CO2 a un livello tale da contenere il surriscaldamento globale entro i due gradi centigradi.

Intanto molti climatologi mostrano quanto sarà difficile rispettare gli obiettivi di riduzione della CO2 fissati dagli accordi parigini nel 2015. Allora sarà davvero necessario rimuovere l’anidride carbonica emessa nell’atmosfera per poi stoccarla da qualche parte?

Il dibattito resta aperto, ma alcuni recenti studi affermano che è molto aleatorio affidarsi alle tecnologie che promettono di assorbire e rimuovere la CO2 dai vari impianti industriali, perché i progetti in questo campo sono pochi, allo stadio sperimentale e non possono fornire alcuna garanzia di risultato, come insegna il fallimento di Kemper.

Anziché cercare di ottenere un bilancio netto negativo di emissioni, con tecniche in alcuni casi fantasiose di geoingegneria climatica, gli scienziati europei dell’EASAC, European Academies Science Advisory Council, suggeriscono piuttosto di puntare sulle risorse “verdi” e sulle politiche di mitigazione dei rischi ambientali (vedi l’approfondimento di QualEnergia.it: Perché geoingegneria e CCS non salveranno il Pianeta).

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