Tante rinnovabili e reti sicure, come ci riescono nove paesi nel mondo

Uno studio mostra i notevoli progressi compiuti da diverse nazioni per la transizione energetica: elevata produzione di elettricità “verde” e molteplici soluzioni che consentono di gestire l’output variabile dei parchi eolici e solari. I dati dei principali casi esaminati, dalla Danimarca all’Australia.

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Dalla Germania alla Danimarca, passando per l’Australia, la California e altre aree geografiche, sono sempre più numerosi gli esempi di paesi che producono moltissima energia elettrica con risorse “pulite” non programmabili, eolico e solare, garantendo al contempo la sicurezza e continuità delle forniture.

Come ci riescono?

In un recente studio (Power-Industry Transition, Here and Now, allegato in fondo all’articolo), l’istituto americano di ricerche finanziarie in campo energetico IEEFA (Institute for Energy Economics and Financial Analysis), ha esaminato nove casi di mercati elettrici, in cui le fonti rinnovabili hanno raggiunto percentuali molto consistenti nel mix complessivo di generazione.

La sfida è integrare una quantità crescente di parchi eolici e solari nella rete elettrica, sapendo però come gestire la variabilità produttiva di turbine e pannelli, per evitare congestioni o tagli forzati del loro output, quando c’è abbondanza di vento e sole con consumi elettrici bassi (vedi QualEnergia.it sui problemi di questo tipo in Cina), e per allontanare il rischio di rimanere al buio quando, invece, vento e sole mancano e la domanda elettrica aumenta.

Nel documento, si citano diverse soluzioni tecnologiche per consentire alle fonti rinnovabili di entrare in rete senza causare successivi inconvenienti; d’altronde, alcuni ricercatori si sono già spinti oltre, spiegando come realizzare sistemi energetici al 100% “verdi” che siano anche programmabili, in grado di funzionare per periodi prolungati con scarsa ventosità e scarso irraggiamento solare (analisi di QualEnergia.it sul modello proposto da Jacobson e Delucchi: Niente blackout in un mondo 100% a fonti rinnovabili).

Il principale autore dello studio IEEFA, Gerard Wynn, evidenzia alcuni scenari, alcuni poco noti, ad esempio il boom dell’eolico in Uruguay, che ha generato in media il 33% dell’energia elettrica netta nel 2017  da eolico e FV, con una crescita sorprendente in pochi anni.

Difatti, le due fonti pulite costituivano appena l’uno per cento del mix nel 2013, mentre adesso sono riuscite quasi a eliminare il contributo delle centrali fossili, come mostra il grafico seguente.

A rendere possibile tale risultato, spiega Wynn, è l’utilizzo dei grandi bacini idroelettrici come riserva di backup, aumentando o riducendo il loro apporto energetico secondo l’andamento della produzione eolica.

Il paese con il maggiore contributo eolico/solare in assoluto è la Danimarca, pari al 53% della torta di generazione elettrica complessiva, riassunta nel grafico sotto (i numeri a sinistra sono in GWh).

Per bilanciare domanda e offerta di energia e mantenere in equilibrio la rete, la Danimarca può contare su potenti interconnessioni elettriche con le nazioni vicine, in particolare Svezia e Germania, sviluppando un complesso gioco di esportazioni/importazioni di MWh.

Gli scambi tengono conto dell’output effettivo e in tempo reale delle diverse fonti su un’area geografica estesa, grazie anche all’impiego di sistemi molto avanzati di previsione meteorologica.

L’Australia meridionale è un laboratorio di sperimentazioni da seguire con attenzione: l’eolico e il fotovoltaico sono arrivati a sfiorare il 50% della produzione elettrica netta totale, vedi il prossimo grafico.

Lo Stato del South Australia, però, negli ultimi anni, ha vissuto diversi eventi “estremi” che hanno messo in crisi la stabilità delle forniture elettriche, in particolare i tornado che alla fine del 2016 hanno danneggiato molte linee di trasmissione con conseguenti stop forzati di centinaia di MW eolici.

Ondate di maltempo, elevati consumi elettrici estivi, limitate riserve di gas naturale con prezzi in aumento del combustibile, sono i principali fattori che spiegano perché il sistema elettrico sud australiano sia tuttora così esposto al rischio di blackout e perché il governo abbia predisposto un piano d’investimenti per migliorare la sicurezza delle infrastrutture energetiche.

L’obiettivo è possedere un’adeguata capacità di riserva per fronteggiare le emergenze, non solo attraverso nuovi impianti a gas OCGT (open-cycle gas turbine), molto flessibili e in grado di avviarsi in pochissimo tempo secondo le necessità, ma anche puntando sui sistemi di accumulo e sulle tecnologie per gestire la domanda elettrica di migliaia di utenze.

Lo studio IEEFA, quindi, cita il progetto record di Tesla, quella super-batteria al litio da 100 MW/129 MWh abbinata a un parco eolico da più di 300 MW, che ha già dimostrato tutte le sue potenzialità, con alcuni interventi rapidissimi per coprire interruzioni o cali di energia (articolo di QualEnergia.it: Storage di rete, la scommessa di Musk in Australia è vinta anche tecnologicamente).

Secondo Gerard Wynn, in definitiva, i mercati elettrici con tante rinnovabili non hanno più bisogno di sussidiare vecchi impianti a gas, carbone o nucleari per mantenerli in vita e farli entrare in esercizio in poche occasioni, a costi elevatissimi, quando accade un inconveniente sulla rete. Vedi anche QualEnergia.it sul caso californiano e la concorrenza tra gas e rinnovabili: California, quando la generazione distribuita può battere il gas. E in Italia?

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