Il Comune non ha i soldi? Può derogare dagli obblighi sull’energia rinnovabile

Una dirompente sentenza del Tar Piemonte potrebbe fare da apripista per altre simili interpretazioni: bastano impedimenti economici per un ente locale per non rispettare gli obblighi di integrazione delle rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti. E poi che fare per i costi di gestione?

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Cosa accade se il bilancio di un Comune non consente di rispettare gli obblighi cogenti di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti? Una sentenza del Tar Piemonte ha deciso che una scappatoia c’è.

Andiamo per ordine. Ricordiamo che il decreto 28/2011, che ha accolto la direttiva europea 28/2009 sulla promozione delle rinnovabili, prevede, allegato 3, alcune disposizioni, cioè percentuali obbligatorie di copertura del fabbisogno di acqua calda sanitaria e riscaldamento/raffrescamento con fonti pulite (QualEnergia.it, Obbligo rinnovabili negli edifici: quote aggiornate e problemi tecnici).

Da queste regole non è possibile derogare se non in casi eccezionali, come nel caso in cui vi sia impossibilità tecnica di realizzare determinati impianti oppure quando sia possibile allacciare l’edificio a una rete di teleriscaldamento (anche non alimentata a rinnovabili) in grado di coprire l’intera richiesta di calore per la produzione di acqua calda e il riscaldamento.

Tuttavia la sentenza del TAR Piemonte n 161 del 7 febbraio 2018 (allegata in basso) ha stabilito che, in riferimento alla costruzione di una nuova scuola pubblica, ci può essere anche un’altra eccezione, o meglio due: farebbe fede il bando di appalto e, soprattutto, l’incapacità economica per l’ente locale di realizzare un impianto energetico che soddisfi la normativa.

È chiaro che una sentenza di questa portata può fare da apripista a scelte delle amministrazioni locali, ma anche di privati, non conformi alla legislazione.

In questo specifico caso il Comune di Venaus, in Val di Susa, ha conferito l’appalto della costruzione della scuola a una ditta che aveva previsto un impianto di riscaldamento con caldaia a Gpl e solare termico. Non era previsto alcun impianto fotovoltaico, mentre erano state considerate valide soluzioni di minimizzazione della dispersione di calore (infissi, vetrature, schermature, isolamenti).

Come peraltro si indica nella sentenza, la soluzione progettuale prescelta dall’amministrazione (caldaia a Gpl e impianto solare termico) non va a soddisfare l’obbligo di copertura minimo del 38,5% dei consumi totali previsti per acqua calda sanitaria, riscaldamento e raffrescamento (obbligo del 35% + 10% per enti locali), così come richiesto dalla normativa in vigore (la ditta vincitrice avrebbe comunque soddisfatto l’obbligo di copertura per l’acqua calda sanitaria con rinnovabili che nel caso è pari al 60%).

Ma la decisione del Comune, di fatto, è stata presa, non tanto per l’impossibilità tecnica di altre alternative, come quella indicata della società ricorrente o da altre ditte, e cioè pompa di calore e fotovoltaico, ma per una incapacità di natura economica da parte amministrazione.

Ora questa motivazione, che ha portato al rigetto del ricorso da parte del Tar Piemonte, può essere un precedente molto preoccupante, visto che un Comune (e in Italia ce ne sono tanti in difficoltà col bilancio) può derogare agli obblighi per motivi di spesa e non solo per questioni di carattere tecnico.

Ma attenzione, stiamo parlando di una spesa in conto capitale, e non di esercizio. Infatti, per la ditta ricorrente, seconda nella graduatoria del bando, la soluzione pompa di calore+fotovoltaico avrebbe consentito un risparmio annuale di costi energetici piuttosto rilevante: la stima del ricorrente è di un divario di 18mila €/anno, rispetto alla soluzione caldaia Gpl+solare termico.

Un punto non di poco conto per le stesse casse comunali (per i prossimi 20 o 30 anni?) che tuttavia sembra essere stato ignorato dalle perizie tecniche a supporto della sentenza.

Sull’aspetto dell’obbligo di copertura del fabbisogno di energia elettrica da fonte rinnovabile (nel caso specifico 20 kW di potenza), l’amministrazione ha chiarito che tale obbligo verrà soddisfatto dalla realizzazione, con separato appalto, di un impianto di microgenerazione idroelettrica con potenza di picco di oltre 25 kWe, da installare in area pertinenziale alla scuola, anche se non si sa capisce con quali tempistiche.

Una sentenza di questo tipo richiederà di essere attentamente valutata perché potrebbe avere diverse implicazioni come quella di applicare in modo discrezionale una importante normativa nazionale ed europea, peraltro, con un occhio al bilancio dell’ente limitato solo al brevissimo periodo.

Esattamente il contrario di quanto prevederebbe la filosofia della legislazione in vigore che intende, appunto, ridurre i consumi di energia da fonti fossile e le conseguenti emissioni.

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