Il problema delle emissioni tedesche, tra carbone e dipendenza dal comparto dell’auto

Nonostante le rinnovabili siano in forte crescita, la Germania non raggiungerà il suo target di riduzione delle emissioni al 2020. Per le sue centrali a carbone, ma anche per le resistenze nel settore del trasporto dove dettano legge le case automobilistiche. L'editoriale di Gianni Silvestrini.

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Ottime notizie dalla Germania sul fronte delle rinnovabili che nel 2017 hanno soddisfatto il 36,5% della domanda elettrica.

Un risultato importante, soprattutto considerando che il contributo dell’idroelettrico, al contrario dell’Italia, è piuttosto limitato.

La crescita verde è stata talmente rapida, con un incremento in un solo anno di ben 29 TWh pari al 5% dei consumi elettrici, da spingere le esportazioni a 53 TWh (contro i 37 TWh che invece l’Italia ha importato).

L’avanzata delle rinnovabili dopo la chiusura del primo reattore nucleare nel 2003, ha consentito un calo della produzione dell’atomo, del carbone e un po’ anche della lignite.

A questi risultati positivi si affianca l’impegno, deciso nelle trattative per la futura coalizione di governo Cdu-Spd, ad alzare dal 50 al 65% la quota di rinnovabili elettriche al 2030.

La corsa al rialzo tedesca fa il paio con l’impegno a raggiungere il 100% della domanda elettrica con le rinnovabili alla fine del prossimo decennio appena inserito nel programma del nuovo governo austriaco.

Fin qui le buone notizie. Rimane però, pesante come un macigno, la produzione da carbone per la quale non è stata definita una data di chiusura delle centrali, al contrario di quanto fatto da diversi altri paesi europei.

Ma la vera zona grigia del sistema tedesco riguarda i trasporti, con emissioni di anidride carbonica stazionarie rispetto ai livelli del 1990 a fronte di una riduzione complessiva della CO2 tedesca del 28%. 

Se il taglio del 40% al 2020 che era stato assegnato alla Germania risulta ormai chiaramente fuori portata, la responsabilità principale ricade dunque proprio sui trasporti. 

Il potentissimo comparto dell’auto, con 5,8 milioni di mezzi prodotti in Germania e 11 milioni in giro per il mondo, riesce a condizionare pesantemente le scelte dei governi e della stessa Europa. 

L’ultimo colpo messo a segno riguarda il recente obiettivo europeo di ridurre le emissioni specifiche di CO2 dei veicoli del 30% al 2030, malgrado ben nove paesi fossero d’accordo per alzare la riduzione al 40%. E soprattutto la Germania è riuscita ad evitare l’inserimento di una data limite per la vendita di autoveicoli a combustione interna, al contrario di quanto deciso da Francia, Regno Unito, Olanda e Norvegia.

È difficile comprendere come, malgrado lo scandalo Volkswagen, il cambio di marcia sia così lento. È vero che il mercato delle auto elettriche è in rapida crescita con 54.000 auto vendute lo scorso anno, più del doppio rispetto al 2016, ma siamo ancora ben lontani dall’obiettivo di 1 milione di auto elettriche su strada al 2020 che il governo si era dato.   

Malgrado la chiara intenzione di svoltare, l’impressione è che la necessità di salvaguardare gli enormi investimenti fatti in passato renda problematico, proprio come succede ad un transatlantico in manovra, il cambio di rotta delle case tedesche.

Tutto questo mentre dall’altra parte del mondo, in Cina, è in atto una corsa sulla mobilità elettrica nel tentativo di effettuare quel sorpasso che non era riuscito nel settore delle auto convenzionali, un settore con una forte presenza delle case straniere.

Nel paese asiatico sono ben 777.000 i veicoli elettrici venduti nel 2017, con un incremento del 53% sull’anno precedente. Ed è proprio la sfida cinese a costringere tutto il mondo ad alzare il tiro.

Le quote minime obbligatorie di auto elettriche e ibride da piazzare sul mercato di una trentina di milioni di veicoli l’anno e, sullo sfondo, la probabile decisione di vietare tra il 2030 e il 2040 la vendita di auto a benzina e diesel, rappresentano una sfida e un condizionamento formidabile.   

È significativa, in questo senso, l’accelerazione della Volkswagen, che dopo aver annunciato nel 2017 investimenti per 20 miliardi di dollari al 2030 sulla mobilità elettrica e autonoma,

ora dichiara di voler raddoppiare la cifra nei prossimi cinque anni con l’obbiettivo di divenire la casa leader dell’elettrico con 3 milioni di auto vendute al 2025.

La corsa al rialzo comunque è generale. Ford che aveva annunciato nel 2017 investimenti per 4,5 miliardi $ adesso parla di 11 miliardi.

Va sottolineato con tenerezza il voltafaccia di Marchionne che ancora il 3 ottobre dello scorso anno dichiarava «l’auto elettrica à una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta», per lasciarsi andare nei giorni scorsi alla previsione «nel 2025 elettriche o ibride oltre metà auto vendute».

Tornando alla Germania, il tema dei trasporti non si potrà però affrontare solo con la conversione all’elettrico, ma con un ripensamento complessivo della mobilità che dia più spazio al trasporto pubblico, alle biciclette e si prepari alla diffusione della guida autonoma condivisa.

L’auspicio degli esperti più illuminati è che invece di avere 46 milioni di auto ferme per 23 ore al giorno, si arrivi a 5-10 milioni di mezzi che operino nell’arco dell’intera giornata. Come ha dichiarato Klaus Topfer, già ministro dell’ambiente e consigliere della Merkel, «temo che l’industria tedesca stia mettendo a rischio la sua stessa esistenza se continua con l’attuale business o se punti semplicemente all’elettrico. Quello che serve è un totale ripensamento della mobilità». 

Insomma, invece di pensare a sfornare modelli sempre più potenti, di puntare sulle prestazioni e il lusso, si dovrebbero sfruttare le tecnologie digitali per offrire un sistema di trasporto integrato a bassissime emissioni.

Ma questa nuova visione sistemica potrà imporsi se, accanto alle trasformazioni tecnologiche verranno rimessi in discussione alcuni tratti significativi, come la passione per le auto di grande cilindrata, l’assenza di limiti di velocità nelle autostrade.

Insomma, occorre che il paese che ha inventato e perfezionato l’auto e ne è diventato emozionalmente dipendente, costruisca un modello di mobilità fortemente innovativo, a partire dalle molte esperienze interessanti che già sono presenti in diversi centri urbani.

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