Le emissioni globali da fonti fossili tornano a crescere: +2% nel 2017

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Dal report di Global Carbon Project presentato a Bonn: nuovo record di 36,8 miliardi di tonnellate di CO2 emesse dalle attività umane. Ha pesato il carbone cinese. Mancano ancora segnali chiari di una stabilizzazione delle emissioni di anidride carbonica, anche se qualche dato potrebbe essere confortante.

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Per la prima volta dopo da quattro anni, tornano a crescere le emissioni di anidride carbonica nel mondo.

Uno studio pubblicato oggi da Global Carbon Project (vedi in basso), un’iniziativa per il monitoraggio dei livelli di gas inquinanti, insieme all’University of East Anglia, spiega che le emissioni causate dalle attività umane quest’anno aumenteranno di circa il 2%, raggiungendo così il nuovo record di 10 miliardi di tonnellate di carbonio (10 Gt, ±0,5 GtC), pari a 36,8 Gt di CO2 (erano 34 nel 2016, vedi grafico più in basso).

Ciò significa che non ci sono ancora i segnali chiari di una stabilizzazione, per non parlare di una riduzione, delle emissioni di anidride carbonica, anche se sta cambiando un po’ la traiettoria.

Secondo il rapporto, diffuso mentre a Bonn è in corso la Conferenza delle parti della Convenzione sul cambiamento climatico dell’Onu (Cop23), a guidare l’incremento è stata soprattutto la Cina, dove la crescita delle emissioni sarebbe intorno al 3,5%.

Nel Paese asiatico, primo inquinatore mondiale davanti agli Stati Uniti, la tendenza sarebbe stata aggravata dal ridursi del volume di acqua nei fiumi e dalla conseguente riduzione della disponibilità di energia idroelettrica, un fenomeno che, su piccola scala, sta influenzando anche la produzione da fonte rinnovabile dell’Italia (calo di 16,3 TWh dal 2014 al 2017 per il periodo gennaio-settembre).

L’aumento delle emissioni in Cina è legato quindi ad un aumento nel consumo di carbone per sostenere la crescita economica del paese (aumento del Pil del 6,8%); tuttavia si ritiene che l’incremento delle emissioni dovrebbe essere temporaneo, alla luce delle recenti politiche sulla qualità dell’aria, oltre al forte sviluppo delle fonti rinnovabili nel paese.

Come indicato dalla ricerca, le emissioni totali globali raggiungeranno nel 2017 circa 41 miliardi di tonnellate di CO2. Nel grafico il ciclo del carbonio (inclusi gli assorbimenti) al 2016.

Una notizia che possiamo invece considerare positiva è che in India l’aumento della CO2 è rallentato ed è stimabile nel 2%, molto meno dell’oltre 6% annuale dell’ultima decade (nel paese il Pil è cresciuto quest’anno di circa il 6,7%).

A parte la questione anidride carbonica in atmosfera, anche in questo paese dobbiamo segnalare, alla stregua della Cina, il fattore inquinamento, ormai diventato drammatico. A New Delhi una settimana fa le polveri sottili hanno superato di quattro volte il limite considerato dannoso per la salute umana.

Un altro aspetto che potrebbe far pensare, comunque, ad un cambio di traiettoria delle emissioni e che queste sono diminuite in 22 paesi, che rappresentano al momento il 20% della CO2 globale, nonostante la crescita delle loro attività economiche.

Da segnalare inoltre che negli Stati Uniti le emissioni quest’anno saranno in leggero calo (-0,4%), così come nell’Ue (-0,2%), tuttavia si tratta di una diminuzione inferiore rispetto al decennio precedente. Dati che comunque indicano che queste aree dovranno spingere molto di più sul taglio dell’uso dei combustibili fossili.

Per dare delle cifre che illustrino meglio come sono aumentate le emissioni globali di carbonio da fonti fossili e dall’industria ricordiamo che negli anni ’60 esse crescevano ad una media di 3,1 Gt /anno (±0,2 Gt), ma nel periodo 2007-2016 la media annuale è stata di 9,4 Gt (±0,5 Gt).

Le emissioni di carbonio nel 2016 erano state di 9,9 Gt (±0,5 Gt), con una percentuale del 40% relativa al carbone, del 34% al petrolio, del 19% al gas, del 6% all’industria del cemento e dell’1% al flaring.

Tutti gli esperti di clima concordano sul fatto che gli obiettivi dei paesi, presi singolarmente, non sono sufficienti. Secondo quanto sottoscritto dall’accordo di Parigi dalla quasi totalità dei paesi del mondo il target ottimale a fine secolo dovrebbe essere quello indicato dalla linea verde (+1,5 °C di temperatura globale).

Tuttavia secondo quanto indicato ad oggi dai singoli programmi nazionali (NDC) rivolti alla riduzione delle emissioni di gas serra (peraltro non obbligatori), il risultato raggiungibile sarebbe quello tratteggiato dalla linea arancione scura (che include anche gli Usa): +3,3 °C, ben al di sopra della soglia dei 2 °C, ritenuta convenzionalmente la più adeguata al fine di evitare danni irreversibili alla comunità mondiale.

Senza alcun impegno, in un contesto in cui ogni paese è libero di fare ciò che vuole, si avrebbe poi l’aumento di temperatura definito dalla linea rossa: circa +4,2 °C.

Insomma, la questione climatica dovrebbe essere prioritaria nell’agenda delle politiche energetiche, e non, sia livello mondiale che nazionale. La tendenza attuale va non solo fermata, ma invertita e anche in fretta.

Carbon Budget 2017

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