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Piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Le proposte di Legambiente

Legambiente fa il punto sulla lotta ai cambiamenti climatici e presenta in un documento le sue osservazioni al PNACC "serve un piano di adattamento più efficace e in grado di diventare un riferimento per finanziamenti e interventi in programma nei prossimi anni”.

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Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), la cui consultazione pubblica si è conclusa lo scorso 31 ottobre, è lacunoso rispetto alle azioni concrete che andrebbero messe in atto per contrastare i cambiamenti climatici.

Questo il parere di Legambiente che, in occasione del primo anniversario dell’entrata in vigore degli Accordi di Parigi, fa il punto sulla lotta ai cambiamenti climatici e presenta in un documento le sue osservazioni al PNACC “affinché si arrivi a definire piano di adattamento più efficace e in grado di diventare un riferimento per i finanziamenti e gli interventi da mettere in programma nei prossimi anni”.

Un quadro generale

Dal 2010 ad oggi – ricorda l’associazione ambientalista – sono 126 le città colpite in Italia da allagamenti, trombe d’aria, eventi estremi (cittaclima.it Legambiente) con impatti sulla vita e la salute dei cittadini.

Da non sottovalutare anche il fenomeno delle ondate di calore. Ad esempio – aggiunge Legambiente – un’analisi condotta sulle persone con età di più di 65 anni, ha evidenziato che i decessi attribuibili all’ondata di calore del 2015 sono stati 2754 nelle 21 città analizzate (pari al 13% di tutti i decessi registrati nel periodo estivo).

“In questo scenario non possiamo correre il rischio di approvare due documenti – la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (SNACC) e il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) richiesti per ogni Stato dall’Unione Europea – che non forniscono strumenti utili per consentire al nostro Paese di accelerare, come avremmo invece bisogno, nell’azione di adattamento ai cambiamenti climatici”, spiega l’associazione.

Le proposte di Legambiente

Per Legambiente la versione finale del Piano dovrebbe individuare le priorità di intervento, le azioni e le risorse per metterle in campo, a partire dai territori più a rischio; gli interventi di prevenzione e di informazione dei cittadini e il quadro delle risorse disponibili.

Per questo l’associazione ha preparato un documento che riassume le sue proposte per intervenire sul piano:

  • Mettere al centro le aree urbane e i Comuni, definendo strumenti concreti e incisivi, per l’elaborazione di linee guida per i piani clima delle città più a rischio in modo dasemplificare il percorso di elaborazione e approvazione e che comprendano politiche di riqualificazione urbana, gestione delle acque, comprese quelle meteoriche e mitigazione delle ondate di calore; e per favorire l’inserimento delle azioni previste all’interno delle priorità di finanziamento, anche attraverso il coinvolgimento di risorse nazionali e regionali, ma anche comunitarie.
  • Rafforzare il monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici, con specifica attenzione alle aree urbane. Oramai sono evidenti i risultati degli studi italiani e internazionali nella correlazione tra fenomeni climatici e impatti sulla salute delle persone. Occorre dunque ampliare le indagini epidemiologiche in tutte le città italiane e utilizzare questi studi per la messa a punto di piani e interventi che riducono i rischi per le persone.
  • Introdurre la chiave dell’adattamento al clima nella pianificazione di bacino e negli interventi di riduzione del rischio idrogeologico. Perché come dimostrano i più interessanti progetti internazionali oggi di fronte ai cambiamenti climatici occorre cambiare approccio rispetto al tema. Perché la sicurezza si garantisce non attraverso opere di ingegneria e ulteriori intubamenti, ma restituendo spazi al naturale deflusso nei momenti di piena, destinando a questa funzione aree dove si possano continuare negli altri periodi dell’anno usi pubblici, e quindi parchi o boschi, o anche agricoli.
  • Predisporre una regia unica per gli interventi sulla costa, perché nel nostro Paese circa un terzo delle spiagge è a rischio erosione con una situazione che andrà peggiorando. Non si può continuare a procedere con scogliere artificiali e pennelli frangiflutti, che portano solo a nuovo cemento sulle spiagge senza risolvere il problema, o al prelievo di sabbia e ghiaia dai fiumi. Occorrono politiche nuove che tengano conto dell’importanza della tutela degli ecosistemi costieri, ap artire da quelli dunali e politiche di gestione integrata delle coste, che includano anche i piani urbanistici e gli interventi di delocalizzazione delle strutture più a rischio. Serve quindi una attenta progettazione per mettere in campo interventi di adattamento al clima delle aree costiere.
  • Sviluppare un diverso approccio nella progettazione, valutazione e gestione delle infrastrutture, sempre più a rischio per le temperature estreme o eventi climatici come piogge intense e nevicate. Per queste ragioni occorre approvare delle Linee Guida per le infrastrutture, che riguardino però anche i Piani clima comunali, in particolare per l’utilizzo di materiali che riducono l’impatto dei cambiamenti climatici all’interno dei quartieri. È oramai dimostrato che materiali e scelte edilizie possano aggravare le condizioni climatiche, ad esempio impermeabilizzando completamente le pavimentazioni nei periodi di piogge intense o assorbendo il calore e contribuendo così a innalzare le temperature durante le ondate di calore, e mettendo a rischio la stessa salute delle persone.
  • Indicare le aree da cui far partire un monitoraggio degli ecosistemi più delicati rispetto ai cambiamenti climatici nel territorio italiano. Dai ghiacciai alpini a quello del Calderone, dagli stagni di Molentargius a Cagliari alla Laguna di Venezia, alcuni ambienti devono essere studiati e monitorati, rafforzati perché da un lato sono un indicatore dei cambiamenti del clima e dall’altro potrebbero essere a rischio per gli impatti climatici.
  • Individuare una chiara scelta di governance e indirizzo in alcune situazioni delicate. La prima riguarda la delocalizzazione degli edifici in aree potenzialmente pericolose per la pubblica incolumità. La seconda riguarda il monitoraggio e la tutela delle misure di vincolo, con l’obiettivo di evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio in aree allagabili.

Il documento completo di Legambiente (pdf)

I documenti in consultazione

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