Il mercato dei serramenti in Italia e il rischio ecobonus

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Un'analisi del Cresme sul mercato del serramento nel nostro paese: tipologie, produzione e distribuzione, previsioni. Un export da 625 milioni di euro. Grazie all'ecobonus, che dal prossimo anno si vorrebbe togliere ai serramenti, dal 2007 ad oggi il fatturato per il settore ammonta ad oltre 10 miliardi di euro.

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In Italia ci sono 216,1 milioni di finestre, di cui 208 milioni installate negli edifici esclusivamente o prevalentemente ad uso residenziale, 3,5 milioni negli edifici per ufficio, 2,1 milioni nelle scuole e 2 milioni negli alberghi.

A fornire questi dati è il “1° rapporto congiunturale previsionale 2017 sul mercato dei serramenti in Italia”, curato dal Cresme e illustrato oggi nella sede della CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (il rapporto sarà in vendita).

La ricerca contiene l’analisi del mercato del serramento che riguardano:

  • stime sul mercato porte e finestre per tipologia di prodotto (legno, alluminio, pvc) e Regioni
  • stime del mercato della produzione e della distribuzione
  • focus su nuove tecnologie e evoluzione del mercato.

Lo stock dei serramenti esterni negli edifici residenziali rappresenta la parte più rilevante nel parco degli immobili in Italia. Su 208 milioni, infatti, 173 appartengono ad abitazioni occupate da persone residenti, 31,7 nelle abitazioni non occupate e 3,4 negli uffici situati in edifici residenziali.

Le finestre sono sostituite prevalentemente per usura o malfunzionamento dovuto all’epoca di installazione, per proteggersi dal rumore esterno, consentire un risparmio energetico, motivi estetici, sicurezza o benessere degli abitanti.

Nel dettaglio: 73 milioni di finestre sono presenti in edifici realizzati prima degli anni ’60: il 51% sono in legno, il 25% in alluminio e il 12% in PVC.

Le 96 milioni di finestre costruite tra gli anni ’60 e ’80 hanno subito invece una o due sostituzioni e qui si riscontra una maggiore presenza in legno, ma anche una quota maggiore dell’alluminio.

Dopo il ’90 sono state costruite 39 milioni di finestre, per la stragrande maggioranza non hanno ancora avuto necessità di una sostituzione per usura e mantengono ancora gli infissi originali prevalentemente in legno.

Dinamiche dell’export di infissi delle imprese produttrici italiane

Nell’Unione Europea il 2017 si chiuderà con una crescita degli investimenti in costruzioni del +3%, un incremento rispetto all’anno scorso (+2,5%).

Sempre secondo il rapporto CRESME risultano ancora differenze sostanziali tra i vari Paesi dell’Unione, ma la tendenza della ripresa è confermata un po’ ovunque ad eccezione della Finlandia alle prese con una difficile situazione economica.

Tra i principali Paesi, la Germania è quella che mostra le attese meno positive. Il mercato edilizio tedesco è infatti dominato dalla manutenzione e dal rinnovo, mercato più stabile e maggiormente inerziale.

Spagna e Germania sono in ripresa, mentre un punto interrogativo accompagna il Regno Unito dopo Brexit. La Francia sta vivendo un periodo di svolta sia per l’economia che per il residenziale e lo stesso si può dire dei Paesi dell’Est: ambiziosi progetti in Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria e Paesi Baltici verranno completati nei prossimi anni per soddisfare una domanda primaria in rapida crescita.

Considerando porte, finestre, stipiti e soglie in legno, alluminio, plastica, vetro, ferro e acciaio, il 2017 dovrebbe chiudersi con un valore complessivo delle esportazioni pari a 625 milioni di euro, in decisa crescita rispetto ai 566 milioni registrati nel 2016, ai 551 del 2015, ai 535 del 2014 o ai 436 del 2010.

Fuori i serramenti dal prossimo ecobonus?

Nel corso della presentazione odierna il settore si dice preoccupato per l’ipotesi di “rimodulazione” degli incentivi fiscali per il rimpiazzo dei vecchi serramenti.

I dati Cresme stimano che dal 2007 ad oggi l’ecobonus ha generato un fatturato di oltre 10 miliardi per il settore dei serramenti nel suo complesso.

Sulla base dei dati contenuti nell’ultimo Rapporto Enea 2016 sulle “Detrazioni fiscali del 65%” la sostituzione infissi risulta essere la misura di risparmio energetico attuata più di frequente perché relativamente più economica per le famiglie rispetto ad interventi sull’involucro edilizio e meno impattante rispetto alle altre misure.

Sui 360.000 interventi di riqualificazione energetica, 186.000 hanno riguardato la sostituzione degli infissi.

Per CNA i dati Enea sottostimano l’impatto di risparmio energetico della misura e forse, si presume, da qui nasce l’idea di togliergli la detrazione del 65%.

Prendendo in considerazione solo il criterio della trasmittanza termica (capacità degli infissi di conservare il calore e non disperderlo) il risparmio energetico stimato è molto inferiore al beneficio conseguito. Andrebbe considerato nel calcolo – secondo CNA – anche il criterio relativo alla dispersione dell’aria dal serramento e dal cassonetto ovvero la capacità dell’infisso di ridurre le perdite di ventilazione degli edifici.

Per CNA ridurre gli investimenti negli interventi di sostituzione di serramenti significa, di fatto, frenare il “capitolo” di risparmio energetico più importante delle detrazioni fiscali, che da solo vale il 41% del totale (dati Enea 2016), seguito da coibentazione di pareti verticali, tetti, solai (23,1%), da sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale (20,3%), da caldaie a biomassa e interventi di riqualificazione globale dell’edificio (9,2%).

Su questo punto la richiesta di CNA è di:

  • rendere strutturale l’ecobonus, perché la continuità nel tempo consente la pianificazione degli interventi
  • confermare detrazione al 65% come stimolo all’efficientamento degli edifici
  • cessione del credito alle banche in luogo delle detrazioni a tutti i soggetti per consentire un effetto moltiplicatore sulla domanda interna. Secondo le ultime stime elaborate dal Centro Studi CNA il passaggio dalle detrazioni fiscali al credito di imposta cedibile consentirebbe alle famiglie di avere subito denaro spendibile e avrebbe l’effetto di generare una domanda di lavori nell’intero settore delle costruzioni pari a circa 5 miliardi di euro. È questa la strada maestra per consentire a famiglie e imprese di ottenere liquidità in modo da poter realizzare investimenti sulla propria abitazione o sull’immobile dell’impresa.

Una rimodulazione degli incentivi comporterebbe per l’associazione di categoria:

  • un ridimensionamento del settore e diminuzione della domanda;
  • un mutamento negativo del comportamento del consumatore che non sarebbe più incentivato verso prodotti orientati al risparmio energetico;
  • una penalizzazione del settore senza generare effetti positivi per altre interventi;
  • la crescita dell’abusivismo professionale a causa della deregolamentazione fiscale e mancata tracciabilità pagamenti;
  • in termini di Paese meno risparmio energetico significa più emissioni di anidride carbonica più importazioni di gas e petrolio.
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