Salute, abbandonare il carbone fa bene come smettere di fumare e bere alcol

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In un recente intervento, Jonathan Patz direttore del Global Health Institute dell’università di Wisconsin-Madison, spiega perché conviene smettere di bruciare combustibili fossili: la cattiva qualità dell’aria provoca milioni di morti premature ogni anno e alti costi sanitari.

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L’utilizzo di combustibili fossili, con l’associata responsabilità umana dei cambiamenti climatici, di solito finisce per essere interpretato in qualche scenario catastrofico di temperature in costante aumento, siccità, ondate di calore, tifoni, scioglimenti di ghiacci e quant’altro sia incluso nel dibattito scientifico del surriscaldamento globale.

Senza sminuire i rischi presenti e futuri del global warming, si può affrontare il problema anche da una prospettiva diversa: come modificare il proprio stile di vita? Come trasformare la società promuovendo al contempo la salute, il benessere e la tutela ambientale?

Queste sono le premesse di un recente intervento di Jonathan Patz, direttore del Global Health Institute presso l’università di Wisconsin-Madison, alla conferenza annuale dell’International Society for Environmental Epidemiology (ISEE) che si è tenuta a Sydney.

Premesso che è sempre molto complicato stimare con precisione le conseguenze negative delle fonti fossili, come le morti premature, l’incidenza di determinate malattie, gli extra costi sociali e così via (articolo di QualEnergia.it sulle esternalità negative), Patz cita i dati dell’organizzazione mondiale della sanità, secondo cui le morti attribuibili all’inquinamento atmosferico sono circa 7 milioni l’anno in tutto il mondo.

Il punto, evidenzia l’autore, è che il 78% dell’incremento della CO2 rilasciata nell’atmosfera dal 1970 al 2010 si deve all’impiego crescente di carbone, petrolio e gas nei vari settori economici; tra le altre sostanze molto pericolose per la salute umana, emesse dalle fonti “sporche”, ricorda Patz, c’è il particolato fine.

Con politiche globali per diminuire i gas serra e migliorare la qualità dell’aria, sostiene Patz, si potrebbero salvare 1-4 milioni di vite umane l’anno entro la metà del nostro secolo.

Tra l’altro, prosegue il professore dell’università americana, provando a monetizzare costi e benefici della transizione low-carbon, si otterrebbe un guadagno netto, se è vero, come afferma l’Environmental Protection Agency (EPA) americana, che ogni dollaro investito in misure per abbattere l’inquinamento atmosferico “restituisce” 30 volte tanto, considerando i risparmi sulle spese sanitarie federali.

Diabete, obesità e malattie cardiovascolari, aggiunge Patz, si diffondono in tutto il mondo a causa di errati stili di vita: cattiva alimentazione, scarsa attività fisica, dipendenza da un’economia globale a trazione fossile, tra cui l’uso preponderante delle automobili private nelle città.

Il cosiddetto action-travel, letteralmente il viaggio attivo a piedi o in bicicletta, è una straordinaria opportunità non solo per ridurre il consumo di carburanti che avvelenano l’aria delle metropoli, ma anche per ottimizzare i benefici per la nostra salute.

In definitiva, sostiene l’autore, smettere di bruciare combustibili fossili è un po’ come smettere di fumare, una scelta difficile e “costosa” da portare a termine, un cambiamento profondo e inizialmente anche traumatico, perché modifica le nostre abitudini consolidate, che quindi deve essere affrontato con il supporto della società nel suo complesso.

Rimanendo in campo energetico: con incentivi alle rinnovabili, tasse sulla CO2, eliminazione graduale delle risorse inquinanti, investimenti in trasporti puliti e così via.

L’intervento di Jonathan Patz in un articolo del Guardian

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