Rinnovabili sottostimate nei dati ufficiali. La colpa è di un errore statistico?

Uno studio spiega perché i calcoli della IEA sul contributo reale delle tecnologie pulite sono sbagliati, a tutto vantaggio delle risorse fossili. Eolico e solare dovrebbero contare 3-4 volte di più di quanto riportato finora nei documenti dell'agenzia internazionale. Vediamo perché.

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C’è un errore sostanziale, un disguido statistico, che spiega perché la IEA (International Energy Agency) continui a sottostimare il contributo delle fonti rinnovabili nel mix energetico globale.

Com’è possibile che le tecnologie pulite rappresentino appena il 2% circa delle forniture mondiali di energia, come sostiene l’agenzia internazionale basata a Parigi, nonostante la crescita imponente delle risorse verdi, soprattutto eolico e solare, vista negli ultimi anni?

A porsi l’interrogativo è stato Erik Sauar: esperto di fotovoltaico, cofondatore di REC Solar, Sauar ha conseguito diversi brevetti e pubblicato una ventina di testi scientifici, oltre a essere consulente e investitore in numerose compagnie del settore FV.

La risposta, sostiene Sauar in un articolo apparso sul sito energiogklima (è la sintesi del suo nuovo studio in attesa di essere pubblicato integralmente dalla comunità scientifica), si trova nelle pieghe di un manuale statistico adottato dalla stessa IEA e dall’OECD da una dozzina d’anni e mai aggiornato su un punto cruciale, che va a minare le fondamenta dello “scontro” fonti fossili vs rinnovabili.

Seguiamo allora più in dettaglio il filo del suo ragionamento: il punto è che la IEA sovrastima l’apporto delle risorse convenzionali (gas, petrolio, carbone), mentre assegna a eolico e solare un ruolo molto più marginale di quello che dovrebbe spettare alle due tecnologie green.

Nei calcoli dell’agenzia, pale eoliche e pannelli fotovoltaici contano 3-4 volte meno del dovuto, al contrario delle controparti fossili.

Quando un parco fotovoltaico, un reattore nucleare e un impianto a carbone producono tutti una stessa quantità di energia elettrica, scrive Sauar, dovremmo aspettarci che le statistiche ufficiali considerino all’incirca sullo stesso piano i contributi di queste tre fonti, ma non è così.

Ad esempio, sono necessarie tre unità di carbone per produrre una singola unità di “potenza” utilizzabile, considerando le perdite che avvengono durante la conversione dal combustibile al vettore energetico, tipicamente nell’ordine del 60-80% di energy losses.

Lo stesso principio vale per il nucleare e tutte le altre fonti, comprese quelle verdi, in cui solo una parte variabile dell’energia primaria – sole o vento nel caso delle rinnovabili – si trasforma in energia secondaria, l’elettricità, secondo l’efficienza media di pannelli solari e pale eoliche.

La IEA, però, come illustra chiaramente il grafico qui sotto (Giampietro e Mayumi, 2009, rielaborato da Sauar) conteggia le risorse fossili, insieme con biomasse e nucleare, alla stregua di fonti di energia primaria, quindi “grezza”, non raffinata, trasformata o convertita.

Al contrario, le rinnovabili sono conteggiate come energia secondaria: tale disparità di trattamento, evidenzia l’autore dell’articolo, si deve in buona parte a ragioni di semplicità. Le compagnie fossili preferiscono indicare le quantità estratte di carbone o idrocarburi in tonnellate, mentre gli operatori delle rinnovabili si riferiscono all’output elettrico dei rispettivi impianti.

Tra l’altro, prosegue l’esperto, quando la IEA nel 2005 aveva scelto il metodo di calcolo, le tecnologie pulite rappresentavano ancora una frazione minima del totale, quindi è logico supporre che la discussione avesse dato minor peso a quelle fonti ancora immature e dall’incerto sviluppo come è stato dimostrato dalla stessa IEA nelle sue stime degli scenari futuri (Ecco perché si sbagliano sempre le previsioni sull’energia solare).

Anche per il nucleare e le biomasse, spiega poi Sauar, è più semplice misurare l’output elettrico, piuttosto che l’esatta quantità di energia nucleare o di biomassa consumata in origine.

Difatti, la IEA ha deciso di moltiplicare per 3 l’energia elettrica generata da queste due fonti, così da rispecchiare con una buona approssimazione il concetto di “energia primaria” e le successive perdite nei processi di conversione.

Allo stesso modo, bisognerebbe individuare dei moltiplicatori anche per l’elettricità generata dalle centrali eoliche e solari. Sauar ipotizza un fattore pari a 2,2-2,5 per l’eolico, una tecnologia molto efficiente che spesso riesce a superare il 40% di rendimento medio.

Il fotovoltaico invece è meno efficiente, si sta avvicinando a una media del 20% e quindi richiederebbe un fattore di moltiplicazione di 5,0 circa, per riflettere le perdite della conversione dall’energia solare all’elettricità effettivamente utilizzabile.

Prendendo a riferimento un mix 60/40 di eolico e solare, chiarisce Sauar, il moltiplicatore medio da utilizzare sarebbe di circa 3,3, quindi molto simile a quello impiegato per nucleare e biomasse.

In conclusione, appare chiaro che da parecchi anni la IEA sta elaborando scenari in cui le rinnovabili sono ampiamente sottopesate a tutto vantaggio delle fonti fossili.

Il grafico qui sotto, rielaborato dall’autore dello studio, confronta lo scenario 450 della IEA, pubblicato nel World Energy Outlook 2016 sul mix dei consumi di energia primaria previsti al 2040, con lo stesso scenario “corretto” da Sauar con un fattore di 2,9 assegnato alle rinnovabili (barretta gialla).

Come si vede, eolico e solare sono destinati a giocare un ruolo di primo piano che l’errore statistico, perpetrato dagli analisti, non consente di riconoscere a uno sguardo superficiale.

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