Ecco perché si sbagliano sempre le previsioni sull’energia solare

Una recente ricerca prova a spiegare perché il potenziale dell’energia solare in tutti gli scenari è generalmente sottostimato. Gli errori storicamente più gravi sono quelli della IEA. Analizzando invece meglio la curva di apprendimento della tecnologia solare si fanno previsioni molto sorprendenti per il 2050.

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Perché il potenziale dell’energia solare è così sottostimato anche come soluzione per la decarbonizzazione del sistema energetico mondiale?

Se lo chiede un gruppo di ricercatori della Technical University di Berlino, guidato da Felix Creutzig.

L’analisi, pubblicata su Nature Energy, dimostra come ci sia stata sempre una notevolissima variabilità nel valore del contributo delle rinnovabili nel futuro mix energetico.

In uno scenario comparativo commissionato dall’IPCC e pubblicato nel 2014, ad esempio, si era stimato che la generazione elettrica da fonte solare potesse andare da 8 a 35 EJ (exajoules) per anno entro il 2050.

Ciò significherebbe circa il 5-17% dell’offerta di elettricità su scala mondiale. Curiosamente, lo stesso studio prospettava invece un contributo per le biomasse di 50-90 EJ/anno per metà secolo.

Questo e altri scenari sono sovente analizzati dalla IEA ed adottati anche dall’IPCC. Si tratta di proiezioni che fanno “storicamente” emergere contributi sempre molto elevati per tutte le fonti e soluzioni energetiche, come il carbone, la cattura e lo stoccaggio della CO2, il nucleare e la biomassa, ma non per l’energia solare.

Qualcosa ci fa presumere che questi studi abbiano un pregiudizio di fondo nei confronti dell’energia solare oppure non partono da parametri corretti.

I ricercatori tedeschi per capire questo gap hanno inserito in un grafico l’andamento delle stime sulla potenza solare futura dal 1995 al 2015: la linea nera indica le proiezioni della IEA, quella verde di Greenpeace, quella blu è del German Advisory Council on Global Change (WGBU), mentre quella rossa definisce il dato della effettiva generazione da solare.

Come si nota tutte le previsioni, e anche ripetutamente nel tempo, sono state sempre sottostimate, in particolare quelle della IEA, che viene peraltro presa come riferimento da quasi tutti gli analisti energetici ed economici.

Si evidenzia infatti come la IEA abbia previsto un tasso di crescita annuale, dal 1998 al 2010, del 16-32%, mentre nella realtà questo ha oscillato tra il 20 e il 72%, con una media annuale del 38%.

Per spiegare meglio queste percentuali possiamo dire che un tasso di incremento annuale della potenza solare installata pari al 19% (la media della IEA) in 10 anni porta ad una crescita del 470%; ma se il tasso annuale diventa del 38% (cioè quello reale) si arriva ad una parco FV installato aumentato, nella stessa decade, del 2.500%, cioè circa 5,3 volte in più delle previsioni IEA.

Gli scenari solari più ottimistici, quella dell’associazione Greenpeace pubblicati tra il 2007 e il 2010 sottostimavano ugualmente la crescita dell’energia solare, anche se in misura inferiore: il tasso di crescita atteso era tra il 24 e il 32% all’anno, poi ampiamente superato nei fatti.

Certo, va menzionato il fatto che il solare partiva da livelli molto bassi e la sua crescita in questi 20 anni è stata veramente impressionante e inaspettata: ben poche tecnologie sono riuscite a svilupparsi così velocemente su scala globale.

Sull’approccio della IEA (oltre che sulle statistiche energetiche dei paesi OCSE) si potrebbe aggiungere anche che i metodi di calcolo utilizzati per misurare i contributi delle diverse fonti non risultano, secondo alcune recenti ricerche, scientificamente corretti, con una conseguente notevole sottostima del peso di eolico e solare sul totale dell’energia primaria. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

Tornando al divario tra previsioni e realtà, spiegano gli autori dello studio, questo non è stato ben compreso dalle politiche energetiche-climatiche che continuano a basarsi su una vecchia logica ancorata prevalentemente ai costi delle tecnologie, cioè modelli economici che ritengono che la società continui sempre a ricercare di minimizzarli, ignorando però il potenziale ruolo delle preferenze personali.

Tuttavia, come dicono gli autori di questo studio e di molte altre analisi, la prima rapida diffusione della tecnologia solare abbassò i costi altrettanto rapidamente: i moduli FV diminuiscono di prezzo del 23% circa ad ogni raddoppio dell’installato mondiale.

Anche uno studio del Fraunhofer spiegava come negli ultimi 36 anni il prezzo dei moduli FV sia diminuito del 24% per ogni raddoppio della produzione cumulativa mondiale. Solo per fornire un altro parametro, i prezzi degli impianti FV su tetto in Germania per impianti tra 10 e 100 kWp sono passati da 14.000 €/kWp del 1990 a 1.270 €/kWp del 2016.

I LCOE, i costi dei sistemi solari nel loro ciclo di vita, stanno intanto battendo anche quelli delle energie fossili in un mercato che assume ormai i connotati di competitività. Ad esempio a Dubai, in Messico, in Cile alcuni progetti di grandi impianti fotovoltaici stanno vendendo l’elettricità generata a meno di 3 centesimi di dollaro per kWh. In India e in Zambia siamo sotto i 6 cent$, meno della generazione da carbone.

Nella realtà quindi sembra proprio che non si sia riusciti ad applicare ai tanti modelli di scenari futuri elaborati in questi anni la reale curva di apprendimento della tecnologia solare.

E questo è forse il principale motivo per cui l’energia solare è stata così ampiamente sottostimata, unitamente agli errori nelle previsioni dei costi per le altre tecnologie energetiche, generalmente fin troppo ottimistici, che in alcuni casi sono addirittura aumentati (vedi il caso del nuovo nucleare).

Gli analisti del Technical University Berlin hanno elaborato nuove stime per un potenziale più realistico di energia solare utilizzando un modello del Potsdam Institute for Climate Impact Research, chiamato REMIND (Regionalized Model of Investments and Development).

Inserendo nel sistema diversi parametri rilevanti come quelli, rivisitati, dell’andamento della curva di apprendimento e dei relativi costi della tecnologia al variare di questa, ne sono emersi risultati molto sorprendenti sul potenziale di energia solare: nell’ipotesi più pessimistica entro il 2050 l’offerta di elettricità solare potrebbe coprire il 30% del totale (senza incentivi); questa quota potrebbe raggiungere persino il 50% con un costo minimo ancora più basso.

Si assisterebbe così, grazie anche al ruolo determinante degli accumuli elettrochimici e dei loro costi in picchiata, a una trasformazione del mercato elettrico che da un sistema basato su un enorme baseload da carbone passerà a uno basato su una potenza di energia solare di natura variabile.

Naturalmente il sostegno delle policy necessarie a liberare questo potenziale sarà fondamentale, sempre ricordando, spiegano gli analisti, che tutte le fonti fossili sono ancora fortemente radicate nella cultura e nelle lobby che sostengono la politica.

Se uno scenario solare di questo tipo potrebbe essere effettivamente molto importante per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, non sarà – concludono i ricercatori – sufficiente per risolvere il global warming in atto. Il rischio è di continuare a vedere la coabitazione di fonti fossili e rinnovabili per diverse altre decadi.

Ed è qui entra in gioco la politica: servono misure drastiche per eliminare dalla scena energetica carbone, petrolio e gas, in particolare caricando su queste fonti un’adeguata carbon tax così da far crescere più velocemente la quota di elettricità solare nel mix energetico mondiale.

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