Quanto continua a inquinare il carbone in Europa

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Gli ultimi dati ufficiali delle industrie nei 28 Stati membri UE, riferiti al 2015, evidenziano che gli impianti con più emissioni di CO2, ossidi di azoto e anidride solforosa sono i termoelettrici alimentati a carbone e lignite, anche se negli ultimi 10 anni hanno ridotto il loro impatto ambientale.

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Le centrali a carbone rimangono in cima alla classifica delle industrie europee più “sporche”.

Lo dicono i dati ufficiali pubblicati dall’European Environment Agency (EEA) dopo l’ultimo aggiornamento del registro UE delle emissioni, European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR).

I numeri si riferiscono al 2015 e riguardano circa 35.000 siti industriali di 65 settori economici differenti nei 28 Stati membri (tranne l’Italia, in ritardo nel comunicare i propri dati all’agenzia) più Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e Serbia.

Il registro contiene le informazioni sul deterioramento dell’aria e dell’acqua causato da ogni stabilimento produttivo nel nostro continente: CO2, monossido di azoto, particolato fine, metalli pesanti, fosforo e così via, per un totale di 9 sostanze pericolose per l’ambiente e la salute umana.

Nella lista dei 59 impianti maggiormente responsabili dell’inquinamento atmosferico e idrico, ben 14 si trovano in Gran Bretagna, seguita da Germania (7) e da Polonia e Francia con cinque menzioni a testa in questa poco invidiabile graduatoria.

Il settore termoelettrico va sempre a cozzare contro l’obiettivo europeo di decarbonizzare progressivamente l’economia, perché le unità alimentate dai combustibili fossili emettono le quantità più elevate di CO2, ossidi di azoto e anidride solforosa, vedi qui la mappa interattiva.

Gli impianti “top polluters” per queste tre sostanze sono 4 e tutti a carbone: il peggiore è Belchatów in Polonia, il più grande d’Europa, che brucia la molto economica e super-inquinante lignite, emettendo da solo circa 37 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, il 2,2% dell’intera anidride carbonica registrata nell’E-PRTR.

Al secondo posto troviamo la centrale di Drax nel Regno Unito, che utilizza un mix di carbone e biomasse provenienti perlopiù dall’America settentrionale, aggiungendo alle emissioni locali – questa è una nostra considerazione – un bel “carico” di CO2 correlata al trasporto della materia prima dall’altra sponda dell’Atlantico.

In terza e quarta posizione, rispettivamente, l’agenzia UE per l’ambiente segnala le unità a carbone-lignite di Jänschwalde in Germania e Kozienice in Polonia.

Il carbone, osserva l’European Environment Agency, è il combustibile tuttora maggiormente impiegato nelle grandi centrali termoelettriche di potenza superiore a 50 MW (Large Combustion Plants, LCP) con una quota intorno al 55% del totale, mentre il gas naturale si attesta al 26% circa e le biomasse sfiorano il 5% del fuel input complessivo.

Nel 2015 si contavano 3.400 LCP in attività in Europa, il cui consumo di carburanti fossili è diminuito del 23% dal 2006, a fronte di un calo ben più modesto della domanda elettrica nei 28 Stati membri (-3,3%) quindi è evidente che il mix energetico è diventato più efficiente e più spostato verso le fonti rinnovabili.

Grazie all’introduzione di moderne tecnologie per abbattere le sostanze nocive, prosegue il documento EEA, come richiesto dalla direttiva LCP e dalla più recente direttiva sulle emissioni industriali (Industrial Emissions Directive, IED), i grandi impianti termoelettrici hanno ridotto il loro impatto sull’ambiente negli ultimi dieci anni, come evidenzia il grafico qui sotto.

Tuttavia, è il commento della EEA, il settore LCP “rimane un’importante fonte di emissioni, a un livello che continua a contribuire alla scarsa qualità dell’aria in Europa”.

Di conseguenza, Bruxelles deve accelerare la transizione energetica verso le fonti pulite, altrimenti rischierà di fallire i prossimi obiettivi su energia e clima al 2030 e oltre.

Un modo per farlo è incorporare le esternalità negative nei prezzi dei carburanti fossili, ad esempio attraverso una carbon tax o potenziando il sistema EU-ETS per lo scambio dei diritti di emissione tra le industrie energivore, dove al momento il costo della CO2 rilasciata nell’atmosfera è assolutamente troppo basso (articolo di QualEnergia.it sui benefici economici di una tassa globale sul carbonio).

Il punto è che per scoraggiare progressivamente l’uso di gas, petrolio e carbone occorre far pagare a chi inquina gli extra costi sociali-ambientali che normalmente sono scaricati sulla collettività, includendoli invece nei calcoli – molto complessi per la verità – per determinare il valore “tutto compreso” dell’energia elettrica generata (vedi anche QualEnergia.it).

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