Stabilizzatori di tensione per risparmiare energia? Meglio di no

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Ci sono numerose offerte, soprattutto su internet, che riguardano stabilizzatori di tensione che promettono di far risparmiare anche il 30% sulla bolletta elettrica. A cosa servono questi dispositivi e quando andrebbero utilizzati. Spieghiamo perché usarli nelle nostre abitazioni è del tutto inutile.

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In rete si trovano numerose offerte riguardanti dispostivi per “risparmiare elettricità”, basati su stabilizzatori di tensione, che vengono offerti a chiunque, promettendo tagli alla bolletta anche del 30%. Ma hanno un senso queste offerte?

L’Italia è uno dei grandi produttori di stabilizzatori di tensione nel mondo, e anche uno dei più rinomati per qualità, durata, velocità di risposta e innovazione tecnologica. Non si fa fatica quindi a trovare produttori disposti a parlare di questi dispositivi e del loro uso.

«La funzione degli stabilizzatori di tensione è esattamente quella indicata dal loro nome – ci dice Marco Pirani, della emiliana Varat – servono a mantenere la tensione, cioè il voltaggio, dell’elettricità entro limiti ristretti di oscillazione rispetto all’ottimale. Li si può immaginare come degli imbuti, l’apertura grande corrisponde alla corrente che arriva dalla rete, la piccola a quella che viene fornita al dispositivo: per quanto la tensione vada su e giù, grazie a un trasformatore e ad opportune regolazioni elettroniche o elettromeccaniche, dalla parte stretta dell’“imbuto” esce sempre la tensione prevista, con un margine di circa l’1%. E, grazie all’elettronica, ogni deviazione viene ricondotta nei limiti in pochi millisecondi, con una efficienza del 97-98%».

In teoria di stabilizzatori di tensione oggi non dovrebbe essercene bisogno, visto che la rete elettrica, almeno nei paesi industrializzati, dovrebbe già garantire una tensione stabile, con un margine di tolleranza in alto o in basso di appena il 10%: un range sopportabile da tutti i dispositivi connessi.

«In gran parte d’Italia è in effetti così», conferma Cristiano Sandri della piemontese Irem, altro produttore di questi dispositivi. «E infatti la nostra produzione va per il 70-80% all’estero: in Africa, paesi arabi o altre nazioni in via di sviluppo, dove la tensione di rete può andare incontro a sbalzi incredibili, tali da produrre, se uno non si protegge con uno stabilizzatore, interruzioni nella produzione e danni ai macchinari, anche pesanti se si pensa che la scheda elettronica di macchine a controllo numerico può costare migliaia di euro».

«Comunque – aggiunge Pirani – gran parte degli stabilizzatori di tensione che produciamo vengono aggiunti agli stessi macchinari durante la loro fabbricazione, così che siano individualmente protetti. Per esempio i sistemi di taglio laser, dove le tolleranze si misurano in micron, ne hanno uno interno molto preciso, perché ogni minima variazione nell’alimentazione può portare il raggio laser a tagliare troppo o troppo poco, rovinando la lavorazione».

Ma anche in Italia esistono aree dove la tensione, sia la 230 V monofase che la 400 V trifase, può non essere quella prevista. «Può succedere, ad esempio, in aree poste alla fine di una lunga linea elettrica, lontane dalla cabina di trasformazione: qui in certi momenti, la tensione può andare sopra o sotto al canonico 10% e uno stabilizzatore all’ingresso della rete interna può essere utile per evitare malfunzionamenti e maggiore usura delle macchine. Nei casi in cui la tensione superi quella prevista, mantenerla al valore teorico, oltre a prevenire guasti, riduce anche i consumi», dice Pirani

«Ma questo, secondo me, può valere per utenze con alti consumi elettrici, come quelle industriali. Invece nel contesto dei ridotti consumi elettrici di una abitazione, installare uno stabilizzatore di tensione allo scopo di ridurre i consumi è una spesa che difficilmente si ripagherà in tempi ragionevoli», precisa Sandri.

Come detto, però, su internet si trovano numerose offerte di vendita di questi dispositivi, proposti al solo scopo di risparmio energetico, indipendentemente dai carichi connessi e dalle fluttuazioni locali della tensione di rete, che promettono di ridurre i consumi di chi li usa addirittura del 20-30%.

E c’è pure chi aggiunge a queste già mirabolanti promesse anche quella di migliorare la salute “riducendo i dannosi campi elettrici”.

Un primo impiego dei regolatori di tensione in funzione “risparmio” è il loro uso come rifasatori, cioè dispositivi in grado di ridurre la potenza reattiva di un impianto (una conseguenza della trasmissione in corrente alternata), rimettendo in fase tensione e intensità di corrente.

«Si tratta però di un problema che interessa soprattutto i grandi utilizzatori di motori elettrici, industrie, centri commerciali, eccetera, e di cui comunque ci si accorge facilmente, visto che nel caso un utente assorba potenza reattiva in misura superiore alla massima consentita, circa la metà della potenza attiva, viene pesantemente multato dal distributore elettrico o addirittura distaccato dalla rete. In questi casi un rifasatore di rete è senz’altro indispensabile, ma proporli a chiunque, comprese le normali abitazioni, promettendo eclatanti risparmi sulla bolletta è inappropriato», ci spiega Roberto Faranda, professore di ingegneria elettrica al Politecnico di Milano.

Un altro sistema per “risparmiare” energia con gli stabilizzatori di tensione, è quello di tararli in modo che mantengano la tensione minima ammissibile, per esempio 207 V invece di 230 V. Secondo chi li propone, talvolta porta a porta, ciò dovrebbe tagliare i consumi in bolletta.

«Questo uso degli stabilizzatori di tensione si era molto diffuso, per esempio, nei supermercati – dice Faranda – e così, in collaborazione con il gruppo Carrefour, abbiamo deciso di compiere una verifica sulla loro efficacia. Ne abbiamo installato uno in un loro supermercato, provando a tenere la tensione a 215 V e misurando i consumi in comparazione a quelli con la tensione a 230 V».

Si è così scoperto che, in effetti, lo stabilizzatore portava a un risparmio di energia elettrica di circa il 3%.

«La cosa ci ha sorpreso, perché non ha molto senso scientifico: la potenza disponibile su una linea elettrica dipende dal prodotto fra tensione (volt) e corrente (ampere). Se riduco la prima, avrò semplicemente una potenza minore disponibile, e ci vorrà più tempo per far compiere ai dispositivi lo stesso lavoro: per esempio se una pompa con una tensione di 230 V richiede un’ora per spostare un certo volume di acqua, richiederà circa un’ora e 5 minuti a 200 V per compiere lo stesso lavoro. Con il risultato che consumerà tanta energia quanto prima …», dice Faranda

E allora come si spiega quel risparmio osservato?

«Siamo andati a verificare dispositivo per dispositivo: frigoriferi, pompe, illuminazione. Abbiamo così scoperto che tutto il risparmio osservato derivava dal fatto che le vecchie lampade al neon, non a controllo elettronico, alimentate a tensione inferiore assorbivano meno potenza dalla rete riducendo la loro emissione di luce. In compenso luci a led, neon a controllo elettronico, pompe e sistemi di climatizzazione (frigoriferi e riscaldamento, ndr) consumavano quanto prima, anzi, questi ultimi, dovendosi in alcuni casi accendere e spegnere più spesso, aumentavano la loro usura».

In altre parole l’“effetto risparmio” dell’abbassare la tensione, consisteva solo nel ridurre l’intensità delle luci del supermercato: un risultato che si poteva ottenere più agevolmente spegnendo alcune lampade o sostituendole con altre di potenza minore, e che scomparirà quando tutte le luce saranno a controllo elettronico.

«Quindi – sintetizza Faranda – gli stabilizzatori di tensione sono dei dispositivi molto utili nelle situazioni in cui la tensione non rimanga costantemente all’interno della banda teorica di oscillazione del 10%. Cosa che nel nostro paese, per fortuna, si verifica raramente. Ma usarli quando la tensione è stabile, per tentare di risparmiare corrente abbassando la tensione in entrata, è del tutto inutile».

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