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Surriscaldamento globale, quando e perché uccidono le ondate di calore

Un nuovo studio dell’Università delle Hawaii mostra le “relazioni pericolose” tra cambiamenti climatici e condizioni ambientali estreme, con valori di temperatura e umidità fuori scala e potenzialmente letali. Vediamo come il global warming può diventare una minaccia sempre più grave per l’umanità.

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Entro la fine di questo secolo, tre quarti della popolazione mondiale potrebbe essere esposta a ondate di calore potenzialmente letali.

La previsione è contenuta in un nuovo studio dell’University of Hawaii at Manoa, che ha indagato le relazioni tra il surriscaldamento globale e la salute umana (Global risk of deadly heat, allegato in basso).

Per definire il rischio di mortalità associato alle heat waves, gli autori americani, per prima cosa, hanno esaminato migliaia di documenti del periodo 1980-2014, registrando quasi 800 episodi di caldo “estremo” che hanno provocato decessi in 164 città di 36 paesi in tutto il mondo.

Gli autori poi hanno identificato una soglia di mortalità, superata la quale, il mix di temperatura media giornaliera dell’aria e di umidità relativa può uccidere con più facilità le persone (vedi il grafico sotto).

Questa soglia è variabile: ci sono ondate di calore killer con temperature più basse ma umidità alle stelle, come accaduto a Mosca nel 2010.

Il punto, si legge nel rapporto americano, è che già oggi il 30% della popolazione del nostro pianeta deve sopportare condizioni ambientali molto pericolose – con una combinazione di temperatura e umidità oltre la soglia di relativa sicurezza, rappresentata dalla linea blu nel grafico – per almeno venti giorni l’anno.

Questa percentuale è destinata a salire parecchio nei prossimi decenni: parliamo del 50% di popolazione esposta a ondate di calore fuori scala al termine del XI secolo.

La stima, peraltro, è benigna, perché assume uno scenario “con notevoli riduzioni delle emissioni di gas-serra”, si legge nello studio. In definitiva, secondo gli scienziati dell’università USA, il cambiamento climatico è irreversibile e tagliare le emissioni di CO2 servirà solo ad alleviare il global warming.

La mappa qui sotto sintetizza la possibile distribuzione geografica delle heat waves, secondo differenti scenari di concentrazione della CO2 nell’atmosfera. Il quadro più pessimista prevede che nel 2100 ben il 75% dell’umanità dovrà fare i conti con le ondate di calore letali.

I paesi emergenti delle zone tropicali saranno i più esposti ai rischi climatici, perché basterà un piccolo incremento dei già elevati valori di temperatura e umidità, per farli entrare con maggiore frequenza e durata nella “zona rossa” della mortalità.

Come chiarisce lo studio, “una minaccia crescente per la vita umana, provocata dall’eccesso di calore, ora sembra quasi inevitabile, ma diventerà molto più grave se i gas-serra non saranno considerevolmente ridotti”.

L’analisi dei ricercatori americani è interessante per diversi aspetti, non solo perché ha approfondito il legame tra surriscaldamento planetario dovuto alla CO2 e morti premature. Ci riporta, infatti, a due temi ampiamente dibattuti dopo gli accordi di Parigi sul clima: innanzi tutto, l’urgenza di agire con obiettivi lungimiranti e severi di abbattimento delle emissioni.

Gli impegni attuali dei diversi paesi non consentiranno di limitare l’aumento medio delle temperature terrestri entro i due gradi (vedi anche QualEnergia.it), quindi è necessario potenziare le politiche di transizione energetica a livello globale. Ogni anno “perso” nella lotta al cambiamento climatico, inoltre, avvicina l’umanità alla soglia di pericolo individuata dall’Università delle Hawaii.

Il secondo tema riguarda la capacità di adattamento ai rischi e alle mutate condizioni ambientali, che sarà maggiore nelle economie avanzate: queste ultime, infatti, avranno un margine-cuscinetto per contenere almeno in parte i danni degli eventi naturali catastrofici, delle ondate di calore nel caso specifico, grazie ai moderni servizi sanitari e ai sistemi efficienti di climatizzazione.

Per le nazioni più povere, invece, sarà più difficile reagire ai cambiamenti climatici senza l’aiuto finanziario-tecnologico dell’occidente, previsto dagli stessi accordi parigini.

Le morti premature evocate dallo studio, in definitiva, evidenziano che i costi sociali-ambientali del climate change potranno essere molto ingenti. D’altronde, sono sempre di più gli economisti che suggeriscono di includere le esternalità negative nei prezzi dei combustibili fossili, carbone in primis, magari attraverso una carbon tax internazionale (articolo di QualEnergia.it sulla proposta di Joseph Stiglitz e Nicholas Stern).

Studio pubblicato su Nature Climate Change (pdf)

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