L’economia circolare nelle costruzioni: ostacoli, soluzioni e buone pratiche

CATEGORIE:

Il rapporto dell’Osservatorio Recycle, promosso da Legambiente, approfondisce i cambiamenti in corso nelle infrastrutture e in edilizia. Assenza di riferimenti chiari e di obblighi, vuoti normativi e capitolati obsoleti tra le principali problematiche che frenano il settore.

ADV
image_pdfimage_print

Non esistono più motivi tecnici, prestazionali o economici che possano essere utilizzati come scuse per non utilizzare materiali provenienti dal riciclo nelle costruzioni.

Lo confermano le buone pratiche raccolte nel report dell’Osservatorio Recycle, promosso da Legambiente, che racconta e approfondisce i cambiamenti già in corso nelle infrastrutture come in edilizia (vedi allegato in basso).

Tra i casi raccontati dal rapporto, troviamo anche alcune realizzazioni edili e infrastrutturali italiane.

Tra queste il caso dello Juventus Stadium, realizzato anche con il materiale derivato dalla demolizione di strutture esistenti, con un conseguente risparmio di 2 milioni di euro. Oppure il primo tratto della pista ciclabile di Roma del progetto GRAB, realizzata per oltre il 50% con materiali riciclati che hanno permesso di abbassare le temperature di lavorazione, e di conseguenza, di risparmiare energia.

C’è il caso poi del nuovo complesso residenziale Casanova EA8 a Bolzano, composto da 85 unità residenziali suddivise in tre blocchi compatti, che presenta il 20% del contenuto dei laterizi da materiale riciclato e di recupero.

Oggi – si legge nel report – dobbiamo guardare all’insieme di innovazioni che riguardano le diverse filiere di materiali, in modo da spingere processi capaci di aumentare il recupero dei rifiuti e di spingere il riciclo ed il riutilizzo.

Arrivando al 70% di riciclo di materiali di recupero – spiega il rapporto – si genererebbero oltre 23 milioni di tonnellate di materiali che permetterebbero di fermare la produzione di almeno 100 cave di sabbia e ghiaia per un anno. Inoltre la nascita di una filiera specializzata darebbe una considerevole spinta alla creazione di posti di lavoro e attività imprenditoriali.

Quello descritto dal rapporto non è un insieme di buone intenzioni, ma un processo già in corso e delineato dalla Direttiva 2008/98/CE, che prevede che al 2020 si raggiunga un obiettivo pari, appunto, al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, e anche da leggi e decreti italiani.

Cosa frena allora un maggiore utilizzo di materiali di riciclo nelle costruzioni?

Tre le principali cause individuate dal report:

  1. La prima barriera riguarda i cantieri dei lavori pubblici e privati, dove i capitolati sono spesso un ostacolo insormontabile per gli aggregati riciclati. In molti capitolati è ancora previsto l’obbligo di utilizzo di alcune categorie di materiali da cava o comunque “naturali”,  impedendo di fatto l’applicazione per quelli provenienti dal riciclo.

  2. La seconda barriera riguarda l’assenza di riferimenti chiari e obblighi per l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo nei cantieri dei Lavori Pubblici. Perché lo scenario definito dalla Direttiva 98 possa andare avanti servono infatti riferimenti chiari per accompagnare la crescita nell’uso dei materiali fino al target del 70% di riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione previsto al 2020. La Direttiva indica con chiarezza la necessità di accompagnare attraverso specifici provvedimenti questi processi e sono previsti decreti attuativi dallo stesso Decreto Legislativo 205/2010 che l’ha recepita nel nostro ordinamento. Il processo sta andando avanti, ma troppo lentamente. Questi temi sono entrati sia nel cosiddetto Collegato Ambientale (Legge 221/2015) che nel nuovo Codice degli Appalti (Decreto Legislativo 50/2016).
  1. La terza barriera riguarda le difficoltà che i materiali provenienti dal riciclo trovano nella loro applicazione. Le normative infatti ostacolano questo tipo di recupero invece di accompagnarlo e proprio la scarsa chiarezza diventa una scusa per le stazioni appaltanti e i tecnici.

Come contrastare e risolvere queste problematiche? Sono sempre tre le soluzioni individuate e proposte dal report:

  • Attuare la direttiva europea introducendo obblighi crescenti di utilizzo di aggregati riciclati.

La sfida – si legge nel report – è quella di introdurre criteri ambientali minimi per i cantieri delle opere pubbliche, ma anche di percentuali minime per l’utilizzo di materiali provenienti dal riciclo nelle infrastrutture e in edilizia, così come controlli e sanzioni nei confronti delle stazioni appaltanti e nei cantieri.

  • Cambiare i capitolati fissando obiettivi prestazionali.

“I capitolati rappresentano uno snodo fondamentale per fare chiarezza nell’utilizzo, nelle garanzie e nelle prestazioni degli aggregati riciclati e per superare la diffidenza da parte dei direttori dei lavori legata alla paura delle responsabilità amministrative e penali derivanti da un eventuale uso improprio dei materiali. La responsabilità è in capo alle Stazioni appaltanti ma anche ai Ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente perché siano introdotti quei chiarimenti previsti dalle Direttive europee”, si argomenta nel rapporto.

  • Controlli e monitoraggio dei rifiuti da demolizione.

In Italia – spiega il rapporto – non si ha alcuna certezza dei numeri dei rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione. Eppure avere un quadro chiaro della situazione è fondamentale sia da un punto di vista della legalità e tutela del territorio (sono tante le discariche abusive di questi materiali) che della possibilità di spingere il riciclo.

Secondo l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in Italia vengono prodotti circa 48 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione (dato 2013) che vengono smaltiti in discarica o presso impianti di riciclo. Questi rappresentano il 37,4% del totale dei rifiuti del settore industriale.

Ma la percentuale di riciclo viene calcolata dall’Ispra attraverso informazioni contenute nel Modello unico di dichiarazione ambientale (Mud), la cui compilazione è obbligatoria solo per i soggetti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di tali inerti, mentre le imprese di costruzione sono esentate.

Lo stesso Ministero dell’Ambiente ammette che questa metodologia di calcolo comporta una serie di criticità derivanti dal reperimento dei dati. Serve quindi un sistema uniforme e completo e non lasci luoghi d’ombra.

Potrebbero interessarti
ADV
×