Francia-Germania, prove di dialogo per una carbon tax europea?

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Secondo alcune fonti bene informate, citate da Bloomberg, Macron starebbe cercando di convincere Angela Merkel a ripresentare una tassa sulla CO2 con un prezzo minimo di 30 €/ton. Il piano servirebbe a superare gli attuali limiti del mercato ETS e velocizzare l’abbandono dei fossili.

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La Francia torna a proporre una carbon tax europea. Per il momento è solo un’indiscrezione riportata da Bloomberg New Energy Finance (BNEF), che cita alcune fonti bene informate riguardo alla nuova possibile alleanza franco-tedesca per ridurre le emissioni inquinanti.

Il neopresidente francese, Emmanuel Macron, ha appena incassato la netta vittoria del suo partito En Marche! nel primo turno delle elezioni parlamentari, che dovrebbe tradursi in una maggioranza schiacciante dopo il secondo turno di domenica prossima.

Intanto Macron sta rispolverando l’idea di una tassa sull’anidride carbonica emessa dagli impianti industriali, che ovviamente andrebbe a colpire soprattutto le centrali a carbone.

Secondo un funzionario francese citato da BNEF, che è voluto rimanere anonimo, Macron vorrebbe convincere il cancelliere tedesco Angela Merkel e altri leader europei a introdurre un prezzo minimo (price floor) di 30 € per tonnellata di CO2.

Già l’anno scorso la Francia di Hollande aveva proposto di tracciare un corridoio di prezzo europeo per la CO2, poiché il sistema europeo EU-ETS (Emissions Trading Scheme) da diversi anni non sta più funzionando come dovrebbe.

In sintesi, il problema è che l’eccesso di quote invendute di CO2 sul mercato ha fatto crollare i prezzi dei crediti di emissione, con il risultato che le industrie coinvolte nello schema – oltre 11.000 in tutta Europa – hanno molta più convenienza a inquinare, pagando una somma irrisoria per ciascuna tonnellata di CO2, piuttosto che investire in efficienza energetica e fonti rinnovabili (articolo di QualEnergia.it con i dettagli e le ipotesi di riforma).

Il piano dei socialisti però era caduto nel vuoto. Non era piaciuto né alla Germania, né ai lavoratori delle utility transalpine, preoccupati che la futura tassa avrebbe costretto le compagnie a chiudere determinati impianti. Parigi aveva rinunciato anche a “correre da sola” con una carbon tax nazionale.

Può darsi che i tempi stiano maturando per rilanciare una strategia di carbon pricing su scala continentale, anche se molto probabilmente in Germania le bocce rimarranno ferme fino a settembre, quando si terranno le elezioni federali.

È plausibile che Angela Merkel decida di non esporsi troppo su questo tema, considerando la potenza della lobby fossile tedesca (la Germania produce il 40% dell’elettricità con carbone e lignite).

Una cosa è certa: per rispettare gli accordi di Parigi e velocizzare la transizione energetica verso le fonti pulite, è necessario che tutti i paesi incrementino i rispettivi impegni. Un gruppo di economisti guidato da Joseph Stiglitz e Nicholas Stern ritiene opportuno introdurre una carbon tax globale fino a 100 $/tonnellata di CO2 (articolo di QualEnergia.it sui dettagli della proposta e i suoi vantaggi).

D’altronde, la stessa IEA (International Energy Agency) ha evidenziato nel suo ultimo rapporto che l’evoluzione delle tecnologie verdi sta procedendo con troppa lentezza e che, di questo passo, sarà impossibile limitare il surriscaldamento terrestre sotto i 2 gradi centigradi.

Fondamentale, quindi, incorporare i costi sociali e ambientali – le cosiddette esternalità negative – dei combustibili fossili nei prezzi energetici. Un esempio molto citato riguarda la Gran Bretagna, con il suo price floor pari a 18 sterline per tonnellata di CO2, poco più di 20 € al cambio attuale, che ha fatto crollare l’output elettrico del carbone a vantaggio di gas e rinnovabili (vedi QualEnergia.it).

Il mercato ETS, dove il prezzo dell’anidride carbonica è crollato dell’80% circa dal picco registrato nel 2008, va potenziato, questa sembra essere la convinzione di Macron e Angela Merkel. Vedremo se le voci dell’asse climatico Parigi-Berlino troveranno conferme ufficiali e quali saranno i suoi contenuti.

Intanto, la comunità internazionale ha registrato l’ennesimo insuccesso al G7 Ambiente di Bologna, tanto che ormai si potrebbe tranquillamente definire G6 dopo l’annuncio di Donald Trump di voler uscire dal trattato di Parigi.

Sei nazioni – Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna – hanno ribadito che l’accordo siglato nella capitale francese è “irreversibile” ed è la chiave per garantire la prosperità futura al nostro Pianeta. Tuttavia, con o senza Trump, a queste affermazioni dovranno seguire molti più fatti concreti di quelli visti finora.

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