L’economia della ciambella: come rendere concreto il concetto di sostenibilità

Per non banalizzare più il termine "sviluppo sostenibile", bisognerebbe delimitare un'area "sicura", circolare, il cui perimetro è composto da una combinazione tra la soglia minima di risorse necessarie all'uomo e la soglia massima di risorse che possiamo prelevare. Se ne parla nel volume "L'economia della ciambella" di Kate Raworth.

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Gli effetti delle attività umane sul nostro pianeta sono oggi ritenuti equivalenti a quelli prodotti dalle grandi forze della natura che hanno causato significativi mutamenti nel nostro sistema-Terra nell’arco dei suoi 4,6 miliardi di anni di vita, tanto da far proporre alla comunità scientifica che si occupa di scienze del sistema Terra e dei suoi cambiamenti globali, l’indicazione di un nuovo periodo geologico, definito Antropocene.

Recentemente, autorevoli studiosi delle scienze dei cambiamenti globali (Global Changes) hanno elaborato l’equazione dell’Antropocene, che certifica come, allo stato attuale, l’intervento umano causa complessivamente dei cambiamenti profondi al sistema Terra, superiori a quelli dovuti alle forze di origine astronomica, geofisica e interna allo stesso sistema.

È necessario e urgente modificare le modalità consolidate con le quali gestiamo i nostri sistemi politici ed economici. Il volume “L’economia della ciambella di Kate Raworth, brillante economista della Oxford University, si unisce in maniera originale ai numerosi stimoli provenienti da tanti studiosi dei sistemi economici, sociali e ambientali.

L’umanità, grazie alle straordinarie capacità della sua evoluzione culturale si è allontanata progressivamente dalla natura, cioè dall’insieme dei sistemi naturali dai quali deriva e proviene, frutto degli straordinari processi evolutivi del fenomeno vita sulla nostra Terra e senza i quali non può sopravvivere.

Si è trattato di un processo lungo e complesso, fortemente accentuatosi dall’inizio della Rivoluzione industriale, intorno al 1750, rispetto al periodo complessivo di circa 200.000 – 300.000 anni che costituisce il periodo di vita della nostra specie (l’Homo sapiens) sulla Terra.

In altri termini, in un arco temporale di un paio di secoli e mezzo la maggioranza dell’umanità è vissuta in una dimensione culturale che ha considerato la natura sempre di più come una fonte inesauribile di risorse da utilizzare e come un ricettacolo, ritenuto altrettanto inesauribile, capace di metabolizzare rifiuti e scarti.

Le dimensioni del nostro impatto si sono andate intensificando negli ultimi 60 anni, in un periodo che gli studiosi definiscono “la Grande accelerazione”, che ha avuto effetti devastanti. Scrive il grande biologo Edward Wilson, professore emerito alla Harvard University: «La biosfera non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo alla biosfera.

Gli organismi in mezzo ai quali viviamo questa magnifica profusione di vita, sono il prodotto di 3,8 miliardi di anni di evoluzione per selezione naturale. Noi siamo uno dei suoi prodotti attuali, arrivati come fortunata specie di primati del Vecchio Mondo. E alla scala geologica tutto ciò è accaduto soltanto un istante fa. La fisiologia e la mente umane sono adattate alla vita nella biosfera, che abbiamo appena iniziato a comprendere».

Dal 2008 la popolazione umana nelle città ha sorpassato quella rurale; un fatto epocale per l’umanità, soprattutto per le implicazioni sociali, economiche e psicologiche. Ormai più della metà degli esseri umani presenti oggi sulla Terra, complessivamente sono quasi 7,4 miliardi, vive in aree urbane.

La popolazione delle città è cresciuta con grande rapidità dal 1950, passando dai 746 milioni di abitanti di allora ai quasi 4 miliardi del 2014. Si prevede che incrementerà di 2,5 miliardi nel 2050, sorpassando quindi i 6 miliardi. La verità, come la scienza ci dimostra chiaramente, è che gli esseri umani sono strettamente dipendenti dai sistemi naturali e fortemente collegati a essi.

L’intero fenomeno della vita sulla Terra, e quindi anche noi che ne siamo un prodotto, costituisce un intricato, complesso e affascinante sistema nel quale siamo tutti interconnessi. L’evoluzione e l’applicazione del pensiero economico nella vita reale di tutti i giorni hanno invece costantemente messo al centro una sorta di figura “ideale” dell’essere umano, l’Homo oeconomicus, cui la stessa dottrina economica attribuisce, come obiettivo dell’esistenza, la soddisfazione dell’esigenza di continuare ad acquisire beni materiali.

Una sfida epocale

La sfida che l’umanità ha ora di fronte è epocale. La pressione umana sui sistemi naturali è completamente insostenibile e, con i grandi cambiamenti globali che abbiamo indotto nella natura, la nostra stessa civiltà è a rischio. Le dimensioni dell’economia mondiale sono anch’esse senza precedenti; il prodotto mondiale lordo è stimato attualmente in 91 miliardi di dollari, almeno 200 volte quelli del 1750 (anche se si tratta di un confronto difficile perché buona parte dell’economia mondiale è oggi costituita da beni e servizi che 250 anni fa non esistevano).

La nostra Terra ha dato sin qui prova di aver contribuito ad attenuare l’impatto umano rispetto a vari fenomeni (per esempio contribuendo ad attenuare gli effetti delle emissioni di gas serra, dei processi di deforestazione e di degrado dei suoli) e riuscendo, per esempio, ad assorbire sostanze prodotte dall’industria umana, facendo adattare gli ecosistemi e modificando le catene alimentari.

La Terra non è in pericolo; in pericolo è invece l’umanità e la civiltà che essa ha creato, poiché questa è stata possibile solo grazie ai beni e ai servizi che la natura e la biodiversità ci hanno fornito.

Oggi abbiamo una consapevolezza sempre più chiara dei limiti ecologici globali. Il nostro sistema economico deve inevitabilmente agire nell’ambito dei limiti biofisici che presentano i sistemi naturali del nostro pianeta.

Questo significa, con grande chiarezza, che abbiamo bisogno di un nuovo modo di fare economia.

L'”economia della ciambella”

Quindi abbiamo ormai tante prove scientifiche che dimostrano come la pressione che esercitiamo sul nostro Pianeta potrebbe aver raggiunto la soglia di saturazione e abbiamo sempre più chiaro il fatto che non possiamo oltrepassare i confini planetari (Planetary Boundaries) indicati dalla comunità scientifica.

Farlo comporta il passaggio di punti critici, cioè quegli effetti soglia che ancora abbiamo difficoltà a indicare con esattezza, perché, nonostante i progressi sin qui fatti, la comprensione scientifica del sistema Terra è ancora incompleta.

È però molto importante che diversi e significativi guardrails sono stati tracciati dalla nostra conoscenza scientifica e sarebbe pura follia non rispettarli. Rispettarli significa evitare l’approssimarsi ai punti critici e significa applicare percorsi di sostenibilità al nostro sviluppo.

Ancora oggi, nell’accezione comune, il termine sostenibilità non è affatto chiaro e si presta a numerose confusioni e tutto questo proprio mentre assistiamo a importantissimi avanzamenti nella conoscenza scientifica che dovrebbero invece aiutare questo difficile compito.

Negli ultimi anni è nata una disciplina molto innovativa definita Sustainability Science, scienza della sostenibilità. Appare come una vera e propria integrazione e confluenza di numerose discipline, capace di integrare gli avanzamenti continui delle conoscenze di fisica, chimica, biologia, geologia, ecologia e scienze sociali con nuove discipline di frontiera, quali l’economia ecologica, la biologia della conservazione l’ecologia industriale, ecc.

La sostenibilità è quindi un concetto articolato che viene purtroppo ancora continuamente banalizzato. La complessità che la caratterizza e le oggettive difficoltà di attuare concretamente azioni, comportamenti e politiche che siano in grado di metterla in pratica, modificando i ben strutturati modelli mentali, culturali e pratici oggi dominanti, provocano una discreta confusione, che non favorisce, purtroppo, una sua corretta definizione.

Oggetto fondamentale delle ricerche sulla sostenibilità sono i Social-Ecological Systems (Ses), cioè la capacità di comprendere le interazioni e i legami esistenti tra gli esseri umani e i sistemi naturali e comprendere come sia possibile gestirli al meglio.

Nell’analisi di questa situazione si colloca la straordinaria avventura intellettuale e operativa di Kate Raworth, molto attenta a incrociare le conoscenze scientifiche con quelle sociali ed economiche per concretizzare percorsi di sostenibilità dei nostri modelli di sviluppo.

L’avventura inizia nella seconda metà del primo decennio del 2000, con la prima pubblicazione scientifica di numerosi autorevoli studiosi dediti alla Global Sustainability e alle scienze del Sistema Terra, che hanno cercato di indicare le dimensioni di uno spazio operativo sicuro (Safe and Operating Space) per l’umanità indicando i Planetary Boundaries (“confini planetari”) entro cui muoversi.

I “limiti” di cui parliamo riguardano nove grandi problemi planetari dovuti alla forte pressione umana, tra di loro strettamente connessi e interdipendenti: il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e quindi dell’integrità biosferica, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, la modificazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, l’utilizzo globale di acqua, i cambiamenti nell’utilizzo del suolo, la diffusione di aerosol atmosferici, l’inquinamento dovuto ai prodotti chimici antropogenici.

Per quattro di questi ­ il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la modificazione del ciclo dell’azoto e del fosforo e le modificazioni dell’uso dei suoli ­ ci troviamo già oltre il confine indicato dagli studiosi.

Complessivamente, i nove confini planetari individuati dagli studiosi possono essere concepiti come parte integrante di un cerchio e in questo modo si definisce quell’area come “uno spazio operativo sicuro per l’umanità” (Safe and Operating Space, SOS).

In quest’ambito si inseriscono le analisi di Kate Raworth che ha delineato un approccio estremamente affascinante e innovativo, l'”economia della ciambella” (Doughnut Economics).

ll benessere umano, infatti, dipende, oltre che dal mantenimento dell’uso complessivo delle risorse in un buono stato naturale complessivo che non deve oltrepassare alcune soglie, anche, e in misura uguale, dalle necessità dei singoli individui di soddisfare alcune esigenze fondamentali per condurre una vita dignitosa e con le giuste opportunità.

Le norme internazionali sui diritti umani hanno sempre sostenuto per ogni individuo il diritto morale a risorse fondamentali quali cibo, acqua, assistenza sanitaria di base, istruzione, libertà di espressione, partecipazione politica e sicurezza personale.

Kate Raworth ci indica che, come esiste un confine esterno all’uso delle risorse, una sorta di “tetto”, oltre cui il degrado ambientale diventa inaccettabile e pericoloso per l’intera umanità, ne esiste uno interno al prelievo di risorse, un “livello sociale di base” (un sorta di “pavimento”) sotto il quale la deprivazione umana diventa inaccettabile e insostenibile.

In questa importante riflessione individua undici priorità sociali, quali la disponibilità del cibo, dell’acqua, dell’assistenza sanitaria, di reddito, dell’istruzione, di energia, di lavoro, del diritto di espressione, della parità di genere, dell’equità sociale e della resilienza agli shock, indicandole come una base sociale esemplificativa (la “base”) e incrociandole quindi con i confini planetari (il “tetto”) del nostro SOS che, a questo punto, oltre a essere “sicuro” è anche “giusto”.

Si viene così a formare, tra questi diritti sociali fondamentali (la “base sociale”) e i confini planetari (i “tetti ambientali”), una fascia circolare a forma di ciambella che può essere definita sicura per l’ambiente e socialmente giusta per l’umanità. Una combinazione di confini sociali e planetari di questo tipo crea una nuova prospettiva di sviluppo sostenibile.

Questo articolo è un estratto dell’introduzione al volume “L’economia della ciambella” ed è stato originariamente pubblicato sul n.2/2017 della rivista bimestrale QualEnergia.it con il titolo “Tonda e buona: l’economia circolare”.

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