Idee e proposte per le città italiane: energia, mobilità, qualità della vita

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Il Consiglio Nazionale della Green Economy presentarà ad Ecomondo la proposta di un "Manifesto per la Città futura", linee guida da seguire per riconvertire alla sostenibilità i nostri centri urbani. L'ambizioso e complesso obiettivo di far passare tutte le decisioni attraverso interventi low carbon.

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Inutile nasconderselo, la sfida della sostenibilità non si gioca tanto nelle industrie o nei campi, quanto nelle città.

I centri urbani ospitano, infatti, ormai la metà della popolazione umana, che produce lì l’80% del Pil mondiale e che per vivere in quegli agglomerati di asfalto e cemento assorbe dall’esterno tutte le risorse di cui ha bisogno, acqua, cibo, energia, materie prime, riversandovi poi all’esterno i propri rifiuti: il 70% dell’inquinamento arriva dalle città.

Pensare di rendere sostenibile l’impronta dell’umanità sulla Terra, senza risolvere il problema di quel gigantesco «parassita» del pianeta che sono le città, è pura utopia.

Per questo il Consiglio Nazionale della Green Economy, una organizzazione composto da 66 imprese rappresentative della green economy in Italia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e con il Ministero dello Sviluppo Economico, ha incaricato gli Stati Generali della Green Economy (la sua “sezione progettuale”) di elaborare un Manifesto per la Città futura, cioè la proposizione di linee guida da seguire per riconvertire alla sostenibilità i nostri centri urbani.

«Il manifesto non è un però punto di arrivo, ma di partenza», precisa Fabrizio Tucci, professore di architettura della Sapienza di Roma e coordinatore del vasto gruppo di esperti che ha lavorato al documento. «In base alle 7 linee strategiche individuate nel manifesto, il 7-8 novembre, a Ecomondo di Rimini, verranno presentate proposte concrete alla cittadinanza, alla politica e al mondo economico,  per metterle in pratica».

Le sette linee programmatiche comprendono la raccomandazione di puntare sempre, d’ora in poi, sulla green economy per risolvere i problemi della città, di pensare a mitigazione e adattamento per il cambiamento climatico dei centri urbani, di rilanciare l’urbanistica cittadina attraverso la tutela del patrimonio naturale, di tutelare il patrimonio culturale e la bellezza, di riqualificare il patrimonio abitativo esistente, di ristrutturare gli edifici pubblici in modo innovativo così da farne dei casi esemplari e di rendere di nuovo le città più vivibili e desiderabili per i loro abitanti.

Ma in pratica, nelle delicate, quasi ossificate, città italiane, dove ogni proposta di modifica scatena polemiche, in che modo andrebbe impostata questa riconversione alla green economy?

«Ovviamente per le proposte operative, come detto, bisognerà aspettare novembre – dice Tucci – intanto posso anticipare alcune mie considerazioni: la prima è che ci sono molti esempi di città, soprattutto nel Nord Europa, che hanno cominciato da tempo questa riconversione per esempio attraverso iniziative per ridurre e poi eliminare il traffico automobilistico, per migliorare l’efficienza degli edifici pubblici e privati o per condividere produzione e immagazzinamento di energia. Si possono quindi considerare le tante iniziative già applicate altrove, e scegliere fra loro il mix giusto per risolvere uno dopo l’altro i nostri problemi. L’importante, per evitare conflitti,  è che i cittadini siano ben informati e coinvolti nel processo decisionale»

Per esempio, propone Tucci, una migliore gestione del verde urbano in chiave di sostenibilità, consentirebbe non solo di rendere più belle e vivibili le città, ma anche di trarre energia dagli scarti vegetali, che, aggiunti agli scarichi fognari e ai rifiuti urbani organici, si potrebbero usare per produrre elettricità e biometano,  da riutilizzare poi nella città stessa, chiudendo il cerchio.

Un’altra idea è quella di invertire la tendenza a impermeabilizzare il suolo e “tombare” i corsi d’acqua nelle città, così da adattarsi alle precipitazioni sempre più intense da cambiamento climatico, ma anche per avere scorte di acqua sotterranee, da usare direttamente o come “scorta” termica per il riscaldamento a pompa di calore.

«E a questo aggiungerei l’uso di fluidi caldi geotermici, che diverse città italiane hanno nel sottosuolo a profondità accessibili , ma che non usano come potrebbero per la climatizzazione», ha detto.

E per diminuire la domanda energetica degli edifici storici, su cui interventi “pesanti” non sono facili, si potrebbero recuperare le antiche tecniche di climatizzazione utilizzate dagli architetti del passato.

«In realtà è più facile rendere energeticamente più sostenibile un palazzo di qualche secolo fa, che i condomini costruiti negli anni ’60 e ‘70, la cui qualità è spesso pessima. Ma visto che lì abita la gran parte della popolazione urbana, buttarli giù non è pensabile», spiega Tucci.

«Buona parte dei nostri sforzi propositivi ruoterà quindi intorno a come affrontare il problema condomini, e non solo da un punto di vista tecnico: dovremo infatti elaborare sia strumenti di informazione e partecipazione dei cittadini ai progetti, sia norme di legge e meccanismi finanziari, che rendano economicamente convenienti le ristrutturazioni dei grandi complessi abitativi. È un compito immane, ma sono ottimista perché ormai anche i costruttori edili, consapevoli che occupare nuovo terreno sarà sempre più difficile, si sono detti del tutto d’accordo che la strada maestra per il rilancio dell’edilizia è ristrutturare l’esistente in chiave di green economy».

Alla stesura del “Manifesto della città futura”, ha partecipato anche  l’ingegner Mauro Annunziato, responsabile divisione Smart Energy dell’ENEA.

«Le nostre proposte verteranno intorno all’idea dello Smart District, cioè di quartieri di circa 10.000 abitanti, che si auto-organizzano grazie ad appositi strumenti di comunicazione digitale, per portare avanti progetti di green economy. Per esempio la produzione di elettricità fotovoltaica sui tetti del quartiere, accumulandola a livello di condominio o di distretto, e poi ridistribuendola fra le abitazioni».

«Avere gli strumenti per discutere e decidere collettivamente sugli interventi necessari al quartiere, consentirà non solo di evitare contestazioni, ma anche di avere più potere contrattuale con le aziende di progettazione e installazione, di accedere ad economie di scala, portando a grandi risparmi nell’acquisto, installazione e gestione di questi sistemi e nell’ottenimento del credito», ha Annunziato.

Altrettanto importante sarebbe poi ottimizzare la gestione dei tanti servizi che fanno vivere la città, facendoli “parlare” fra loro.

«Un buon esempio è l’illuminazione urbana: oggi i lampioni servono solo a quello, ma la loro capillarità ne farebbe una base ideale per incorporare sensori per monitorare il traffico, per la sicurezza, per controllare l’inquinamento, riunendo varie reti in una sola, con grandi risparmi di risorse ed energia. Per esempio, lampioni con sensori per il traffico, non solo consentirebbero di monitorarlo capillarmente, reindirizzandolo per evitare ingorghi, ma permetterebbero anche di dosare l’illuminazione notturna a secondo del traffico del momento: abbiamo calcolato che questo porterebbe a un risparmio fino al 30% dell’elettricità».

Risparmi analoghi si otterrebbero introducendo una gestione “smart” dell’elettricità domestica.

«Certo, la cosa migliore sarebbe fare interventi sulle case per renderle energeticamente più efficienti», spiega l’esperto Enea. «Ma questi interventi costano cari e richiedono tempo: molto più economico e immediato può essere usare i sistemi domotici che stiamo elaborando ad Enea, che rivelano la presenza delle persone nelle varie stanze della casa e adattano la climatizzazione a questo dato».

Tutti questi interventi per incrementare la sostenibilità delle città, non devono comunque essere presentati come l’adempimento di un sogno ambientalista calato dall’alto, con scarse ricadute locali.

«Al contrario – conclude Tucci – questi interventi dovranno essere progettati in modo da portare lavoro nelle stesse comunità in cui si fanno, e avere come scopo primario il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, non solo nel senso di un miglior comfort abitativo, ma anche di una migliore condivisione degli spazi verdi, della cultura e della bellezza delle proprie città».

Dissipando così l’immagine un po’ “punitiva” che spesso gli “interventi ecologici” si portano dietro.

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