Emissioni CO2, raggiungere il picco e ridurle in tempo

Una nuova ricerca ha utilizzato un modello dinamico molto complesso per definire i possibili cicli dell’anidride carbonica su scala globale, considerando i rilasci netti nell’atmosfera e gli assorbimenti naturali. I prossimi anni saranno decisivi per limitare l’aumento delle temperature terrestri a due gradi.

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Non c’è studio sulla transizione energetica che eviti di citare l’obiettivo sancito dagli accordi internazionali di Parigi.

Limitare l’aumento delle temperature medie terrestri entro 2 gradi centigradi, rispetto all’età preindustriale, cercando in ogni modo di fermarsi a +1,5 gradi ed evitare così le conseguenze peggiori per l’umanità, come inondazioni, siccità prolungata, eventi meteo estremi e via dicendo.

Tuttavia, è molto complicato stimare l’intensità e la velocità con cui dovremo tagliare le emissioni di CO2, con quali tecnologie, e se sarà necessario utilizzare sistemi di carbon capture and storage applicati alle industrie ed eventualmente alle bioenergie (CCS o BECCS).

Parlare di picco delle emissioni è un po’ come discutere sul picco del petrolio: in realtà, nessuno è in grado di affermare con precisione quando la CO2 inizierà a diminuire costantemente a livello globale, né quando la produzione di oro nero avrà raggiunto il suo apice, per poi declinare.

Qualche giorno fa, sul nostro sito, abbiamo approfondito la “legge sul carbonio” (carbon law) proposta da un gruppo di ricercatori svedesi, che prevede di dimezzare le emissioni antropogeniche di CO2 ogni dieci anni, riuscendo così a decarbonizzare l’economia planetaria con una rapidità tale da centrare l’obiettivo dei 2 gradi (vedi QualEnergia.it).

Un nuovo studio è stato appena presentato dall’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA): Pathways for balancing CO2 emissions and sinks, pubblicato su Nature (link in basso all’articolo completo con dati e grafici).

Questa ricerca, si legge nella sintesi del documento, considera tutti i rilasci e gli assorbimenti di anidride carbonica delle attività umane e dei bacini naturali, come foreste e oceani, definendo il ciclo del carbonio (carbon cycle) nella sua interezza.

In altre parole, i ricercatori guidati da Brian Walsh hanno tracciato i possibili percorsi della CO2 secondo differenti scenari, stimando la sua concentrazione nell’atmosfera basandosi sul modello dinamico FeliX (Functional Enviro-economic Linkages Integrated neXus) che include molteplici parametri sociali, economici e ambientali.

Da dove proviene l’anidride carbonica, dove va a finire? Gli autori dello studio hanno calcolato non solo le emissioni dei combustibili fossili, ma anche quelle originate dall’agricoltura, dall’utilizzo dei terreni per la produzione di cibo o biomasse energetiche, considerando poi la quantità di CO2 assorbita dagli ecosistemi.

Le simulazioni mostrano che il picco delle emissioni antropogeniche nette – considerando quindi gli assorbimenti “artificiali”, ad esempio con sistemi CCS – dovrà avvenire molto prima del 2040, se l’umanità vorrà conservare una chance di contenere il surriscaldamento globale a 1,5-2 gradi nel 2100.

Gli scienziati ritengono che il consumo di carburanti fossili dovrà scendere ben sotto il 25% delle forniture totali di energia primaria entro la fine del secolo; inoltre, i governi dovranno impegnarsi a ridurre sensibilmente la deforestazione. Da qui al 2100, quindi, i rilasci cumulativi di CO2 dovranno diminuire del 42% in confronto al quadro base (BAU, business as usual).

Il problema è che molti scenari prevedono un aumento delle emissioni antropogeniche nette superiore alla capacità di assorbimento dei bacini naturali (natural sinks).

Nello scenario RE-High il picco della CO2 legata alle attività umane avverrà intorno al 2022; le fonti rinnovabili cresceranno con un tasso medio di almeno il 5% l’anno, relegando i carburanti fossili a meno di un quinto delle forniture mondiali di energia primaria nel 2100. Probabilmente fin troppo.

Eppure, osservano i ricercatori, tutto questo non basterà a fermare il global warming senza una contemporanea diffusione massiccia delle tecnologie CCS, che però allo stadio attuale sembra una strada difficilmente praticabile dal punto di vista tecnico ed economico.

La ricerca completa su Nature

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